Nell’elenco degli oggetti vari di terracotta rinvenuti nel Villaggio di Ripoli Giuliano Cremonesi definisce le statuine fittili come “Probabili idoli”.
“Le statuine fittili sono tutte di argilla figulina e molto frammentati. Fra le più interessanti è quella rinvenuta nella capanna 8 ed è un grosso cilindro leggermente appiattito ricoperto da sottili striature irregolari e con due coppie di sottili linee incise che si incontrano ad X su una faccia; un’altra fu rinvenuta nella capanna 9 ed è formata da un grosso nastro ricurvo con espansione conica alla base dove erano poste due piccole bugne coniche simmetriche.” (da Giuliano Cremonesi, 1965).
In realtà dalla foto della statuina della capanna 8 riportata a pagina 34 del saggio di Fugazzola e Tinè – a cui ci stiamo riferendo nel nostro scritto – il segno è chiaramente una V e non una X, “… graficamente il modo più diretto di rendere il triangolo pubico… Quest’espressione e il suo riconoscimento sono universali e immediati, ma è nondimeno sorprendente quanto presto tale tratto “stenografico” si sia cristallizzato per diventare, attraverso innumerevoli ere, il marchio distintivo della Dea Uccello.” (da Marija Gimbutas, 2008, pag.3). E in realtà la statuina rivela una sorprendente somiglianza con l’immagine di un uccello e il profilo stilizzato rivela una prominenza tipo becco.
Le statuette portate alla luce presentano tutte forte affinità balcanica come suggerito dall’uso delle braccia a linguetta. Questa tipologia di braccia, associata a diversi modi di realizzare la testa è attualmente documentata nei gruppi diffusi in Italia centrale, Ceramica Impressa adriatica, Catignano e Ripoli e settentrionale, durante la fine del VI inizio V millennio a.C. (da Renata Grifoni Cremonesi & Annaluisa Pedrotti, 2007).
Che le nuove comunità di agricoltori adottassero modelli di statuette derivanti dal Medio Oriente e dall’Anatolia fa pensare, come scrive Renata Grifoni Cremonesi che “… l’orientamento ideologico spirituale in questa prima fase si basava su un sistema di comunicazione sovra regionale condiviso dai gruppi a ceramica dipinta…”
Dalle fasi iniziali della cultura di Ripoli sono emerse inoltre le anse antropomorfe, anche gemine oltre a frammenti di piedi e gambe.
A proposito di immagini e simboli doppi o gemelli, Gimbutas nel capitolo “La potenza del due” scrive: “… Le culture antico-europee per esprimere intensificazione usavano immagini di doppi a significare duplicazione progressiva e perciò potenza e abbondanza. Lo si può vedere nell’uso frequente di immagini doppie … perfino Dee … elemento che fa pensare al carattere ciclico della Dea nei suoi aspetti estivo e invernale – giovane e vecchia o a due dee nel senso di due sorelle o madre e figlia …” (da Marija Gimbutas, 2008) mettendo in luce – come osserva Vicki Noble nel suo libro la Dea Doppia – la discendenza matrilineare in senso più ampio vale a dire la trasmissione della proprietà e della conoscenza.
“L’origine della Dea doppia risale al paleolitico qualcosa come 25000 anni fa nell’0vale inciso di Laussel …Tali rappresentazioni non possono essere accidentali sono infatti attestate in numerose tombe.” Scrive Vicki Noble: “… le figure della Dea Doppia rappresentano in maniera profonda l’intero ciclo biologico femminile nelle sue componenti yin e yang e il suo rapporto sciamanico con la vita su questo pianeta e con l’evoluzione umana … i cicli organici della natura che sono alla base dell’antica religione della Dea, espressi archetipicamente attraverso il corpo di ogni donna come l’alternarsi ripetitivo di ovulazione e mestruazione …”
Benché nell’Italia centrale il numero di figurine femminili sia minore rispetto al sud della penisola, come scrivono Maria Antonietta Fugazzola e Vincenzo Tinè – osservando la discreta uniformità e ripetitività della rappresentazione dell’immagine femminile all’interno dei singoli orizzonti culturali – “… il tema ideologico religioso di fondo può essere effettivamente quello di un ‘monoteismo femminile’. Il complesso delle statuette femminili italiane sembrerebbe dunque interpretabile come repertorio di immagini di culto. Più in dettaglio queste figure dovevano essere spesso destinate ad una fruizione personale e familiare – come suggerisce il frequente rinvenimento anche in contesti domestici – e non soltanto collettiva da parte di un gruppo sociale (come nei casi di seppellimento in grotte cultuali) …” (da Maria Antonietta Fugazzola Delpino e Vincenzo Tinè, 2002-2003, vol. 93-94, pp. 19-51).
Note Storiche
Per le note storiche vedi relazione “La Cultura di Ripoli“
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