Homo Sapiens, l’ultimo ramo dell’antropocentrismo ovvero come la paleogenetica riscrive le origini

Homo Sapiens, l’ultimo ramo dell’antropocentrismo ovvero come la paleogenetica riscrive le origini
Cranio Sapiens a sinistra e Neanderthal a destra, a confronto

di Alessandra de Nardis

Non molto tempo fa si insegnava ancora che l’Homo Sapiens, allora soprannominato Cro-Magnon[1], fosse arrivato in Europa circa 40.000 anni fa e che avesse gradualmente sostituito l’uomo di Neanderthal, che infine si sarebbe estinto 35.000-30.000 anni fa. Eravamo ancora ben attaccati all’idea che noi, i Sapiens, fossimo l’apice di una selezione naturale rappresentata sulla scala evolutiva quasi sempre con l’immagine di un maschio bianco che dominava la Terra; un’immagine che sottintende un’infinita scala a scendere, di cui in pochissimi ci si domandava sulle prove scientifiche. Anzi fedeli a questa immagine si cercavano solo conferme alla narrazione, lasciando ai margini dello sguardo dei ricercatori tutto ciò che non fosse in linea con questo presupposto.

Evoluzione umana (immagine generata dall’intelligenza artificiale): ancora oggi, se si domanda ad una AI di rappresentare il concetto di evoluzione umana ci restituisce questa visione

In questi ultimi anni le straordinarie scoperte rese possibili dalla paleogenetica e le tecniche avanzate per l’analisi del DNA antico recuperato da resti fossili, ha rivelato un panorama evolutivo sorprendentemente più complesso, caratterizzato da interazioni tra diverse specie umane e adattamenti genetici fondamentali. Scoperte incredibili che hanno trasformato profondamente la nostra comprensione dell’evoluzione e della storia biologica e culturale dell’umanità. Ma non solo, hanno aiutato anche ad un cambio significativo di prospettiva, superando la visione un po’ semplicistica antropocentrica del “vince il più forte”, riconoscendo l’importanza della nostra inclinazione alla coesione sociale, alla pianificazione, alla comunicazione e alla cura. Questo approccio ha rivelato come la nostra specie si sia evoluta rapidamente, non solo grazie alla forza e al conflitto, ma anche soprattutto grazie alla nostra capacità di costruire legami solidi e di prenderci cura dei nostri simili, facilitando la cooperazione a livello individuale e collettivo.

Un gruppo di donne Sapiens (ph. Tom Björklund)

Una nuova analisi genetica dei resti di Neanderthal, risalenti a più di 50.000 anni fa e rinvenuti in una grotta nei Monti Altai in Siberia, ha rivelato che questi esseri umani viaggiavano in piccoli gruppi organizzati in famiglie. Gli archeologi hanno scoperto ossa e denti frammentati appartenenti a 13 individui, tra cui un padre con la sua figlia adolescente e un giovane ragazzo con una parente adulta, forse una cugina, una zia o una nonna. Questa scoperta offre il primo scorcio di una famiglia di Neanderthal e fornisce il set più completo di genomi di questa specie fino ad oggi. Si ritiene che il gruppo di adulti e bambini sia morto mentre si rifugiava nel loro campo di caccia, lasciando preziose testimonianze per gli studiosi di archeologia e genetica. Lo studio – pubblicato su Nature – è stato guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per l’Antropologia Evolutiva, a cui fa capo il neo premio Nobel per la Medicina Svante Pääbo. Unica autrice italiana è Sahra Talamo, professoressa dell’Università di Bologna e direttrice del laboratorio di radiocarbonio.
Non siamo mai stati soli, anzi lo siamo diventati in un periodo estremamente recente.
Fino a pochissimo tempo fa (in termini evolutivi) la Terra era abitata da più forme umane, diverse tra di loro, imparentate, ma con storie ambientali molto diverse.
La nostra solitudine si è concretizzata probabilmente, in un arco di tempo estremamente recente che va dai 30 ai 12 mila anni fa.
Alcune delle altre forme umane sono arrivate a ridosso della storia con la esse maiuscola per estinguersi infine poche migliaia di anni fa. L’ultima comunità di Neanderthal, vissuta nella zona della rocca di Gibilterra e composta da circa 20-50 individui si è estinta 28,000 anni fa ma non c’è stato nessun genocidio, nessuna violenza, nessuna epidemia, ma qualcosa di più lento e inesorabile: una sostituzione demografica; una lenta pressione da parte nostra Sapiens, che ha portato a una marginalizzazione di questa altra forma umana, che alla fine scompare, prima dal Medio Oriente, poi dall’Anatolia, dai Balcani, poi dall’Italia, poi dalla Francia e infine dalla Spagna, come se fosse stata schiacciata verso occidente da queste continue ondate di ingresso di Homo Sapiens in Europa.

Il Genoma dei Neanderthal e le interazioni con Homo Sapiens
Il genere Homo arrivò dall’Africa nel continente euroasiatico attraverso ondate che si sono ripetute più volte e che hanno portato via via altre forme umane che iniziavano il loro viaggio sempre dallo stesso punto: dal corno d’Africa, migrazioni partite dalle vallate tra l’Eritrea, l’Etiopia, il Kenya, la Tanzania, da lì seguendo il percorso del Nilo e altri corridoi che si aprivano nel Sahara, da cui si arrivava al Mediterraneo e nel Medio Oriente.
Quest’ultimo punto di arrivo è sempre stato il luogo di smistamento fondamentale delle migrazioni umane verso l’Europa da una parte, verso l’Asia e il Caucaso dall’altra.
In due di queste ondate migratorie principali, la prima avvenuta circa 120.000 anni fa, piccoli gruppi raggiunsero il Medio Oriente senza però espandersi significativamente oltre. Questi primi migranti non contribuirono in modo sostanziale al patrimonio genetico delle popolazioni moderne; la seconda ondata, avvenuta circa 60.000-70.000 anni fa, fu invece una migrazione che portò i Sapiens a colonizzare gran parte del mondo. I gruppi che partirono durante questa ondata si espansero dall’Africa attraverso il Medio Oriente, raggiungendo l’Asia, l’Europa, l’Oceania e, successivamente, le Americhe. Questa ondata rappresenta la base principale del patrimonio genetico delle popolazioni umane moderne e furono queste popolazioni a incontrarsi e ad accoppiarsi con i Neanderthal che vivevano già in Europa e in Asia da centinaia di migliaia di anni;le due specie si incrociarono in modo continuativo per circa 7.000 anni, fino a quando i Neanderthal iniziarono a scomparire. Nel 2010, è stato sequenziato il DNA di nuclei cellulari di ossa di Neanderthal rinvenuti nella grotta di Vindija (Croazia), definendo con precisione il periodo in cui la nostra specie si accoppiò con i Neanderthal ereditando così parte dei loro geni e indicando chiaramente che essi sono stati una parte integrante della nostra evoluzione.

Ricostruzione di Neanderthal (a sinistra) e Homo Sapiens (a destra) ad opera dei fratelli Kennis (©The Natural History Museum of London)

Grazie a questa ibridazione avvenuta tra 100.000 e 60.000 anni fa nel Vicino Oriente, gli eurasiatici hanno ereditato molti geni dai nostri antenati Neanderthal che complessivamente costituiscono tra l’1% e 3% dei nostri genomi attuali per cui se considerassimo l’ipotesi di estrarre il DNA di Neanderthal dal nostro genoma, potremmo ricostituirne solo il 60%.

Alcuni geni ereditati dai Neanderthal influenzano vari aspetti della biologia e della salute umana, da un lato hanno fornito vantaggi adattativi utili, dall’altro hanno introdotto rischi per alcune malattie moderne. I Neanderthal infatti avevano sviluppato la capacità di sopravvivere in ambienti freddi e poco ospitali, con patogeni che i Sapiens non avevano ancora incontrato e incrociandoci con essi abbiamo affinato le nostre armi di sopravvivenza. Come riportato in alcuni studi precedenti la maggior parte dei geni di Neanderthal ad alta frequenza sono correlati alla funzione immunitaria, alla pigmentazione della pelle e al metabolismo. La stima basata sul genoma è coerente con le prove archeologiche confermando che gli esseri umani moderni e i Neanderthal hanno vissuto fianco a fianco in Eurasia per un periodo compreso tra 6.000 e 7.000 anni e che il grosso del mescolamento tra i due gruppi umani è avvenuto circa 45.000 anni fa con un’unica ondata molto protratta nel tempo (FONTE).
Le nuove date implicano anche che la migrazione iniziale degli esseri umani moderni dall’Africa all’Eurasia sia sostanzialmente terminata 43.500 anni fa, altrimenti lo scambio di geni con i Neanderthal non sarebbe stato possibile; mentre gli esseri umani moderni si diffusero in tutto il mondo, raggiungendo Africa, Asia, Europa e le Americhe, i Neanderthal rimasero confinati in Europa e in alcune regioni dell’Asia occidentale, senza mai espandersi in altre parti del mondo. Il sequenziamento di un cromosoma Y di Neanderthal, nel 2016, ha rivelato inoltre che il suo DNA non è stato trovato nell’Homo Sapiens, che suggerisce la sterilità maschile negli ibridi nati da padre Neanderthal e madre Sapiens. D’altro canto, il cromosoma Y dei Neanderthal più recenti, probabilmente provenienti dall’Homo Sapiens giunto in Europa tra 370.000 e 100.000 anni prima di oggi, dimostra che l’incrocio tra un padre Sapiens e una madre neandertaliana probabilmente non ha causato la sterilità di maschi. Ancora più interessante: la variante neandertaliana del gene FOXP2, che codifica lo sviluppo delle regioni cerebrali legate all’apprendimento linguistico e al linguaggio articolato, è simile alla nostra, il che suggerisce che anche nostro cugino possedesse un linguaggio.

I Denisovani
Un altro gruppo di esseri umani antichi, il cui genoma estratto da denti e frammenti di un osso di falange rinvenuto nella grotta di Denisova, nei Monti Altaj, in Siberia è stato sequenziato nel 2010. Fino a quella data i Denisovani erano conosciuti solo tramite il loro materiale genetico, ma non avevamo alcuna evidenza fossile diretta della loro morfologia.
Le ricerche hanno rivelato che i Denisovani erano geneticamente distinti dai Neanderthal e dagli esseri umani moderni, ma vi è stata una certa interazione e incrocio tra i Denisovani e le popolazioni asiatiche, in particolare quelle dell’Asia orientale e del sud-est asiatico. Alcuni gruppi di persone moderne, come i Melanesiani, hanno una percentuale significativa di DNA Denisovano (circa il 5%). Si è scoperto nel 2015 e nel 2016 che la popolazione tibetana possiede una versione Denisovana del gene EPAS1, che permette al sangue di ossigenarsi meglio e di riprodursi più facilmente in quota; si tratta dei geni TBX15 e WARS2, che facilitano la resistenza al freddo e l’accumulo di grasso, la cui forma Denisovana è identificata nella popolazione Inuit. Mentre nel 2019 è la volta dei melanesiani, i cui geni Denisovani faciliterebbero la vita in ambiente tropicale; nel frattempo, nel 2018, il DNA estratto da un osso lungo di una giovane ragazza morta 50.000 anni fa all’età di 13 anni, ha rivelato che aveva una madre Neanderthal e un padre Denisova!

Ricostruzione del volto della giovane ibrida: madre Neanderthal e padre Denisova (ph. Maayan Harel)

Da allora, alcune ossa aggiuntive sono state identificate o interpretate come Denisovane: la mandibola di Xiahe (Cina), quella di Penghu al largo di Taiwan, i teschi di Dali (Cina) e Hathnora (India). Nuovo pezzo del puzzle: ulteriori studi hanno rivelato che i Neanderthal e i Denisovani avevano un antenato comune e che i loro lignaggi potrebbero aver iniziato a divergere 450.000 anni fa, dopo che il loro lignaggio comune stesso si è discostato da quello Sapiens circa 650.000 anni fa.

E in Italia?
La penisola italiana fu un territorio coinvolto nell’evoluzione e nelle migrazioni durante le quali Neanderthal e Sapiens coabitarono e si succedettero occupando diverse aree. La presenza dei Neanderthal è relativa ad un periodo che va dai 250.000 ai 40.000 anni fa, corrispondente principalmente al Paleolitico Medio (cultura Musteriana), anche se alcune datazioni provenienti dalla parte superiore della sequenza stratigrafica di Grotta Breuil dimostrano che alcune comunità di Neanderthal erano ancora presenti circa 35-33.000 anni fa, quando nell’Italia del Nord i Sapiens erano presenti già da alcuni millenni.
I Sapiens arrivarono nella penisola invece nel corso della seconda migrazione “Out of Africa” nel Paleolitico Superiore, intorno a 45.000 anni fa. Inizialmente convissero per alcune migliaia di anni ma anche qui alla fine i Sapiens divennero l’unica specie presente. Stiliamo un breve elenco, senza pretesa di esaustività, dei principali siti italiani che ad oggi attestano la presenza di reperti che evidenziano la sovrapposizione delle due specie e quelli in cui ci sono prove di ibridazione come quelle scoperte nel resto del continente. Rimandiamo ad altra sede gli approfondimenti che meritano ognuno di questi importantissimi siti archeologici.

Mappa dei luoghi in Italia

Riparo Mochi – Liguria
Sito pluristratificato Neanderthal e Sapiens con occupazioni ascrivibili al Paleolitico Medio e Superiore. Link al VIDEO.

Riparo Mochi (ph. Istituto Italiano di Paleontologia Umana)

Il riparo roccioso di Mochi, sulla costa ligure dell’Italia, fa parte dell’importante complesso dei Balzi Rossi, situato ai piedi della falesia fra la Grotta di Florestano e la Grotta del Caviglione. A causa della sua natura d’aggrottamento poco profondo, il sito è stato archeologicamente individuato solo nel 1938 a differenza delle altre cavità che sono state per la maggior parte esplorate e “svuotate” tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso.
Il Riparo Mochi rappresenta attualmente l’unico deposito archeologico con una stratigrafia completa che documenta l’intera evoluzione dell’uomo di Neanderthal e lo sviluppo culturale successivo di Homo Sapiens.
Gli scavi, condotti ormai da diversi anni dal professor Stefano Grimaldi, docente di archeologia preistorica presso l’Università di Trento, consentono di studiare le dinamiche di sostituzione tra le due specie e di approfondire l’evoluzione culturale di Homo Sapiens. Nel corso dell’ultima glaciazione, infatti, i gruppi umani che hanno abitato il sito hanno dovuto adattarsi a condizioni climatiche in continua evoluzione, determinando trasformazioni significative nei loro modelli di vita e nelle loro strategie di sopravvivenza.
La sequenza stratigrafica basata su nuove osservazioni sul campo presenta 5 determinazioni al radiocarbonio dai livelli del Paleolitico Medio (tardo Musteriano) e del Paleolitico Superiore Inferiore (Aurignaziano e Gravettiano). La maggior parte delle date è stata prodotta su materiale modificato dall’uomo, in particolare perline di conchiglie marine, che comprendono alcuni dei più antichi ornamenti personali datati in Europa. I risultati del radiocarbonio sono incorporati in un modello statistico bayesiano per costruire un nuovo quadro cronologico per questo sito chiave del Paleolitico. Si tenta anche una correlazione provvisoria della stratigrafia con i record paleoclimatici. Qui sono state ritrovate testimonianze della cultura Aurignaziana associata agli Homo Sapiens.

Perline di conchiglie marine dal Riparo Mochi (ph. K. Douka, S. Grimaldi, G. Boschian, A. Del Lucchese e T. Higham, 2012)

Riparo Tagliente – Veneto
La grotta prende il nome da Francesco Tagliente che la scoprì nel 1958; le prime ricerche furono condotte tra il 1962 e il 1964 a cura del Museo Civico di Storia Naturale di Verona, per poi essere riprese nel 1967 dall’Università di Ferrara e sono ancora in corso.
L’importanza del sito deriva dall’evidenza di due diverse serie di frequentazione, desumibili dal ritrovamento di due depositi di materiali sovrapposti riferibili ad epoche diverse. Un primo deposito, con datazione compresa tra 60 000 e 30 000 anni, riferibile al Neanderthal, ed un secondo deposito, con datazione compresa tra 17 000 e 11 500 anni, riferibile all’Homo Sapiens.
Il sito, oltre ai depositi, ha rivelato i resti di un’area abitativa e di una sepoltura.
Durante gli scavi degli anni ’60 è stata rinvenuta una mandibola umana con segni di patologia, oggi esposta al Museo di Storia Naturale di Verona. Nello stesso contesto sono stati scoperti anche manufatti di arte mobiliare, ora conservati insieme alla sepoltura presso il Museo Archeologico Nazionale di Verona.

In alto a destra il Riparo Tagliente, in basso a sinistra la mandibola trovata e a destra la sepoltura (ph. O.Efe Yavuz, G. Oxilia, S. Silvestrini, L. Tassoni, E. Reiter, D. Drucker, S. Talamo, F. Fontana, S. Benazzi e C. Posth, 2024)

Da datarsi tra il 13.500 e l’11.000 a.C. sono alcuni reperti di osso e di pietra con raffigurazioni di animali. Tra i più famosi un leone inciso su un blocco, che faceva parte della sepoltura e un’imponente stambecco, inciso su di un ciottolo fluviale, uno dei più caratteristici di tutto il Paleolitico Superiore.

Ciottolo con raffigurazione di leone delle caverne (ph. G. Fogolari, P. Leonardi e S. Ruffo, 1973)

Quella che viene definita la rappresentazione di un leone delle caverne, che a noi pare invece una leonessa gravida incisa su un blocco, faceva parte del corredo di una sepoltura insieme ad un ciottolo fluviale con inciso un imponente stambecco.

Lo stambecco inciso su ciottolo fluviale (ph. G. Tavan)

Grotta di Fumane – Veneto
Situata nei pressi di Fumane, in provincia di Verona, è uno dei più importanti siti preistorici in Europa per lo studio della transizione tra i Neanderthal e gli Homo Sapiens. Questo sito offre una straordinaria testimonianza delle culture preistoriche che si sono susseguite nel Paleolitico Medio e Superiore.
La grotta si trova ai piedi dei Monti Lessini, una zona ricca di risorse naturali come acqua, selce e fauna, che la rendeva un luogo ideale per gli insediamenti preistorici.
La sequenza stratigrafica della grotta è eccezionalmente ben conservata e documenta una continuità di occupazione che va da circa 100.000 a 30.000 anni fa, con testimonianze del Musteriano, Aurignaziano e Gravettiano.
I Neanderthal che la occuparono nel Paleolitico Medio, circa 100.000-40.000 anni fa, utilizzarono la grotta come rifugio stagionale, praticando la caccia a grandi erbivori (come cervi e cavalli) e producendo strumenti litici in selce.
La grotta testimonia l’arrivo degli Homo Sapiens, con la comparsa della cultura Aurignaziana. Sono stati rinvenuti strumenti litici più sofisticati, ornamenti e segni di arte figurativa, che segnano un cambiamento culturale. Un ritrovamento straordinario nella grotta è rappresentato da frammenti di pietra con pitture e incisioni, attribuite ai Sapiens Aurignaziani, segni che sono tra le prime forme di arte figurativa conosciute in Europa, testimoniando lo sviluppo del pensiero simbolico; la più famosa è il cosiddetto sciamano di Grotta Fumane. La presenza di focolari suggerisce che la grotta fosse utilizzata come luogo di vita e di preparazione del cibo.

Frammento di pietra a rappresentare la sagoma di una figura sciamanica (rielaborato da ph. www.paleoart-italia.it)

Di recente nei livelli A4-A3 di Fumane sono stati identificati alcuni elementi tipologici che potrebbero essere collegabili all’Uluzziano (Peresani, 2008) la cui datazione viene ritenuta dall’autore compatibile con quella di Castelcivita, circa 34-33 mila anni fa (Gambassini, 1997). Sempre a Fumane è attestata la presenza di contesti culturali aurignaziani con datazioni comprese tra 36 e 31 mila anni fa, attribuiti a Homo Sapiens moderno. Pur con la cautela per la revisione in atto delle datazioni dell’OIS 3 (Anikovich ed altri, 2007; Higham ed altri, 2006) che arretrerebbero l’inizio del Paleolitico Superiore a più di 40 mila anni fa, si pone un problema di ampio respiro che coinvolge tutta la penisola italiana (Ronchitelli ed altri, 2009).

Riparo Mezzena – Veneto
Il sito sui Monti Lessini in provincia di Verona ha restituito fossili di neandertaliani associati ad abbondanti manufatti e resti di fauna.
Dai resti umani è stato estratto il collagene per analisi relative al DNA antico che ha fornito un’età riferibile a 35,5 mila anni fa. Mentre lo studio dell’industria litica dello strato III ha evidenziato una struttura tipologica tipica del Paleolitico Medio nella quale va sottolineata la presenza anche di elementi di “tipo aurignacoide”. Riparo Mezzena si trova a pochi km di distanza da grotta di Fumane e da Riparo Tagliente, due siti che hanno restituito cospicue evidenze della frequentazione antropica durante il Paleolitico Medio e le prime fasi del Paleolitico Superiore. Nei Monti Lessini l’assenza di interstratificazione e la difficoltà interpretativa posta dalle date che, a Fumane, non coinvolge solamente la difficile relazione tra cronologia proposta e posizione stratigrafica ma comprende anche il tema, recentemente proposto, di ipotetici strati Uluzziani (A3 e A4), sottostanti il livello A2 (Protoaurignaziano), ci portano ad ipotizzare che in Italia settentrionale il processo di innovazione intrapreso dall’uomo di Neanderthal, la cui massima espressione si concretizza nell’Uluzziano, sia il frutto di un percorso individuale e non condizionato. In questo scenario la presenza di Neanderthal a Mezzena e di una produzione litica tipica del Paleolitico Medio associata ad elementi tipologici di tipo “Aurignaziano” – elementi leptolitici quali bulini diedri, grattatoi a muso e carenati, punte a dorso insieme ai geometrici semilunari e al cambiamento dell’organizzazione tecnologica – potrebbero rappresentare l’inizio di tale processo innovativo. L’introduzione di questi caratteri tipologici a Riparo Mezzena sono propri del Neanderthal e non si assisterebbe quindi a fenomeni di acculturazione, sebbene vada approfondita l’ipotesi di una possibile coesistenza tra gli ultimi neandertaliani e i primi uomini anatomicamente moderni per meglio comprendere la relazione tra aspetti culturali che diventeranno caratteristici nella successiva produzione del Paleolitico Superiore.

Grotta di San Bernardino – Veneto
La Grotta di San Bernardino di Mossano è il sito archeologico più antico del vicentino, si tratta di una cavità di origine naturale che presenta strati stratigrafici del periodo Paleolitico, alcuni dei quali visibili in sezione; la grotta è stata utilizzata dai Neanderthal a partire da 100,000 anni fa come luogo di macellazione delle prede cacciate.

Riparo del Broion – Veneto
Si trova sui Colli Berici, a 135 metri sul livello del mare nei pressi del comune di Longare, in provincia di Vicenza. Si tratta di un riparo sotto roccia costituito da una copertura creata in seguito al collasso di una parete rocciosa.
Le ricerche dell’Università di Ferrara sono iniziate nel 1998 e sono state portate avanti fino al 2008 dal professor Alberto Broglio. Nel 2015 le ricerche sono state riprese e finora hanno portato alla luce una sequenza stratigrafica che copre migliaia di anni di cultura paleolitica. Gli scavi sono ancora in corso.
Quel che rende importante il Riparo del Broion è proprio la scoperta di tre unità stratigrafiche appartenenti al complesso culturale dell’Uluzziano con grande varietà di reperti e più di 1200 strumenti in pietra scheggiata. Le evidenze archeologiche suggeriscono frequentazioni alternate della grotta da parte dell’uomo e dei carnivori. Inizialmente il sito era frequentato dall’uomo di Neanderthal, (40.000±1270 uncal. B.P. ossia 38.650 a.C.). Segue una fase di abbandono o di frequentazione sporadica dell’uomo nella quale i carnivori, in particolare, l’orso speleo (o orso delle caverne), utilizzano la grotta ripetutamente come tana. E’ solo nella parte sommitale della grotta che abbiamo nuovamente attestazioni di una frequentazione antropica, questa volta dell’uomo moderno, testimoniata da industrie litiche epigravettiane.

Grotta Guattari – Lazio
Il sito di Grotta Guattari, nel Lazio, è uno dei più importanti per lo studio dei Neanderthal. Questa cavità naturale, formatasi nel calcare, fu abitata da gruppi neandertaliani quando le acque del Tirreno iniziarono a ritirarsi dalle grotte del promontorio del Circeo. Le condizioni stabili di temperatura e umidità hanno contribuito alla straordinaria conservazione di resti fossili e manufatti litici.
Le ricerche più recenti hanno portato alla scoperta di ossa appartenenti a un individuo femminile ibrido, con caratteristiche sia di Sapiens che di Neanderthal. Tra i ritrovamenti più significativi vi è un cranio quasi completo, tra i meglio conservati in Europa, che ha permesso di ricostruire l’aspetto dell’individua: mentre la parte frontale mostra tratti tipici dei primi Neanderthal, la parte posteriore è sorprendentemente simile a quella di un Sapiens. Il rinvenimento di strumenti in pietra, tipici della cultura musteriana, e di ossa di animali come cervi, cavalli, rinoceronti e iene, suggerisce che i Neanderthal praticassero la caccia o la raccolta di carcasse. Nel 2021, nuovi scavi condotti dal Ministero della Cultura e dall’Università di Roma Tor Vergata hanno portato alla luce ulteriori resti neandertaliani, con l’identificazione di almeno nove individui di età variabile, dai giovani agli adulti, databili tra 50.000 e 100.000 anni fa.
Link al VIDEO delle scoperte.

Dal sito di Grotta Guattari (ph. https://cultura.gov.it/neanderthal)

Grotta Breuil – Lazio
Grotta Breuil è una delle numerose cavità che si aprono sul versante litoraneo del Monte Circeo, in provincia di Latina, a circa 100 km a sud di Roma.
Fu scoperta per la prima volta nel 1936 da Alberto Carlo Blanc, Luigi Cardini, Hugo Obermayer e dall’abate Henri Breuil, il famoso paletnologo francese a cui, appunto la caverna è stata dedicata.
Al tempo della scoperta, il deposito della grotta suscitò un grande interesse per la notevole consistenza dei reperti. È però solo nel 1986 che l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università di Roma “La Sapienza”, si interessò nuovamente al sito e sotto la direzione del prof. Antonio Bietti iniziò nuove campagne di scavo proseguite sino al 1998. Sono stati ritrovati resti di Neanderthal e numerosi strumenti in selce tipici del Musteriano.
L’accumulo dei resti faunistici della grotta rivela come venivano cacciati soprattutto individui adulti di stambecco e cervo e che la preda veniva riportata intera al sito e qui ai vari stadi del trattamento della carcassa (dallo spellamento al consumo). Le indicazioni stagionali, fornite dagli stadi di eruzione ed usura dei denti degli animali cacciati, suggeriscono un’occupazione della grotta dall’autunno all’inizio della primavera. I resti dell’avifauna (sono state riconosciute 39 specie diverse, tra queste, le più importanti sono rappresentate dal gracchio comune e dal gracchio corallino; incuriosisce le scelta di due specie di uccelli caratterizzate da un piumaggio nero lucente, che porta ad ipotizzare un uso decorativo del piumaggio) indicano un clima temperato-fresco, più o meno come quello attualmente presente nell’Europa centrale, con habitat abbastanza variati, indicati da specie boschive, altre di zone rocciose e di aree aperte. Molto interessanti sono i nuovi risultati ottenuti dall’analisi delle micro-tracce d’uso visibili sui manufatti litici. Questi studi sono molto importanti perché permettono di risalire all’azione svolta dagli strumenti di pietra fabbricati dall’uomo. Nel campione archeologico proveniente dallo strato 6 di grotta Breuil si sono osservate tracce di usura relative ad attività di macellazione, alla raschiatura delle pelli e alla lavorazione del legno. Tre utensili presentano strie caratteristiche dell’attività di desquamazione dei pesci. Una datazione eseguita recentemente con il metodo della “Risonanza elettronica di spin” (ESR), su alcuni campioni provenienti dalla parte superiore della sequenza stratigrafica, ha fornito un’età di circa 33.000 anni da oggi: si tratterebbe di una datazione piuttosto recente per un insediamento Neanderthal che proverebbe che circa 35-33.000 anni fa, quando nell’Italia del Nord l’Homo Sapiens era presente già da alcuni millenni, al Circeo vivevano ancora degli uomini Neanderthal, gli ultimi prima della loro estinzione. È molto probabile che si fossero incontrati con quegli strani esseri dal corpo più slanciato del loro, dalla pelle olivastra, dalla faccia piccola sotto la fronte e dai lineamenti vagamente infantili (Fonte).

Grotta di S. Agostino – Lazio
Al momento, la Grotta di Sant’Agostino è conosciuta per le sue evidenze legate al Paleolitico Superiore e ai Sapiens, con una predominanza di cultura Gravettiana (30.000-20.000 anni fa). Tuttavia, data la presenza nella zona circostante di siti che hanno fornito numerosi indizi della presenza dei Neanderthal, la mancanza di tracce neandertaliane potrebbe essere dovuta a fattori di conservazione o al fatto che i Neanderthal non hanno occupato sistematicamente il sito. La cavità si trova sulla costa tirrenica, a pochi chilometri dal mare, in una posizione strategica che offriva risorse abbondanti, sia marine che terrestri, che rendevano il luogo ideale per l’insediamento umano.

Riparo del Molare (o grotta del Molare o grotta della Molara) – Campania
Sito archeologico datato ad un periodo compreso tra 100.000 e 50.000 anni fa, il riparo ha restituito oltre a depositi litici musteriani una mandibola neandertaliana scoperta nel 1985 e attribuita a un bambino di 4 anni. Gli scavi hanno messo in luce, a vari livelli, due strutture di organizzazione dello spazio abitato e alcune aree di combustione non strutturate, di forma ovale e dimensioni contenute. Abbondanti i materiali litici e i resti di pasto raccolti. Gli studi sedimentologici e paleontologici sulla mandibola, non ancora ultimati, ci permettono ora di datare tale reperto ad un momento interno allo stadio isotopico 5 piuttosto che attribuirlo, come suggerito precedentemente, agli inizi del 4. L’antichità del reperto trova conferma nei tratti metrici e morfometrici delle sue strutture e nel suo volume complessivo. I caratteri plesiomorfi e apomorfi, soprattutto, sono ben documentabili nonostante si tratti di una mandibola giovanile; essi rientrano nella tipologia del taxon dei neandertaliani quale ce la consegna il record fossile omologo di questa specie. Sul reperto sono in atto tentativi di indagini sul mtDNA.

Le Grotte di Capo Palinuro – Campania
Le grotte di Capo Palinuro, oggi affacciate sul mare, presentano un paesaggio molto diverso rispetto a circa 130.000 anni fa, durante la fase glaciale Riss. Allora, il mare era arretrato e il territorio era coperto da boschi e radure, popolato da animali come stambecchi, daini, cervi, cavalli, orsi e leoni delle caverne. In questo contesto, le grotte fungevano da rifugio per l’Homo Erectus.
L’area è ricca di siti preistorici, con oltre 60 grotte esplorate tra Palinuro e Marina di Camerota, tra cui la Grotta Visco, la Grotta delle Ciavole e la Grotta delle Ossa, quest’ultima nota per i suoi resti fossili.
I reperti rinvenuti risalgono a un ampio arco temporale, da circa 500.000 anni fa fino all’inizio della storia. Le tracce più antiche della presenza umana si trovano nella baia di Cala Bianca, con strumenti di pietra risalenti a quasi mezzo milione di anni fa. Durante il Paleolitico Medio, tra 100.000 e 25.000 anni fa, l’uomo di Neanderthal si stabilì nelle grotte, lasciando strumenti e resti di animali cacciati.
Nel Paleolitico Superiore (25.000-10.000 anni fa) si documenta la presenza dell’Homo Sapiens con reperti di diverse culture come l’Aurignaziano e il Gravettiano. La Grotta della Serratura offre una stratigrafia che include anche il Mesolitico e il Neolitico, quest’ultimo recentemente scoperto, segnando il cambiamento culturale verso l’agricoltura e l’allevamento.

Grotta di Castelcivita – Campania
Le grotte di Castelcivita sono un complesso di cavità carsiche sulla sponda destra del fiume Calore a 300 metri circa dal Ponte Paestum nel comune campano di Castelcivita in provincia di Salerno. Particolarmente ricche di stalattiti e stalagmiti, si estendono per svariati chilometri nel massiccio degli Alburni principalmente nei comuni di Castelcivita e Controne.
Nelle grotte sono stati rinvenute tracce di occupazione da parte dell’uomo di Neanderthal; a questa frequentazione è riferito il ritrovamento di un pestello per macinare i cereali, datato a circa 40.000 anni a.C. (coevo a quello ritrovato nelle Grotte dei Balzi Rossi in Liguria) ovvero circa 30.000 anni prima del periodo in cui si pensa l’Homo Sapiens abbia iniziato a praticare l’agricoltura.

Grotta Paglicci – Puglia
Un sito fondamentale, con resti di Homo Sapiens, utensili Aurignaziani e Gravettiani, oltre a pitture rupestri e oggetti di arte mobiliare. Sono state trovate anche sepolture e tracce di alimentazione.

Grotta di Altamura – Puglia Nella Grotta di Lamalunga è stato scoperto lo scheletro di un Neanderthal, il famoso “Uomo di Altamura” intrappolato in un deposito calcareo.

L’uomo di Altamura

Fra gli scheletri più completi mai rinvenuti, l’Uomo di Altamura è una delle più straordinarie scoperte paleontologiche effettuate in Italia; i resti appartenenti ad un individuo vissuto tra i 180.000 ed i 130.000 anni fa furono rinvenuti nel 1993 e restano ad oggi un caso eccezionale sia dal punto di vista geologico sia da quello archeologico, per la sua integrità strutturale scheletrica e per l’ottimo stato di conservazione. L’Uomo di Altamura era probabilmente un maschio adulto di 160-165 centimetri di altezza che, durante una battuta di caccia, cadde in uno dei tanti pozzi carsici presenti nella zona. Le fratture e le ferite riportate gli impedirono di uscire dalla grotta, che da quel momento divenne la sua tomba per sempre, a 8 metri di profondità.

Grotta del Cavallo – Puglia
La Grotta del Cavallo è uno dei più antichi siti italiani con resti di Homo Sapiens, databili a circa 43.000 anni fa. Qui sono stati rinvenuti strumenti Aurignaziani e oggetti ornamentali, fornendo preziose testimonianze sulle prime popolazioni umane in Europa.
Situata nella costiera calcarea del comune di Nardò, vicino alla costa ionica salentina, la grotta fa parte di un più ampio sistema di caverne naturali nella Baia di Uluzzo, all’interno del Parco Regionale di Porto Selvaggio. Il suo nome deriva dal ritrovamento di numerosi resti di asinidi. Accanto ad essa, nella stessa baia, si trovano altre due grotte di interesse archeologico: la Grotta di Uluzzo (o Uluzzo B) e la Grotta Cosma (Uluzzo C).
La scoperta della Grotta del Cavallo risale al 1964, quando vennero rinvenuti due denti molari decidui all’interno di una stratigrafia di 7 metri con diversi livelli riferibili al Paleolitico. I resti e i manufatti associati furono inizialmente attribuiti a una cultura affine al Castelperroniano, denominata Uluzziana dal toponimo della zona. Questa cultura, diffusa in gran parte della penisola italiana, era caratterizzata da strumenti in pietra e ornamenti in conchiglia, elementi che portarono a supporre una connessione con l’Homo Neanderthalensis, ritenendo l’Uluzziano una delle ultime espressioni della cultura neandertaliana. Nel 2011, tuttavia, una ricerca guidata da Stefano Benazzi dell’Università di Vienna, pubblicata sulla rivista Nature, ha rivelato che i denti rinvenuti nella grotta appartenevano non a Neanderthal, ma a uno dei primi Homo Sapiens vissuti tra 43.000 e 41.000 anni fa. Secondo Benazzi, questi risultati suggeriscono che la cultura Uluzziana non sia da attribuire ai Neanderthal, bensì agli esseri umani moderni. Tuttavia, sebbene la provenienza dei denti sia oggi accettata, l’attribuzione dell’intera cultura Uluzziana a Homo Sapiens rimane ancora oggetto di dibattito.


Note
[1] Il termine Cro-Magnon dalla grotta della valle del Vézère, in Dordogna (Francia) dove nel 1868 sono stati rinvenuti cinque scheletri, 3 uomini, una donna e un bambino datati circa 28.000 anni fa, attribuiti alla cultura aurignaziana. Uno dei 3 uomini era alto circa cm. 180, dotato di una muscolatura massiccia. Il fossile è diventato celebre a tal punto che il nome Cro-Magnon è stato utilizzato per molto tempo ad indicare ogni Homo Sapiens europeo del Paleolitico Superiore (45.000-10.000 anni circa). Interessanti alcune caratteristiche anatomiche, come le orbite rettangolari, una capacità cranica di 1500 cc, simile a quella del Neanderthal e maggiore rispetto ai Sapiens moderni (1350 cc circa in media).


Bibliografia

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  2. Romain Pigeaud – “La révolution paléogénetique” – in Origines de l’humanité. Faissonsconnaissance – 2025;
  3. Mark Lipson, Olivia Cheronet, Swapan Mallick, Nadin Rohland, Marc Oxenham, Michael Pietrusewsky, Thomas Oliver Pryce, Anna Willis, Hirofumi Matsumura, Hallie Buckley, Kate Domett, Giang Hai Nguyen, Hoang Hiep Trinh, Aung Aung Kyaw, Tin Tin, Battista Pradier, Nasreen Broomandkhoshbacht, Francesca Candilio, Piya Changmai, Daniele Fernandes, Matteo Traghetto, Beatriz Gamarra, Eadaoin Harney, Jatupol Kampuansai, Wibhu Kutanan, Megan Michel, Mario Novak, Jonas Oppenheimer, Kendra Sirak, Kristin Stewart, Zhao Zhang, Pavel Flegontov, Ron Pinhasi e David Reich – “Ancient genomes document multiple waves of migration in Southeast Asian prehistory” – in Science – vol. 361 n. 6397 – 2018;
  4. Katerina Douka, Stefano Grimaldi, Giovanni Boschian, Angiolo del Lucchese e Thomas F.G. Higham – “A new chronostratigraphic framework for the Upper Palaeolithic of Riparo Mochi (Italy)” – in Science Direct. Journal of Human Evolution – vol. 62 n. 2 – 2012;
  5. Orhan Efe Yavuz, Gregorio Oxilia, Sara Silvestrini, Laura Tassoni, EllaReiter, Dorothée G. Drucker, Sahra Talamo, Federica Fontana, Stefano Benazzi e Cosimo Posth – “Biomolecular analysis of the Epigravettian human remains from Riparo Tagliente in northern Italy” – in Communications Biology – n. 7 – 2024;
  6. Gino Fogolari, Piero Leonardi e Sandro Ruffo – “Riparo Tagliente (Verona)” – in Notiziario Extra Regionale di Preistoria Alpina – n. 9 – Trento – 1973 – pp. 276-278.

Alessandra de Nardis 9 Febbraio 2025