di Giusi Di Crescenzo
Tutto iniziò per la passione che il medico condotto di Corropoli, Concezio Rosa, mise nel cercare, nel territorio in cui abitava e lavorava, qualche notizia in più su quanto i contadini della zona andavano ritrovando mentre zappavano i campi: per lo più pietre lavorate dette “fulmini e saette” perché ritenute fulmini caduti dal cielo per poi riaffiorare in superficie, che venivano conservate come portafortuna e sovente appese al collo dei bambini.
Numerose frecce si trovavano allora quasi in ogni casolare della valle della Vibrata; ma poiché coloro che le avevano raccolte vi attribuivano virtù miracolose e parecchi le avevano ereditate e le tenevano come un polizzino di assicurazione di proprietà e di vita, i possessori difficilmente si lasciavano persuadere a privarsene per amore della scienza.
La credenza che le frecce di selce siano prodotte dal fulmine e da esso preservino le case che le accolgono si può dire che è comune nelle campagne e nei piccoli paesi. Narra il Dott. Nicolucci che “… nei paesi dell’Abruzzo Ulteriore II che fanno corona al lago Fucino, nella Marsica, le cuspidi di freccia e di lancia sono appellate lingue di San Paolo; e come incontra a qualche villico di trovarne, messosi ginocchione si curva devotamente al suolo e con la propria lingua le raccoglie e come potentissimo amuleto le conserva. Nella valle della Vibrata i paesani indicano queste armi col nome di porcheria e si tengono sicuri che possedendo la porcheria celeste, la loro capanna, la famiglia e i buoi, insieme a sette altre case o capanne all’intorno, sieno assicurate contro il castigo divino …” (Giovanni Capellini – L’ età della pietra nella Valle Vibrata – 1871).
Il villaggio di Ripoli è un rilevante abitato preistorico, sorto su un terrazzo fluviale alla sinistra del fiume Vibrata in prossimità di Corropoli in provincia di Teramo. Concezio Rosa fece le sue prime scoperte intorno al 1865 e le prime esplorazioni intorno al 1873. Egli definì il ritrovamento una stazione-officina pensando che solo in una officina di lavorazione poteva trovarsi una tale abbondanza di reperti litici, (lame, cuspidi di freccia e grattatoi). Tutto il resto gli era sembrato nient’altro che “resti di pasto e cucina” come si legge nel suo saggio “Studi di preistoria e storia”.
Avversato da istituzioni e intellettuali fu però anche sostenuto da studiosi come Giovanni Capellini, fondatore di un istituto di ricerca che si chiamava Congresso di antropologia e archeologia preistorica internazionale. Con il suo lavoro riuscì a collezionare 5163 oggetti – che dopo la sua morte finirono al Museo Preistorico Pigorini di Roma – e a dare il via ad un’epoca di scavi che contribuirono significativamente alla conoscenza del Neolitico come “l’epoca dei villaggi” e a indicare Ripoli come un unicum nel panorama dei siti archeologici italiani.
Nel 1910 Angelo Mosso feci i primi scavi ma morì prima di riuscire a pubblicare una relazione sui lavori effettuati. Altri scavi furono realizzati nel 1914 e 1915 da V. Messina che scoprì 34 capanne nel villaggio, e un sepolcreto al centro del villaggio. Il suo giornale di scavo servì venti anni dopo al Rellini a scrivere una monografia sul villaggio di Ripoli che a quel punto degli scavi contava 80 capanne, come risulta da una mappa conservata dal Museo di Ancona.
Ugo Rellini traccerà un quadro particolareggiato sulla cultura di Ripoli e in particolare una definizione precisa dei tipi di ceramica, in particolare della ceramica dipinta e delle caratteristiche della produzione litica e attribuirà la cultura di Ripoli alla fase finale dell’età della pietra, cioè all’eneolitico. Considerò i modelli della ceramica dipinta di provenienza orientale, ma di produzione locale e pur interessandosi molto a Ripoli, “… lo considera solo uno dei gruppi di quella facies culturale, sostanzialmente unitaria, formata dalla ceramica dipinta che ora definiremmo neolitica … L’opinione del Rellini che più ha avuto influenza sugli studi successivi è quella che fa della ceramica figulina il fossile guida della cultura di Ripoli, alla quale venivano in tal modo assegnate molte stazioni, specialmente marchigiane, in cui mancavano la ceramica dipinta e tipi altrettanto rappresentativi …” (Giuliano Cremonesi – Il villaggio di Ripoli alla luce dei recenti scavi – Rivista di Scienze Preistoriche – vol. XX 1965).
Pia Laviosa Zambotti (una studiosa di fama internazionale autodidatta, dalla vita fuori dal comune, premiata dall’Accademia dei Lincei per la sua opera principale “Origini e diffusione della civiltà”) nel suo testo del 1943 “Le più antiche culture agricole europee” riafferma l’attribuzione all’eneolitico di Ripoli e ne fa una facies particolare di una cultura «omogenea» che accoglierebbe in sé svariate tecniche: dalla ceramica impressa alla dipinta, alla graffita, alla monocroma rossa. L’Autrice insiste inoltre in più punti sui paralleli tra Ripoli e la sfera balcanica, in particolare sui contatti con Dimini. (Giuliano Cremonesi, 1965).
Solo 50 anni più tardi, negli anni ’60, ripresero gli scavi a cura dell’Università di Pisa, sotto la guida del Prof. Antonio Mario Radmilli e del Prof. Giuliano Cremonesi, che portarono all’individuazione di 22 strutture. Con i numerosi scavi condotti dal Radmilli in Abruzzo fu superato “… l’eccessivo schematismo di una periodizzazione in facies e culture nettamente distinte cronologicamente e si accettò ancora l’opinione del Rellini che considera elemento tipico di questa cultura la ceramica figulina acroma. Ancora nel 1959 il Radmilli parla di ceramica figulina acroma tipo Ripoli. Da ciò deriva la necessità di far risalire ad una data molto antica questa cultura il cui momento più arcaico sarebbe documentato dai villaggi di Fonti Rossi e Leopardi, quest’ultimo datato col 14C al 4600 a.C., in cui la ceramica figulina acroma è associata alla ceramica impressa …” (Giuliano Cremonesi, 1965).
Con gli scavi più recenti l’inizio di Ripoli si sposta ancora più indietro. In un articolo del notiziario dei Quaderni di Archeologia d’Abruzzo Andrea Pessina, Mauro Rottoli, Tiziana Caironi, Elena Natali affermano che sulla base delle datazioni 14C “… gli inizi di Ripoli vengono a collocarsi negli ultimi secoli del VII millennio BP, in uno spazio cronologico che vede spegnersi a Nord l’aspetto adriatico della Ceramica Impressa (quale documentato a Ripabianca di Monterado presso Ancona), mentre tale cultura in area abruzzese risulta essere già stata in gran parte precocemente soppiantata dallo sviluppo, a partire dal 6.500-6.400 BP (Radi, Tozzi 2009), della cultura di Catignano a ceramica dipinta …”. L’approfondito interesse di Radmilli per il villaggio di Ripoli fece fare una svolta alla visione che l’archeologia ne aveva avuto fino ad allora: in una sua comunicazione orale alla VI Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria tenutasi a d Ancona nel 1961 diede una prima definizione della cultura, definizione che egli andrà precisando sempre meglio, scindendo la cultura di Ripoli dalla ceramica figulina acroma.
Radmilli aveva già introdotto nei suoi studi il concetto di corrente culturale (già in parte enunciato da Aldobrandino Mochi nel 1915 ma di fatto mai preso in considerazione), per cui le culture preistoriche andavano viste come concrete realtà storiche dovute a diverse comunità che sviluppavano, su una base comune, dinamiche e durate diverse con evoluzioni interne variabili dovute a diversità di risorse ambientali ed economiche, contatti e scambi.
Nonostante Radmilli insista sul suo carattere di “cultura”, mettendone in rilievo i tanti motivi di cui è composta, molti studiosi hanno insistito per molto tempo nel definire quello di Ripoli uno “stile”, prendendo in considerazione solo il tipo di decorazioni su ceramica.
Radmilli invece con cinque campagne di scavo – fra il 1960 e il 1965 – mise chiaramente in luce che si trattava di una società complessa, aperta ad influenze esterne, con motivi anche provenienti da territori al di fuori della penisola italiana: una fusione di antiche e varie tradizioni culturali con elementi locali, mentre altri erano invece il risultato dell’evoluzione di tipi indigeni. Sempre a Radmilli si deve la scoperta che Ripoli aveva una storia molto lunga risalente al mesolitico: durante la seconda campagna di scavi infatti vennero alla luce dal fondo di una capanna neolitica reperti del paleolitico superiore. Conferma di una frequentazione del sito risalente all’8000/7000 a.C. è venuta con gli scavi più recenti del 2011, 2012, 2015 guidati da Andrea Pessina, Soprintendente per i beni Archeologici della Toscana, con la scoperta di una paleosuperficie riferibile al Mesolitico, costituita da un’intensa concentrazione di conchiglie tipo Helix associata a industria litica e resti faunistici. Segno che sarebbero esistiti “… accampamenti mesolitici di cacciatori-agricoltori stabilitisi vicino ad un corso d’acqua che, in fase di esondazione, ha coperto gli stessi di limo sigillando un sito di reperti veramente raro data l’eccezionale conservazione. Su questo pavimento sono stati ritrovati resti di ossa di animali cacciati e scarnificati, conchiglie e resti di tartarughe cacciate e cotte …” (Giuliano Cremonesi, 1965).
Durante una delle campagne di Radmilli venne scoperto un pezzo di un fossato: che è una peculiarità di alcuni villaggi neolitici dell’Adriatico centrale e meridionale ma di cui non è chiara la finalità. “… In base a dati tanto scarsi e lacunosi qualsiasi ipotesi sulla sua funzione sarebbe azzardata. D’altra parte tale problema non si può limitare al villaggio di Ripoli, ma va inquadrato in quel complesso più ampio in cui rientrano le trincee dei villaggi materani e siciliani e si collega, quindi, con i tipi di insediamento dovuti a particolari esigenze comuni a un vasto gruppo di genti neolitiche dell’Italia centro-meridionale e insulare …” (Giuliano Cremonesi, 1965).
ASPETTI MATERIALI DELLA CULTURA DI RIPOLI
Un lavoro fondamentale sulla Cultura di Ripoli fu fatto da Giuliano Cremonesi, allievo di Antonio Mario Radmilli. Il suo primo lavoro importante (tesi di specializzazione presso la Scuola Normale di Pisa), fu l’analisi della cultura di Ripoli in base ai dati degli scavi condotti dal 1961 al 1964. Poté, analizzando i materiali delle singole strutture, definire l’evoluzione di una cultura, tradizionalmente racchiusa entro il Neolitico medio a ceramiche dipinte, evidenziandone la lunga durata e l’evoluzione interna che, dalle classiche ceramiche dipinte della fase iniziale, vede graduali modifiche fino al formarsi di un aspetto che recepisce influenze da Diana e dalla Lagozza, elaborandole in quello che poi fu da lui definito aspetto di Fossacesia, che aveva in certo modo unificato l’Italia centrale.
Nel suo schema evolutivo Cremonesi distinse tre diverse fasi culturali caratterizzate in effetti da capanne di forme differenti nella maggior parte dei casi di tipo abitativo.
Ripoli I è caratterizzato da capanne reniformi ed a profilo ellissoidale mentre Ripoli II e Ripoli III presentano capanne circolari, anche doppie o multiple.
Ogni gruppo di capanne presenta variazioni nella presenza dei vari tipi di manufatti sia di ceramica che di pietra e osso. “… D’altra parte è estremamente significativo che nel primo gruppo siano assenti numerosi elementi che compaiono nel secondo e raggiungono percentuali relativamente alte nel terzo. Tra questi ci sono i tipi che trovano confronto con esemplari rinvenuti nella stazione di Diana oppure ritrovati in livelli in cui la cultura di Ripoli si associa a quella di Diana e della Lagozza: le olle, le anse a nastro con margini rilevati, tutto il complesso delle anse tubolari semplici o con varie appendici. Comportamento analogo hanno anche le ciotole troncoconiche con collo cilindrico, i vasi carenati e le anse interne ad anello. Nell’industria litica non si riscontrano variazioni notevoli da un gruppo all’altro per quanto riguarda la percentuale di ciascun tipo; l’unico dato significativo è offerto dalla fortissima crescita dell’ossidiana nel terzo gruppo. … Delle 34 capanne descritte nel rapporto Messina, 8 risultano sconvolte, 18 sono semplici e di queste 10 circolari, 7 ovali ed 1 ha forma definita a “caldaia” (cioè con imboccatura stretta e pareti rientranti), 4 sono doppie e altre 4 multiple … Ripoli fu senza dubbio un centro di notevole importanza abitato da un nucleo numeroso e provvisto di risorse economiche tali da permettere l’esecuzione di un’impresa imponente come il fossato – largo 7 metri e profondo 5 – la quale richiedeva una organizzazione sociale piuttosto evoluta e un lavoro collettivo non indifferente. Le relazioni commerciali abbastanza intense con popolazioni di altre culture sembrano essere un’altra componente che assume una certa importanza nel quadro della economia di Ripoli … una ulteriore riprova della larga attività commerciale delle genti di Ripoli è data dalla larga diffusione della loro ceramica dipinta …” (Renata Grifoni Cremonesi – Aspetti ideologici e funerari nella cultura di Ripoli e nell’ambito dell’Italia centro meridionale – Convegno “Il pieno sviluppo del Neolitico in Italia” – Finale Ligure (SV) – 8-10 giugno 2009).
Dagli esami dei resti faunistici nelle diverse capanne, Cremonesi deduce che grazie soprattutto al posizionamento su terrazze fluviali favorevoli alle coltivazioni: “… L’economia della civiltà di Ripoli è basata prevalentemente sull’ allevamento del bestiame, mentre la caccia rappresenta un’attività relativamente marginale. La presenza di macine e falcetti attesta, inoltre, un largo sviluppo dell’agricoltura …” (Renata Grifoni Cremonesi, 2009).
Gli studi paleobotanici sui resti rinvenuti nei diversi siti hanno messo in evidenza che nel villaggio di Ripoli si coltivavano: farro o Triticum dicoccum, farro grano o Triticum monococco (è una delle prime forme coltivate di grano), Grano Tenero, Triticum aestivum e, come cereale fondamentale, l’orzo, Hordeum vulgare/distichum, ma anche lenticchie e piselli.
Giusi Di Crescenzo – 2021
Bibliografia
- Giovanni Capellini – “L’età della pietra nella Val Vibrata” – estratto delle Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna – 1871;
- Giuliano Cremonesi – “Il villaggio di Ripoli alla luce dei recenti scavi” – in Rivista di Scienze Preistoriche – vol. XX 1965;
- Giuliano Cremonesi – La grotta dei Piccioni di Bolognano nel quadro delle culture dal neolitico all’età del bronzo in Abruzzo – Giardini 1976;
- Maria Antonietta Fugazzola Delpino e Vincenzo Tiné – “Le statuine fittili femminili del Neolitico Italiano. Iconografia e contesto culturale” – in Bollettino di Paletnologia Italiana – 2002-2003 – pp. 19-51;
- Marija Gimbutas – La civiltà della Dea – a cura di Mariagrazia Pelaia – stampa alternativa/nuovi equilibri 2012;
- Marija Gimbutas – Il linguaggio della Dea – Le Civette di Venexia – 2008;
- Renata Grifoni Cremonesi – “Aspetti ideologici e funerari nella cultura di Ripoli e nell’ambito dell’Italia centro meridionale” – Convegno Il pieno sviluppo del Neolitico in Italia – Finale Ligure (SV), 8-10 giugno 2009;
- Renata Grifoni Cremonesi e Anna Maria Tosatti – L’arte Rupestre dell’età dei Metalli nella penisola italiana Localizzazione dei siti in rapporto al territorio, simbologie e possibilità interpretative – Access Archaeology 2017;
- Renata Grifoni Cremonesi e Annaluisa Pedrotti – “L’arte del Neolitico in Italia: stato della ricerca e nuove acquisizioni” – in XLII riunione scientifica dell’I.I.P.P. L’arte preistorica in Italia. – Trento – Riva del Garda – Val Camonica 9-13 ottobre 2007;
- Vicki Noble – La Dea Doppia – Le Civette di Venexia – 2005;
- Andrea Pessina, Mauro Rottoli, Tiziana Caironi e Elena Natali – “Ripoli Ricerche nel villaggio neolitico” – in Notiziario dei Quaderni di Archeologia d’Abruzzo 3/2011 ;
- Concezio Rosa – Studi di preistoria e storia;
- Mario Migliorati – Il villaggio preistorico di Ripoli – 1990;
- John Robb – The early mediterranean Village. Agency, Material Culture, and Social Change in Neolithic Italy – Cambridge University Press, 2007;
- Italico, Centro ricerca per fare, conservare e valorizzare l’arte – “Ripoli, Cultura, arte e tradizione di una civiltà” – in Quaderni di studio, ricerca e documentazione – 1/2013;
- Pia Laviosa Zambotti – Le più antiche culture agricole europee – Casa editrice Giuseppe Principato, 1943.