Si tratta di n. 5 reperti in roccia rinvenuti in differenti punti della Grotta di Fumane, nei livelli aurignaziani, delle dimensioni comprese tra i 10 ed i 30 centimetri, con raffigurazioni in ocra rossa, alcuni a rappresentare motivi schematici, altri motivi naturalistici tra cui animali, vegetali ed una figura antropomorfa molto particolare. Le rocce sono tutte fratturate in punti tali da interrompere le figure e sono state trovate tutte capovolte alla base del livello archeologico; queste prove hanno permesso di appurare che i frammenti si sono sicuramente staccati per effetto crioclastico durante l’occupazione aurignaziana del sito dalle volte o dalle pareti della cavità che quindi erano decorate. All’interno della grotta l’uso dell’ocra è attestato in più punti, con il ritrovamento di circa 50 blocchetti di ocra rossa e gialla, oltre a due aree la cui superficie ne era interamente ricoperta, una nella parte interna e l’altra nell’ingresso, corrispondenti ad una datazione di circa 41.000 anni fa; successive indagini hanno permesso di appurare che l’ocra è stata recuperata dalle cave poste ad una distanza tra i 5 ed i 20 chilometri dalla grotta. È molto probabile che l’età delle decorazioni delle rocce sia contemporanea dei depositi di ocra ritrovati, cosicché le pitture di Fumane possono considerarsi la più antica forma di arte parietale europea.
Un primo frammento è stato trovato sotto l’arco d’ingresso alla grotta; ha dimensioni massime di circa 30x10x7 cm. e rappresenta la sagoma di un animale a quattro zampe con un lungo collo ed un corpo snello, probabilmente un mustelide o un felide, con alcune parti mancanti per il distacco di un clasto (la coda e la quarta zampa, la posteriore).
Il secondo frammento, quello più conosciuto, è stato trovato nei pressi dell’entrata di una galleria della grotta, vicino la parete di fondo a sinistra; delle dimensioni massime di 24x11x8 cm., rappresenta una figura umana con il corpo a sviluppo lineare, braccia orizzontali e gambe divaricate, due grandi corna sul capo triangolare (identificato con una maschera) e all’altezza dell’ombelico si stagliano due piccole prominenze laterali; dal braccio destro pende qualcosa, forse un animale a quattro zampe oppure un oggetto rituale. L’immagine è stata interpretata come una figura sciamanica, simile ad altre figure trovate in siti dell’aurignaziano, come la statuetta in avorio dell’uomo-leone di Hohlenstein-Stadel e le figure sciamaniche con corna dipinte nella grotta des Trois-Freres in Francia e nella Grotta del Genovese a Levanzo in Sicilia.
Il terzo frammento è stato ritrovato nei pressi del secondo, delle dimensioni massime di 20x17x12 cm. potrebbe rappresentare un corpo animale ma non è interpretabile il tipo a causa dell’incompletezza del reperto.
Il quarto reperto è quello più grande, ritrovato nei pressi dell’entrata di una galleria della grotta, quella più a sinistra, delle dimensioni massime di 35x20x8 cm., rappresenta un motivo circolare da cui si diramano tre tratti da un lato ed un tratto largo, quasi ovale, dalla parte opposta; è di difficile interpretazione, forse una figura umana. Il quinto reperto è stato ritrovato nei pressi del quarto, delle dimensioni di 14x7x5 cm. potrebbe rappresentare un corpo animale ma non è interpretabile il tipo a causa dell’incompletezza del reperto.
Note storiche
La grotta, già anticamente ricoperta di detriti di frana, è stata riscoperta nel 1962 dall’archeologo Giovanni Solinas, a cui si deve ancora oggi la denominazione di Riparo Solinas ma solo nel 1964 è avvenuta la prima esplorazione da parte di una equipe di studiosi del Museo di Storia Naturale di Verona, coadiuvati da Angelo Pasa e Franco Mezzena, lavori prematuramente interrotti per la morte improvvisa del Prof. Pasa. Dopo questa prima ricerca è seguito un lungo periodo di abbandono con il ripetuto saccheggio clandestino dei depositi superficiali; solo nel 1982 si è avuta la prima effettiva campagna di indagini affidata al coordinamento di Alberto Broglio e Marco Peresani dell’Università di Ferrara con l’ausilio di Mauro Cremaschi dell’Università di Milano, scavi che sono tuttora in corso, eseguiti per due o tre mesi ogni anno.
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