Gli anelloni piceni, emblema femminile

Gli anelloni piceni, emblema femminile
Anellone a sei nodi piceno conservato al Museo Archeologico Nazionale delle Marche (ph. G. E. Petetti, 2012)

di Francesca Principi

Gli anelloni a nodi sono uno dei simboli più caratteristici della cultura picena pur rimanendo, a tutt’oggi, dei reperti il cui vero significato rimane per lo più oscuro.

Per capire il contesto culturale in cui questi oggetti vennero creati è di fondamentale importanza fare una premessa sull’identità del popolo piceno, laddove per Piceni intendiamo quell’insieme di popoli che abitarono parte delle Marche e dell’Abruzzo all’incirca tra il IX ed il III sec. a.C.

La conoscenza della civiltà picena si basa principalmente sulla documentazione archeologica, proveniente in primis da necropoli ma anche da resti di abitati e stipi votive. Anche le fonti classiche ci danno delle indicazioni significative e, secondo quanto riportato da Plinio, Strabone e Festo, furono originati da gruppi di Sabini immigrati: “Orti sunt a Sabinis voto vere sacro”, “furono originati dai Sabini, in seguito al voto di una primavera sacra”, così recita Plinio nella sua Descriptio Italiae. La primavera sacra era un rituale che consisteva nel dedicare ad una divinità ogni essere vivente nato in un determinato anno: quando venivano compiuti i ventuno anni, i giovani erano costretti ad abbandonare la comunità di origine per cercare nuove sedi. La migrazione di solito avveniva sotto gli auspici di un animale totemico e, in questo senso, l’etnonimo dei Piceni potrebbe serbare il ricordo del picchio (picus), uccello sacro a Marte il quale, secondo la tradizione, avrebbe indicato la via posandosi sul loro vessillo durante il viaggio.

I Piceni ebbero stretti rapporti con le civiltà transadriatiche, con le popolazioni della bassa valle tiberina come anche con i centri villanoviani prima, ed etruschi poi: sono attestati frequenti contatti anche con mercanti orientali giunti nel Tirreno dalle regioni anatoliche e siriache (VIII sec. a.C.), oltre che con i Greci stanziati nell’Italia meridionale. I rapporti con le regioni transalpine, invece, divennero evidenti solo quando i Galli Senoni si stanziarono, nel corso del IV sec. a.C., in questo territorio. I numerosi contatti con le civiltà limitrofe e non, agirono profondamente sul substrato culturale locale, dando luogo ad una civiltà caratterizzata ed originale, che rivela un forte senso di appartenenza ad una cultura comune. Tuttavia, la particolare configurazione geografica per strette valli parallele del territorio piceno, fa sì che la loro civiltà si presenti variamente articolata, con differenze locali anche notevoli; inoltre, la probabile mancanza di un centro egemone capace di sviluppare una facies condivisa in tutto il territorio, presumibilmente fece sì che perdurasse fino alla fine un’organizzazione sociale per gruppi tribali, che si esprimeva in tale frammentazione culturale.

Gli anelloni a nodi sono uno degli esempi più emblematici di come questa grande complessità culturale diede vita a manifestazioni materiali locali, anche molto diversificate. L’aspetto peculiare di questi reperti è che sono stati rinvenuti esclusivamente in sepolture femminili, in particolare nella fascia di territorio compresa tra i fiumi Tronto e Tenna: il loro circoscritto areale di diffusione sembra corrispondere ad una delle unità politiche in cui era diviso il territorio piceno e cioè quella dei Cuprenses, i quali ebbero sicuramente un ruolo centrale all’interno di un comprensorio in cui la città di Cupra probabilmente era il centro amministrativo di riferimento di una vasta area[1].

Dal punto di vista formale, gli anelloni si presentano come degli anelli a verga, a sezione circolare, in bronzo fuso. Dal punto di vista tipologico si suddividono in due gruppi, con varianti nel numero e nella forma dei nodi: nel primo gruppo i nodi sono di forma romboidale, fermati da anellini rilevati, nel secondo sono a forma di perla rotonda, sempre tra anellini rilevati. In entrambi i casi si hanno esemplari con quattro o sei nodi e hanno tutti dimensioni diverse; il loro peso, in genere piuttosto consistente, varia dai 600 gr. circa, sino a raggiungere i 1880 gr.

Anelloni a nodi lenticolari (ph. E. Biancifiori, 2012)

L’elemento singolare di questi oggetti è che, nella maggior parte dei casi, sono stati rinvenuti appoggiati sul bacino della defunta: in rari casi l’anellone si trovava sul capo dello scheletro mentre, in altri casi, erano nella mano della defunta. Non sembrano essere legati a particolari classi di età, dato che si ritrovano in sepolture di donne sia giovani che adulte. Inoltre, il fatto che non siano presenti in tutte le sepolture femminili e che non sempre siano in relazione con i corredi funebri più ricchi e consistenti, fa pensare che la loro presenza sia collegata ad una particolare funzione di prestigio svolta dalla defunta all’interno della comunità: il legame di questi oggetti con il ventre femminile è un elemento a cui doveva essere associato un forte valore simbolico, molto probabilmente legato alla capacità generatrice della donna e, di riflesso, all’importanza che questo “ruolo” rivestiva all’interno della società.

Il fatto che alcuni anelloni siano stati ritrovati anche sulle mani della defunta potrebbe aggiungere un tassello in più circa la loro destinazione d’uso: non è da escludere che fossero degli strumenti che venivano impugnati ed utilizzati per la celebrazione di rituali, assumendo così una ulteriore valenza magico-religiosa, forse connessa ad una casta sacerdotale. Nelle ipotesi formulate dalla studiosa Maddalena Ugolini De Silva[2], essa propone una complessa, seppur difficilmente verificabile, interpretazione degli anelloni come simboli del ciclo lunare, fornendo però un elemento interessante riguardo il loro possibile uso: essa ipotizza che, nella celebrazione dei rituali a cui presumibilmente erano dedicati, gli anelloni venissero afferrati con entrambe le mani e alzati verso il cielo e nota che, nel fare questo, l’anello va a posarsi in modo naturale tra le palme delle mani. Forse è proprio la posizione in cui dovevano essere tenuti la causa del ritrovamento di anelli di diverse dimensioni, dato che era necessario che ciascun anello fosse della dimensione richiesta dalla misura delle mani della donna cui doveva appartenere. A detta dell’Autrice, inoltre, nonostante la pesantezza di questi oggetti, l’assunzione di questa posizione nel sollevarli renderebbe la fatica quasi nulla, come se gli sforzi si annullassero reciprocamente e fosse così possibile mantenere la posizione anche per diverso tempo.

Anellone nella modalità di presa indicata da Maddalena Ugolini De Silva (ph. M. Ugolini De Silva, 1983)

Data l’evidenza della connessione degli anelloni con la sfera spirituale/religiosa e con l’essenza femminile, un ulteriore passo per svelare il loro significato simbolico può essere fatto andando ad approfondire l’origine delle genti che abitò, in particolare, l’area dei Cuprenses, ancor prima che si delineasse la civiltà picena propriamente detta. Il popolamento di quest’area prima dell’età del Ferro, è una questione piuttosto articolata e, sulla base delle fonti conosciute, ciò che emerge è l’apporto di genti di provenienza diversa.

Dalle fonti classiche sappiamo che, secondo la tradizione riportata da Silio Italico, gruppi di Pelasgi, guidati dal re Asi (Aesis), sbarcarono nel territorio cuprense e ivi assunsero il nome di Asili (tutt’oggi nella zona scorre un fiume chiamato Aso). L’identità dei Pelasgi è una questione complessa e mai del tutto chiarita, dato che le fonti classiche ne danno descrizioni diverse: di solito viene attribuita loro una generica origine orientale dato che sembra difficile identificarli con un popolo specifico ma, piuttosto, il nome potrebbe riferirsi ad un insieme di popoli che commerciavano nel Mediterraneo.

Sappiamo, inoltre, che verso il XIII sec. a.C. ci furono delle massicce migrazioni di popolazioni ittite verso il Mediterraneo occidentale, a seguito del crollo del loro impero attribuito, secondo fonti egizie, ai cosiddetti “popoli del mare”. I popoli del mare, le cui uniche testimonianze provengono da fonti scritte egiziane, sono un insieme di popolazioni, provenienti dall’Europa meridionale, che tra il XIII e il XII sec. invasero l’Anatolia (determinando il crollo dell’Impero ittita), la Siria, la Palestina, Cipro e il Nuovo Regno egizio. A questo proposito, risulta interessante il rinvenimento fortuito, a Cupra Marittima, di un amuleto proveniente da un’area interessata da una necropoli picena del VI sec. a.C., il quale presenta su entrambe le facce delle iscrizioni bilingui e sembra essere datato alla fine del II millennio a.C.

Fronte e retro dell’amuleto bilingue della fine II millennio a.C. (ph. G. Capriotti Vittozzi e G. Garbini, 2000)

Secondo Giovanni Garbini “ritrovare insieme in un unico oggetto una scrittura egiziana e segni riferibili alla scrittura micenea ci riporta a un orizzonte culturale ben determinabile storicamente: quello della Palestina posteriore all’insediamento dei cosiddetti popoli del mare”. Egli, inoltre, aggiunge che “l’amuleto di Cupra Marittima rivela immediatamente la sua origine palestinese che per il periodo compreso tra il XII e il X sec. a.C. vuol dire di fatto filistea, confermando la provenienza da una dominante cultura egizia affiancata da una cultura di origine egeo-anatolica quale era appunto quella che si manifestò in Palestina tra la fine del II e l’inizio del I millennio”.Secondo Giuseppina Capriotti Vittozzi l’amuleto “si inserisce in un ambito geografico di fitta frequentazione orientale anche nei secoli successivi, come attestato dall’orientalizzante piceno, e rimette in discussione l’origine della dea Cupra che gli autori antichi riferivano ad Afrodite Cypria, delineando sulla costa picena una presenza dei cosiddetti popoli del mare e collocando la fondazione del tempio di Cupra nell’ambito della loro azione[3].

Cupra è, attualmente, l’unica divinità femminile conosciuta del pantheon piceno e, sia le fonti materiali che quelle scritte, la associano all’universo simbolico delle dee madri: essa è definita mater in diverse iscrizioni e gli autori classici la associano ora alla Bona Dea, dea madre di origine laziale, ora alla dea Hera, madre di tutti gli dei, nonché la definiscono Veneris antistita, “sacerdotessa di Venere”.

La teoria dell’origine della dea Cupra da Afrodite Cypria, che veniva venerata nell’isola di Cipro, affonda le sue radici in tempi molto antichi. Nel corso dei millenni, Cipro fu meta di numerose migrazioni da parte di diversi popoli, tra cui Siri, Fenici e Cretesi, divenendo un importante punto di scambio, oltre che commerciale, anche culturale. È molto probabile che sia i Fenici che i Cretesi avevano portato nell’isola, insieme alla propria civiltà, anche il loro massimo culto e cioè quello della dea madre, Astarte per i Fenici, Potnia per i cretesi. Il culto praticato dai Fenici sappiamo provenire direttamente da Ascalona, in Israele, dove sorgeva un santuario dedicato all’antica Afrodite di origine orientale: secondo Erodoto il tempio era: “(…)  il più antico di tutti i santuari di questa dea, perché il santuario di Cipro è derivato da questo, come affermano gli stessi Ciprioti, e anche il santuario di Citera lo eressero alcuni fenici”. È qui possibile ravvisare la dimensione preolimpica dell’antica dea Afrodite: essa si presenta come il corrispettivo di Astarte, la grande madre siro-palestinese, l’equivalente della babilonese Ishtar e dell’egiziana Iside. E’ evidente come le origini di queste divinità, nonostante abbiano teonimi diversi, possano essere riferite a quell’unico principio divino femminile che nei suoi molteplici aspetti veniva venerato, sin dall’epoca preistorica, sia nel Vicino Oriente che in Europa. Proprio al culto dell’antica Afrodite i Fenici dedicarono il famoso santuario di Pafo a Cipro, come è ricordato anche nell’inno omerico: “Afrodite che ama il sorriso (..) mosse verso Cipro, a Pafo, dove possiede un santuario ed un’ara odorosa”. Sappiamo che questa dea, nell’isola di Cipro, assunse l’appellativo di Cipria (Ciprigna) e c’è motivo di credere che questa dea Afrodite Cipria possedesse in origine tutte le prerogative proprie delle dee madri orientali, prima di assumere l’aspetto limitato e parziale di dea dell’Amore e della Bellezza. Quindi, risulta verosimile l’ipotesi che il culto di questa dea possa essere stato importato nella costa marchigiana da esuli ciprioti, i quali probabilmente vi giunsero per stabilire una nuova colonia o un punto di appoggio per il commercio e la navigazione. Essi, una volta stanziatisi nel litorale adriatico, vi costruirono un tempio in onore della massima divinità che veneravano in patria, Afrodite, il cui appellativo Cipria qui divenne Cupra[4].

Ad ogni modo, qualunque sia l’origine della dea Cupra, sappiamo che essa rivestì grande importanza presso i Piceni come anche il santuario a lei dedicato, eretto lungo il litorale adriatico: Silio Italico, nelle sue “Puniche”, afferma: “(..) et quis litoreae fumant altaria Cuprae (..)”, lasciandoci una delle immagini più suggestive legate a questa dea e agli altari fumanti a lei dedicati. Sebbene la localizzazione di questo tempio rimanga tutt’ora dubbia, sappiamo da Strabone che esso sorgeva nelle vicinanze dell’attuale Cupra Marittima e presso di esso molto probabilmente sorgeva anche un importante emporio che divenne luogo di incontro e di scambio, sia a livello economico che culturale, per i popoli che giungevano dal mare e dall’entroterra.

Anelloni a nodi piceni del VI-V sec. a.C. conservati al Museo Archeologico del Territorio di Cupra Marittima (ph. V. Ricci e G. Vitelli, 2016)

Quindi, l’esclusivo legame degli anelloni con il territorio dove sorgeva il santuario di Cupra, rende del tutto verosimile una connessione tra questi reperti e il culto della mater Cupra, a cui possiamo immaginare fosse dedicato un corpus di rituali femminili connessi alla fertilità e alla rigenerazione della vita, di cui veniva data un’ultima, sacra, testimonianza, nel viaggio di queste donne dopo la morte.

[1] Tiziana Capriotti – “I culti dell’ager cuprensis in età romana” – in Le antichità di Cossignano nel Piceno – a cura di Mariano Malavolta – 2004.

[2] Maddalena Ugolini De Silva – “L’anellone piceno: la dea Cupra e l’iniziazione femminile ai misteri lunari” – in Quaderni di studi della civiltà italica – Fermo 1983.

[3] Giuseppina Capriotti Vittozzi e Giovanni Garbini – “Un amuleto egizio-fìlisteo da Cupra Marittima” –in Rendiconti, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei – serie IX-XI – fascicolo 4 – 2000.

[4] Bernardo Faustino Mostardi – Cupra – Ascoli Piceno – Archeoclub di Cupra Marittima – 1977.

Francesca Principi, luglio 2023


Bibliografia

  • Elisa Biancifiori – “Gli anelloni a nodi” – in AA.VV. – l bronzi della Collezione Gorga – Roma 2012;
  • Maddalena Ugolini De Silva – “L’anellone piceno: la dea Cupra e l’iniziazione femminile ai misteri lunari” – in Quaderni di studi della civiltà italica – Fermo 1983;
  • Giuseppina Capriotti Vittozzi e Giovanni Garbini – “Un amuleto egizio-fìlisteo da Cupra Marittima” –in Rendiconti, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei – serie IX-XI – fascicolo 4 – 2000;
  • Vermiglio Ricci e Germano Vitali – “Dalla Dea Madre il culto della Dea Cupra” – in Revista Santuarios – 2016.

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