Le popolazioni di Grotta Fumane (VR)

Le popolazioni di Grotta Fumane (VR)

di Elvira Visciola

La Grotta di Fumane rappresenta in Europa uno dei più importanti archivi archeologici del Paleolitico Medio e Superiore. Abitata dapprima dall’Homo Neanderthalensis e successivamente dagli Homo Sapiens, in un periodo che va da circa 90 a 25 mila anni fa, offre un’importante testimonianza delle dinamiche che hanno portato a quei cambiamenti biologici e culturali nell’evoluzione umana, sino all’affermazione della nostra specie avvenuta attorno a 40.000 anni fa.

La grotta è una cavità carsica ubicata a circa 6 km a nord del paese di Fumane, nel territorio della Valpolicella, nei pressi dei monti Lessini, in provincia di Verona; è posta a circa 350 metri di quota s.l.m. ed è caratterizzata da un ampio atrio con tre gallerie, ad oggi non completamente esplorate. L’esposizione della cavità a sud insieme alla presenza in prossimità di un corso d’acqua ed all’ampiezza dell’atrio (circa 100 mq) hanno favorito lo sviluppo dell’insediamento umano; la posizione strategica della grotta, tra la pianura sottostante e le cime alte fino a 1600 metri, è stata la condizione ideale per la caccia in ambienti diversi (stambecchi, camosci, cervi, caprioli, ecc.), mentre le formazioni rocciose ricche di selce hanno favorito l’approvvigionamento di materiali per i vari usi.

Fino al 1960 la grotta non era ancora conosciuta poiché l’ingresso era ricoperto da detriti di frana misti a fitta vegetazione; tuttavia già nel XIX secolo una relazione dell’ingegnere Stefano de Stefani segnalava una frana di rocce dolomitiche miste a materiale archeologico in prossimità della strada verso Molina, quella che passa davanti la grotta. Quest’ultima è stata definitivamente scoperta nel 1962 dall’archeologo Giovanni Solinas, a cui si deve ancora oggi la denominazione di Riparo Solinas, ma solo nel 1964 è avvenuta la prima esplorazione da parte di una equipe di studiosi del Museo di Storia Naturale di Verona, coadiuvati da Angelo Pasa e Franco Mezzena, lavori prematuramente interrotti per la morte improvvisa del Prof. Pasa. Dopo questa prima ricerca è seguito un lungo periodo di abbandono, con il ripetuto saccheggio clandestino dei depositi superficiali; solo nel 1982 si è avuta la prima effettiva campagna di indagini affidata al coordinamento di Alberto Broglio e Marco Peresani dell’Università di Ferrara e di Mauro Cremaschi dell’Università di Milano, scavi che sono tuttora in corso, eseguiti per due o tre mesi ogni anno.

L’atrio della grotta (ph. M. Bolognesi ed altri, 2015)

La grotta ha uno sviluppo in lunghezza di circa 22 metri ed una profondità, misurata nel suo punto più lontano, di circa 10 metri; le varie aree accessibili hanno restituito sezioni stratigrafiche di circa 12 metri fino al fondo della roccia e sono oggetto di studio di equipe specialistiche provenienti da centri di ricerca italiani, inglesi, francesi e tedeschi. Nel complesso si sono distinte quattro macro unità stratigrafiche, dal basso verso l’alto, definite sulla base delle caratteristiche delle rocce e del contenuto dei ritrovamenti antropici, tali da fornire anche precise informazioni sui mutamenti climatici ed ambientali avvenuti nel corso del tempo.

Il primo strato fa riferimento al periodo Musteriano (Paleolitico Medio), così chiamato dal Riparo classico di Le Moustier, in Dordogna, che si colloca all’incirca tra 80 e 45 mila anni fa; indagato solo in minima parte, riflette l’esistenza di un paesaggio boscoso, riferibile alla fase iniziale dell’ultima glaciazione (Glaciale di Wurm); ad essa si sovrappone uno strato di brecce e polveri trasportate dal vento, espressione di un clima molto più freddo, caratterizzato dall’espansione dei ghiacciai alpini in altura e di un paesaggio steppico nelle Prealpi ed in Val Padana. In questo periodo l’area era frequentata da gruppi di Neandertaliani adattati agli ambienti freddi, ma con frequentazioni della grotta di breve durata e ripetute nel tempo probabilmente perché durante questo periodo i gruppi neandertaliani erano meno numerosi e si recavano in queste zone solo per brevi battute di caccia.

Sono state trovate molte strutture di combustione assimilabili a focolari con caratteristiche simili tra loro: sottile strato di sabbia arrossata alla base, coperto da circa 1 cm. di carboni bruno scuro con la presenza di ceneri al centro o al lato del focolare. In alcuni di questi focolari si è riscontrato il successivo riutilizzo, a distanza di tempo, come focolare oppure come discarica di materiali combusti rimossi da focolari limitrofi; un focolare è stato trovato circondato da pietre per proteggerlo probabilmente dai venti provenienti dall’esterno della grotta. Insieme ai carboni sono stati trovati resti ossei di animali, quali cervidi, cinghiali, alci, bue primigenio, caprini e bisonti, oltre a vari strumenti in pietra utilizzati per macellare le prede e per lavorarne la pelle oppure per trasformare altre pietre in raschiatoi e punte.

Una scoperta molto interessante di questo strato è stato il ritrovamento di ossa di ali di uccello (un gipeto, un falco cuculo, un colombaccio, un gracchio alpino ed un avvoltoio monaco) tagliate e raschiate di certo non per uso alimentare, ma in modo tale da provocare il distaccamento ed il recupero delle penne remiganti, usate probabilmente per decorazione personale per adornare abiti, oggetti o abitazioni, così come è riscontrabile nell’arte piumaria delle popolazioni primitive attuali e sub-attuali. Oltre alle ossa di ali è stata recuperata una falange ungueale con alcune strie che suggeriscono la precisa volontà di recuperare dal rapace l’artiglio. Bisogna evidenziare che tali pratiche venivano attestate solo a partire da 15 mila anni fa fino al medioevo e quindi queste scoperte consentono di retrodatare di decine di migliaia di anni le capacità espressive della specie neandertaliana, con forme di comportamenti simbolici ed uso di ornamenti come espressione di un linguaggio astratto. A conferma di ciò vi è inoltre il ritrovamento di una conchiglia fossile, l’Aspa marginata, con strie evidenti di una cordicella per la sospensione e l’applicazione in superficie di tracce di pura ematite finemente macinata. La presenza del monile testimonia un’attività di raccolta intenzionale dell’oggetto, avvenuta ad un minimo di 110 km di distanza dal luogo in cui è stata trovato (probabilmente presa sulla costa ligure o adriatica) mentre l’ocra sulla conchiglia è presumibilmente ematite prelevata in una delle cave ubicate tra i 5 ed i 20 km di distanza dalla grotta.

Per quasi tutto il XX secolo si è pensato che la popolazione dei Sapiens fosse stata la prima ad esprimere comportamenti simbolici, da cui l’appellativo di “uomini moderni”, ma i ritrovamenti di grotta Fumane forniscono nuova luce sulle capacità cognitive dei Neanderthal che erano dunque proprie e non derivate dal contatto con i Sapiens.

Studio sulle penne remiganti e sulla falange ungueale di aquila reale (ph. M. Romandini)

Il secondo strato fa riferimento al periodo Uluzziano, così chiamato dalle grotte della Baia di Uluzzo nel Salento, che rappresenta il livello di frequentazione degli ultimi neandertaliani e la prima diffusione degli uomini moderni, quindi a tutti gli effetti è un livello di transizione tra 45 e 40 mila anni fa; è caratterizzato dall’alternarsi di fasi più fredde ed aride a fasi meno fredde e più umide, durante le quali i ghiacciai si ritirarono. A Fumane lo strato è caratterizzato da un cambiamento nello strumentario, per la comparsa di nuovi utensili in pietra o in osso realizzati con innovazioni tecniche sia nel modo di produzione che nell’utilizzo. Per quanto concerne i focolari e le altre strutture di abitato così come le tracce di economia alimentare sono sostanzialmente simili ai livelli musteriani.

Il terzo strato fa riferimento al periodo Aurignaziano, tra 40 e 32 mila anni fa, così denominato dal Riparo sotto roccia di Aurignac, un piccolo paese nei Bassi Pirenei in Francia; è lo strato maggiormente indagato, frequentato anticamente tra la fine della primavera e l’autunno, occasionalmente durante l’inverno, a testimonianza del fatto che gli antichi abitanti praticavano un sistema di migrazione stagionale, probabilmente legato ai tempi della caccia ed alle condizioni climatiche (con i climi freddi le popolazioni si spingevano in luoghi più caldi); questo periodo è caratterizzato dalla definitiva scomparsa dei Neanderthal e dalla diffusione dei Sapiens avvenuta intorno a 41 mila anni fa. Come per i Neanderthal, anche i Sapiens si alimentavano di prodotti della caccia e la grotta fungeva da accampamento principale organizzato in settori per specifiche attività, con aree per le diverse fasi di lavorazione della selce, per il trattamento delle pelli, per l’accensione di fuochi, per la produzione di espressioni pittoriche in ocra rossa e aree dove si accumulavano i rifiuti.

Strutture di combustione e zone di rifiuto del livello Aurignaziano (ph. A. Broglio e M. De Stefani)

L’abitato era esteso per circa un centinaio di metri quadri, soprattutto nella zona dell’atrio, mentre le aree interne della grotta non sono ancora state esplorate; la superficie di calpestio è stata spianata a creare un piano orizzontale su cui sono stati trovati diversi focolari; quello più ampio, del diametro di circa 1 metro e profondo 6 cm., è situato all’ingresso della grotta, circondato da grandi lastre in pietra e quattro buche di palo, come se una copertura addossata all’arco di ingresso fungesse da riparo.

Ma le prove archeologiche più importanti del tempo sono gli oggetti ornamentali ricavati da conchiglie marine e denti di cervo, oltre a testimonianze di uso di ocra rossa in oggetti decorati e pitture che costituiscono una ricca documentazione della spiritualità di questi popoli. Sono state trovate quasi 1000 conchiglie marine, raccolte probabilmente lungo le coste tirreniche o adriatiche e appartenenti a oltre 50 specie diverse, per la maggior parte intere e spesso perforate, alcune con la colorazione originaria, mentre su altre sono rinvenibili tracce di ocra rossa; sono state trovate insieme a quattro incisivi di cervo, entrambe venivano perforate per infilare una corda e fabbricare quindi monili da indossare. Le specie ritrovate testimoniano che si preoccupavano di scegliere con cura gli esemplari più belli e più piccoli. Circa una sessantina di conchiglie ancora integre sono state trovate in un angolo della grotta, forse accumulate in quel luogo per procedere alla successiva lavorazione. Altre prove archeologiche testimoniano la lavorazione dell’osso e del corno per la produzione di attrezzi e zagaglie. L’impiego dell’ocra rossa, comune a tanti siti dell’aurignaziano in Europa, è presente nel sito di Fumane sotto forma di grumi, infatti l’ematite terrosa veniva mescolata con un collante organico, spesso la cera d’api che funzionava anche come idrorepellente. L’ocra rossa serviva anche come antifermentante nel trattamento delle pelli animali.

Le conchiglie Aurignaziane di Grotta Fumane (ph. M. Vanhaeren)

Oltre alle conchiglie, il ritrovamento eccezionale è costituito da 6 frammenti di roccia, con pittura in ocra rossa, che si sono staccati dalle pareti o dalla volta della grotta, ritrovate quindi sul suolo aurignaziano e sono ad oggi tra le più antiche espressioni pittoriche (vedi “Pietre dipinte da Grotta Fumane”). Ad epoca aurignaziana sono da attribuire molte decorazioni parietali di grotte dell’area franco-cantabrica, queste ultime spesso utilizzate come grotte-santuario piuttosto che come abitazione, così come è evidente a Fumane. I frammenti di roccia dipinta si sono staccati durante l’occupazione aurignaziana e sono rimasti deposti sulla superficie di calpestio dell’epoca. Due sono le più note, una con la sagoma di un animale, un mustelide o un felide e l’altra dipinta con la sagoma di una figura sciamanica vista frontalmente, con un copricapo o maschera con due corna che tiene in mano un oggetto votivo. Gli altri frammenti recuperati non consentono invece un’interpretazione puntuale in quanto sono raffigurazioni troppo frammentarie ma, nel complesso, i reperti di Fumane sono tra i più antichi in Europa.

Alcuni frammenti di roccia dipinta dagli strati Aurignaziani di Grotta Fumane

L’ultimo strato fa riferimento al Gravettiano, databile a circa 30 mila anni fa, quando la grotta è stata abbandonata, con alcune presenze sporadiche; in particolare è stata ritrovata un’unica punta a dorso gravettiana, tipica arma da getto dell’epoca, che è fatta risalire a circa 25 mila anni fa.

Attorno a 20 mila anni fa si suppone sia avvenuto il crollo della Grotta, rimasto integro fino ai giorni nostri della sua ri-scoperta. La galleria principale conserva nella parte più interna una concentrazione di grandi ossa non ancora studiata, formata dopo l’abbandono del sito, quando la grotta divenne una tana di iene.

Elvira Visciola – aprile 2021


Bibliografia

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