di Giulia Goggi
La condizione della donna etrusca sembra essere stata più libera rispetto a quella delle donne a lei contemporanee. Si è ipotizzato che sapessero scrivere e leggere e a questo potrebbero essere relative le iscrizioni su alcuni specchi, a spiegazione delle scene rappresentate.
Nelle iscrizioni etrusche compare spesso il nome della madre o matronimico: si pensa che l’origine del sistema onomastico bimembre sia etrusco. Questo sistema compare anche nel mondo latino e italico ed è caratterizzato dall’uso del nome personale e dal gentilizio o nome familiare; la cosa innovativa è la presenza, accanto ai due elementi principali, del patronimico e del matronimico, quindi anche del nome materno.
Questo elemento in particolare ha fatto pensare che la posizione della donna etrusca non fosse subordinata come quella greca: alla prima, infatti, non era negata la partecipazione ai banchetti a fianco degli uomini, cioè sdraiate accanto a loro.
Abitudine che scandalizzava non poco gli storici greci che non erano certo abituati a vedere le donne greche partecipare ai banchetti in quella posizione se non nel ruolo di prostitute; questa usanza, cui accenna Riane Eisler, “[…] è un indizio esterno di una parità sociale, che ricollega anche per questo aspetto la società degli antichi Etruschi a costumi propri del mondo occidentale e moderno“. Un segno della considerazione da parte della società per la donna etrusca. L’ipotesi della Eisler è che gli Etruschi, per i quali segnala una somiglianza con l’arte della Creta minoica, praticassero la discendenza matrilineare che ipotizza in uso per le epoche antecedenti la calata dei popoli protoindoeuropei Kurgan.
Teopompo nel IV secolo a. C. si lamenta proprio della dissolutezza delle donne etrusche che banchettavano sdraiate accanto ai loro mariti e che addirittura potevano bere vino e lamenta il fatto che avessero una sessualità troppo permissiva. Le fonti raccontano della già citata Tanaquilla, moglie di Tarquinio Prisco: che, secondo Livio[1], aveva avuto un ruolo attivo nell’ascesa politica del marito, deteneva poteri religiosi e spirituali e si diceva che affiancasse il marito nella gestione del potere politico.
Questo aspetto era costato agli Etruschi parecchie critiche da parte delle fonti antiche contemporanee, in particolare di quelle greche, che additavano alle donne etrusche un comportamento non consono al loro stato (cioè al loro genere), quindi di non saper stare al loro posto. Nell’Atene del V secolo a.C., secondo Eva Keuls (che si è basata sulle pitture vascolari con scene di vita quotidiana di Atene, sulle leggi e sulle fonti) nell’Atene democratica vigeva il “fallicismo” che relaziona ad una severa regolamentazione della sessualità femminile: “una combinazione di supremazia maschile e di culto del potere della violenza”.
Gli indicatori di ruolo e quelli di genere
Sono oggetti la cui funzione è carica di valori simbolici, che conferivano al proprietario/a potere sociale ed economico e attribuendo alla sepoltura gli aspetti dell’ideologia aristocratica.
Degli elementi di carro generalmente si trovano le parti metalliche (cerchioni e parti del timone e/o morsi equini): per questo nella maggior parte dei casi non è stato possibile definire il tipo di carro. Se ne conoscono esempi in sepolture femminili già dalla prima metà dell’VIII secolo a. C.: carri a due ruote (quindi da trasporto) sono noti anche in Europa Centrale già tra VII e VI secolo (Cultura di Hallstatt C-D), queste sepolture sono state attribuite a mogli di capi[2] anche se non è escludibile che loro stesse potessero ricoprire un ruolo di potere (almeno in veste di sacerdotesse).
Nell’area medio-adriatica ci sono diversi esempi di deposizioni di carri in tombe ricche anche in ornamenti ed elementi vascolari. Questo può far pensare che si possa trattare di principesse che esercitavano il ruolo di sacerdotesse, essendo a conoscenza delle pratiche di aruspicina.
Ancora più discusse sono le deposizioni di armi nelle sepolture femminili[3]. Generalmente sono scudi da parata, quindi non da usare in battaglia ma puramente da “figura”. La mancanza di resti e di documentazione spesso non aiuta a comprenderne l’esatta posizione, ma è stato ipotizzato che fossero appoggiati in verticale contro le pareti delle fosse. Sembra che l’intento fosse quello di imitare le ricche case in cui abitavano i defunti: è documentata la tradizione di decorare le pareti delle case aristocratiche con scudi da parata. Forse la volontà era quella di sottolineare lo status aristocratico della defunta e il suo ruolo di moglie di un capo o titolare del potere, ma potrebbe anche indicare il fatto che la donna stessa ricoprisse un ruolo di rilievo nella società.
Un’altra classe di oggetti interessante da questo punto di vista appartiene agli indicatori di genere, in particolare agli oggetti di filatura e tessitura. Alcuni di questi si distinguono per il materiale di cui sono composti che rende difficile pensare ad un loro uso pratico nella filatura. Fusi e conocchie sono oggetti frequenti nelle tombe femminili di Etruria, Piceno e Veneto tra VIII e VII secolo[4]; nella tomba 17 in località Monte Penna di Pitino San Severino, sono state rinvenute anche delle asticelle in ferro a noduli con elementi in bronzo evocanti la Venus pudica cretese, interpretati come conocchia/scettro, quindi come oggetto di potere rappresentante il ruolo prioritario della donna nella gestione delle attività tessili[5].
Per questi oggetti, distintivi delle donne (erano loro che sapevano tessere e filare, così come si legge anche dall’Odissea in merito a Circe[6], Calipso[7] e Penelope), è possibile pensare ad una funzione di rappresentanza dato che il materiale non permette di usarli per filare e tessere: Raffaella Papi parla di “scettri”, o “fuso-scettro”, insistendo sull’importanza economico-sociale della tessitura e del ruolo svolto dalla donna nell’ambito del lavoro domestico; Marina Martelli, Gilda Bartoloni e Miria Roghi affermano che questi tipi di oggetti potrebbero essere conocchie fatte di materiale la cui preziosità e fragilità rappresentano lo status della defunta[8].
Ramatha Spesias e la politica di Caere
La tomba delle Iscrizioni Graffite alla necropoli della Banditaccia di Cerveteri è stata scoperta nell’agosto del 1981 durante uno scavo clandestino. La sua particolarità e il nome vengono proprio dal fatto di essere al momento uno dei pochi esempi in Etruria (e l’unico a Cerveteri) ad avere delle iscrizioni graffite e non dipinte o incise; inoltre è uno dei pochi esempi di iscrizioni arcaiche in Etruria (eccetto i complessi di Portonaccio e di Pyrgi) e quello con le iscrizioni più complete (la tomba delle iscrizioni dipinte di Tarquinia non ha nemmeno 10 parole).
La tomba è datata intorno al 530-515 a. C. e ha rappresentato una svolta nelle ricerche non solo perché ha aumentato la nostra conoscenza del lessico etrusco, ma soprattutto perché ha permesso di fare delle riflessioni più approfondite sulla figura più conosciuta del panorama politico etrusco del VI secolo a. C. e sulla sua genealogia: Thefarie Velianas; inoltre, ha messo in luce il ruolo che una donna etrusca poteva ricoprire nella politica delle città.
La più lunga delle molte iscrizioni sembra essere un’inaugurazione sacrale o un rito compiuto in favore del defunto; qui compare in prima linea il nome Ramatha Spesias, soggetto di una frase il cui verbo è al passato (sχạ [ni] ce) seguito da una locuzione locativa che indicherebbe la tomba stessa (𐌉𐌞𐌈: thui: qui), seguito da stalthi (𐌉𐌈𐌋𐌀𐌕𐌔): ciò ha permesso di tradurre l’iscrizione come “nella [tomba] dello sta”. Insieme a Ramatha sono nominate altre persone che compiono delle azioni (“scrive, prescrive”) e sono indicate da attributi e aggettivi (“colui che fa offerte agli dei”); tra queste compare il beneficiario delle azioni, che sarebbe l’uomo di nome Larice Veliinas. Il gentilizio è stato associato a quello delle lamine di Pyrgi: Thefarie Velianas autore delle lamine e della dedica del Tempio B del Santuario.
Data la posizione centrale del nome nella frase e nella tomba è stato supposto che fosse il defunto a cui la tomba era destinata e che fosse morto intorno al 530-520 a. C. o comunque non dopo quella data. In base a questo è stato supposto[9] che Larice e Ramatha fossero i genitori di Thefarie, divenuto “signore” su Caere circa tre anni prima della dedica delle lamine (avvenuta nel 510 a. C.).
Considerando che il nome di Thefarie non compare in nessuna delle iscrizioni, è stato ipotizzato che il suo ruolo fosse stato assolto da Ramatha, verosimilmente sua madre e vedova del defunto. Dopo la morte di Larice e una volta espletati i riti di sepoltura e celebrazione, Thefarie poté raggiungere la carica politica probabilmente più alta all’interno del cursus honorum cerite.
Sembra verosimile che Ramatha Spesias avesse un ruolo importante, non solo come guida del rito dedicato al defunto della tomba, ma probabilmente anche come fautrice dell’ascesa al potere del figlio e per questo motivo le viene affidato un ruolo importante nel rituale di sepoltura: non tanto in quanto moglie, quanto come fautrice dell’ascesa al potere del nuovo “signore”.
Conclusioni
Annette Rathje ipotizza che in Etruria il potere religioso fosse esercitato dalle principesse[10]. Questa ipotesi può essere confermata proprio dalle testimonianze archeologiche e letterarie. Oggetti come quelli trovati potrebbero aver avuto lo scopo di indicare le detentrici come reggenti o affiancanti di un potere politico o come detentrici di un potere religioso. È probabile che le donne ricoprissero ruoli di spicco nella comunità: come nel caso di Tanaquilla, moglie di Tarquinio Prisco, per la quale è stato ipotizzato il ruolo di “reggente” nel corso della successione a Servio Tullo; che probabilmente in quanto sacerdotessa, poteva guidare il carro (privilegio che nell’Urbe era concesso solo alle Vestali)[11]. È possibile pensare, quindi, che Ramatha Spesias avesse avuto parte attiva nel passaggio di potere da Larice Veliinas a Thefarie Velianas.
Per l’Etruria nel periodo orientalizzante è stato supposto che la donna ricoprisse il ruolo di “capostipite e garante della continuità del gruppo e della stirpe, nell’ambito di un probabile sistema di discendenza bilineare, per alcune donne dell’aristocrazia come depositarie di particolari poteri e prerogative”[12] in spazi che vanno ben al di là del solo ambiente domestico e che riguardano il sacro e i culti. Si è parlato, quindi, di “epifania della regina e della dea” attraverso proprio la figura di Tanaquilla anche per la donna deposta nella Tomba Regolini-Galassi di Cerveteri. Tomba attribuita a una donna di altissimo rango, capostipite di un gruppo gentilizio e accompagnata da un unico familiare sepolto in una cella laterale più sobria ed ermeticamente chiusa e dal corredo più sobrio[13]. Altri casi simili sono la tomba 2465 di Pontecagnano[14] e la Tomba del Tridente di Vetulonia[15].
Anche fuori dall’ambiente etrusco sono state riconosciute alcune evidenze che hanno portato alla definizione di deposizioni femminili di prestigio attraverso indicatori di tipo sacrale e rituale (scuri, asce, coltelli, spiedi) o indicatori di rango (morsi equini, vasellame ceramico o metallico di tipo cerimoniale): oggetti che sono indizi di prerogative che prefigurano un’ampia gamma di poteri.
Anna Maria Bietti Sestrieri in un suo contributo del 2009 valorizza i ruoli di potere femminili in ambito sacrale e nella produzione della ceramica analizzando la necropoli di Osteria dell’Osa per il periodo laziale II (fine X-IX secolo a. C.). Le ipotesi in campo archeologico sono state affiancate da un’attenta analisi antropologica che ha permesso una verifica delle distinzioni per classi d’età. In questa necropoli sono state individuate una serie di prerogative come chiara manifestazione di potere: alcune specificità nel trattamento del corpo, la presenza nel corredo ceramico di oggetti con valenza rituale o di attributi come il coltello da carne (strumento connesso al sacrificio e all’offerta alla divinità). Questo ha permesso di ipotizzare che le donne deposte in queste sepolture fossero delle sacerdotesse[16].
Un’importanza sociale attribuita alle donne che sembra essere riconosciuta anche in Omero, e richiamata anche da Momolina Marconi: “Così la vita sociale in Omero, e mi richiamo agli studi preziosi del Patroni, continua per consuetudine a riconoscere la superiorità della donna, anche della Donna con la maiuscola […]”[17]. E presumibilmente non è un riferimento alle Amazzoni, non esistendo probabilmente comunità di sole donne dedite alla guerra[18].
É abbastanza certo che alle donne nelle comunità del mediterraneo orientalizzante e non solo fosse affidato un ruolo piuttosto importante. Ed è verosimile che almeno le deposizioni con carro (come per esempio la tomba della Regina di Sirolo-Numana), quelle con armi o quelle con particolari oggetti di potere fossero sacerdotesse (o sciamane) alle quali era attribuito anche un potere socio-politico in virtù delle loro capacità.
Giulia Goggi – maggio 2023
[1] Tito Livio – The History of Rome – Book 34 – Chapter 39;
[2] Gilda Bartoloni – Le società dell’Italia primitiva – Carocci – Roma – 2003 – p. 139;
[3] Gilda Bartoloni e Anna De Santis – “La deposizione di scudi nelle tombe di VIII e VII secolo a. C. nell’Italia centrale tirrenica” – in Preistoria e protostoria in Etruria. Secondo incontro di studi – Milano – 1995 – pp. 278-287;
[4] Gilda Bartoloni, Alessandra Berardinetti e Luciana Drago – “Le comunità della bassa valle tiberina e il Mediterraneo orientale prima della colonizzazione greca” – in Die Agais und das westliche Mittelmeer. Beziehungen und Wechselwirkungen 8. Bis 5. Jh v. Chr. Akten des Symposions (Wien 24-27 Marz 1999) – Vienna – pp. 525-533;
[5] Marina Silvestrini, Tummolesi Patrizia Sabbatini (a cura di) – Potere e splendore. Gli antichi Piceni a Matelica. Catalogo della mostra (Matelica Palazzo Ottoni 19 Aprile-31 Ottobre 2008) – Roma – 2008 – pp. 141-153;
[6] Homer – Odyssey – Book X – Line 210 e ss;
[7] Homer – Odyssey – Book V;
[8] Gilda Bartoloni, Filippo Delpino, Cristiana Morigi Govi e Giuseppe Sassatelli (a cura di), Principi Etruschi tra Mediterraneo e Europa, catalogo della mostra – Venezia – 2000 – p. 278;
[9] Giovanni Colonna – “Novità su Thefarie Velianas” – in Annali della Fondazione Claudio Faina – XIV – Orvieto – p. 9-24; Giovanni Colonna – “Rivista di Epigrafia Etrusca” – in Studi Etruschi – LXXI – Firenze – 2007 – pp. 168-198;
[10] Annette Rathje – “Princesses” in Etruria and Latium? – in AA. VV. – Ancient Italy in its Mediterrean settings. Studies in honour of Ellen Macnamara – Londra – 2000 – pp. 285-300;
[11] Simona Rafanelli – “Da Tanaquilla a Larthia Seianti: la donna etrusca nel pubblico e nel privato” – in C. Casi (a cura di) – La donna nell’antichità. Archeologia e storia della condizione femminile dalla preistoria al Medioevo – Laurum Editrice – Pitigliano (GR) – 2016 – pp. 45-68;
[12] Giovanni Colonna – “Novità su Thefarie Velianas” – in Annali della Fondazione Claudio Faina – XIV – Orvieto – 2007 – p. 9-24;
[13] Giovanni Colonna e Elena Di Paolo – “Il letto vuoto, la distribuzione del corredo e la “finestre” della Tomba Regolini-Galassi” – in Etrusca et italica. Scritti in ricordo di Massimo Pallottino – Roma-Pisa – 1997 – pp. 131-172;
[14] Maria Assunta Cuozzo – Reinventando la tradizione – Paestum, 2003;
[15] Mario Cygielman e Lucia Pagnini – Vetulonia 2. La Tomba del Tridente di Vetulonia – Roma – 2006;
[16] Anna Maria Bietti Sestrieri – “Domi mansit, lanam fecit: Was That all? Women’s Social Status and Roles in Early Latial Comunieties (IIth-9th B. C.)” – in Journal of Mediterranean Archaeology – 21 – I – 2009 – pp. 133-159;
[17] Momolina Marconi – “Da Circe a Morgana” – in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere – 1940-41 – raccolto in Anna De Nardis (a cura di) – Da Circe a Morgana. Scritti di Momolina Marconi – Roma – 2009;
[18] Jeannine Davis-Kimball – Donne Guerriere. Le sciamane della via della seta – Roma – 2009 (prima ed. 2002) – p. 137.