Gli idoletti a losanga

Gli idoletti a losanga
I due idoletti a losanga nella visione anteriore (ph. Gabriele Martella, per gentile concessione del Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas di Palermo)

di Barbara Crescimanno

Al Museo Archeologico Salinas di Palermo sono conservati due idoletti “a losanga” in argilla scura, alti circa 10 cm., risalenti all’Eneolitico medio (metà III millennio a.C.) e rinvenuti in una tomba trovata di fronte al cancello del Parco della Regia Favorita, a Piazza Leoni, nella pianura che circonda il Monte Pellegrino. I due reperti, descritti nella scheda “Idoletti a losanga di Palermo”, sono messi in comparazione da Angelo Mosso con “figure simili provenienti dall’Egeo. Il fondo è macchiettato in nero per dargli l’aspetto tigrato caratteristico che trovammo nel vestito delle sacerdotesse sul sarcofago dipinto di Haghia Triada. Questa coincidenza è istruttiva per spiegare le relazioni del culto minoico colla Sicilia”.

Idoletti da Haghia Triada (ph. A. Mosso, 1912)

Mosso accosta gli idoletti palermitani ad altri idoletti cosiddetti “piatti”: i primi due, da Haghia Triada (Festos, Grecia), hanno le braccia a monconi come negli esemplari palermitani ma con i seni in evidenza, diversamente da questi; l’altro reperto in comparazione, frammentario, proviene invece dalla caverna delle Arene Candide in Liguria.

In alto a sinistra statuina di età neolitica proveniente dalle caverne della Liguria (ph. A. Mosso, 1912); in basso a sinistra statuina neolitica proveniente dalla Grotta delle Arene Candide (ph. su gentile concessione del Ministero della cultura, Soprintendenza ABAP IM-SV) a destra Statuina ed altri manufatti in terra cotta provenienti dalla Grotta delle Arene Candide in un disegno di Nicolò Morelli (ph. A. Issel, 1908)

Sono questi i primissimi raffronti, risalenti all’inizio del secolo scorso, tra idoletti di differenti origini geografiche: ne proponiamo adesso altri, iniziando dalla stessa Sicilia.
Un idoletto femminile è stato ritrovato nel villaggio di facies castellucciana della Torricella, presso Ramacca (Catania), insieme a numerosi altri frammenti di ceramica, in un deposito probabilmente dilavato dalle tombe a forno della necropoli soprastante. Mentre il resto della ceramica rinvenuta sembra avvicinarsi ai tipi etnei, l’idoletto, sebbene mutilo, presenta notevoli affinità con quelli di Palermo. Si tratta di una figura femminile con i seni in rilievo, interamente ricoperta da una vernice rossa lucida sulla quale risalta una decorazione a linee nere: due di queste, parallele, si incrociano a bande diagonali sul petto e tre, analogamente, sul dorso, creando un disegno simile alla decorazione a fascia crociata dell’idoletto palermitano (presente anch’essa sia sulla faccia anteriore che posteriore del reperto). Sul collo rimane traccia di almeno una linea orizzontale. Numerosi frammenti fittili di altre tipologie di oggetti ritrovati insieme alla statuina (come sigilli, recipienti, lucerne, fusaiole etc.) presentano lo stesso tipo di decorazione a bande incrociate.

Figurina fittile antropomorfa da Ramacca, contrada Torricella (ph. G. M. Sluga, 1973)

Questa decorazione a X, eseguita con linee parallele nel caso di Ramacca e con fasce campite nel caso della Favorita, è uno degli elementi che accomuna fortemente – dal punto di vista simbolico e stilistico – i due ritrovamenti. “Si tratta di un elemento della più ampia diffusione sia nel tempo che nello spazio, la cui costante ripetizione […] compare con una certa frequenza fin dal quarto millennio su numerose figurine in terracotta, pietra e bronzo dalla Mesopotamia all’Europa Centrale”; nella totalità dei casi si tratta di figure femminili più o meno schematizzate, il cui sesso è evidenziato dalla raffigurazione dei seni o della vulva (G. M. Sluga, 1973).
Una seconda comparazione è possibile con un frammento di figurina ritrovato recentemente a Valcorrente vicino Belpasso (Catania), alle pendici sud-orientali dell’Etna, un sito occupato dalla fine del Neolitico dove, nel periodo del Bronzo Antico, sono state costruite delle strutture a pianta circolare; sul piano pavimentale all’interno di uno di questi recinti sono state ritrovate ceramiche dello stile di Rodì-Tindari-Vallelunga (RTV, età del Bronzo), fuseruole e frammenti di corni/falli fittili che caratterizzano lo spazio come una area di produzione e di attività simbolico-rituali.

Figurina antropomorfa dal sito di Valcorrente (ph. e disegno V. R. Guarnera, 2020)

La figurina che ci interessa, estremamente grossolana e purtroppo frammentaria, è formata da un impasto di colore arancio con inclusi neri (probabilmente vulcanici), la testa allungata in forma conica, monconi di braccia in posizione orizzontale e due piccoli seni appena sporgenti; la parte inferiore del busto è spezzata; dunque, non sappiamo se finisse con una base piatta per appoggiarla verticalmente, come negli altri esemplari.
L’analisi di questo tipo di figurine antropomorfe, nella fattura delle quali non sembra esserci un interesse descrittivo ma piuttosto simbolico, appare di particolare complessità; la documentazione pervenutaci, inoltre, tranne che in casi eccezionali, è fortemente limitata ai soli oggetti realizzati con materiali non deperibili: una parte verosimilmente molto ridotta di tali produzioni. Tuttavia, Guarnera si spinge ad affermare: “Che tali figurine possano essere legate ai riti di passaggio, ad esempio dalla condizione di giovane allo status di adulto, è ben noto nel mondo egeo e nel Mediterraneo”. Il rinvenimento contestuale di fuseruole, corni/falli fittili e ceramica da fuoco la porta ad associare la figurina ad un culto legato alla sfera femminile, e ad ipotizzare una produzione femminile di tali manufatti che “potrebbero svolgere le funzioni più disparate: da bambole a rappresentazioni ‘pedagogiche’ utilizzate nel corso di cerimonie di iniziazione, da ex-voto a difesa dei defunti”.
Secondo la ricercatrice, alcuni parallelismi morfologici interessanti si riscontrano anche con alcune statuette provenienti dall’Italia peninsulare: una risalente al Bronzo recente da Montebello Vicentino, e una databile al Bronzo Finale da Frattesina, entrambe di forma cruciforme, stilizzate e asessuate.

Confronto tra figure antropomorfe provenienti da Montebello Vicentino a sinistra e da Frattesina a destra (ph. V. R. Guarnera, 2020)

Giannitrapani, in un suo articolo, riporta altri elementi interessanti per la nostra comparazione: lo studioso mette a confronto alcuni idoletti cosiddetti “a disco”, una tipologia attestata da alcuni esemplari frammentari provenienti da Manfria (L. Bernabò Brea 1976-77, pp. 57-58 e 73) e Barriera di Catania, e li utilizza per discutere dei contatti tra Sicilia e Malta nella prima Età del Bronzo.

Idoletti da Malta, facies di Tarxien Cemetery, III millennio a.C. (ph. E. Giannitrapani, 1997)

Le superfici di alcune delle statuette riportate da Procelli sono infatti dipinte con gli stessi motivi a bande incrociate che abbiamo incontrato nell’esempio palermitano e in quello di Ramacca; queste statuette vengono interpretate come una “variante siciliana di un tipo molto comune a Malta nella facies di Tarxien Cemetery, dove la decorazione, anziché essere dipinta, è incisa, riprendendo le tecniche in uso per la produzione vascolare. La parte discoidale di tali idoletti è stata interpretata [da Bernabò Brea] come la stilizzazione di rigide cappe sacerdotali particolarmente ornate e ricoprenti interamente il torace” (E. Giannitrapani, 1997).

Idoletti “a disco” rinvenuti a Catania-Barriera e a Manfria (ph. E. Procelli, 1991)

Marija Gimbutas interpreta questa serie di statuette della necropoli di Tarxien come riproduzioni ornitomorfe con gambe umane e coda, e le decorazioni che abbiamo chiamato “bande incrociate a X” come chevron e V. “Graficamente il modo più diretto di rendere il triangolo pubico è tracciare una V. Quest’espressione e il suo riconoscimento sono universali e immediati, ma è nondimeno sorprendente quanto presto tale tratto ‘stenografico’ si sia cristallizzato per diventare, attraverso innumerevoli ere, il marchio distintivo della Dea Uccello. […] Alcune rappresentazioni di uccelli acquatici sono palesemente antropomorfizzate”.

Idoletti da Malta (ph. M. Gimbutas, 2008)

Secondo la studiosa, l’associazione tra questi simboli (V, chevron o V interconnesse o giustapposte in bande incrociate a X formate da due V i cui vertici si toccano) e le immagini della Dea ornitomorfa o Dea Uccello rimane costante per millenni, dal Paleolitico fino all’Età del Bronzo, e ne abbiamo diversi esempi iconografici, di cui riportiamo una breve carrellata.

A sinistra statuette in avorio del Paleolitico superiore, rappresentanti uccelli antropomorfizzati da Mezin (Ucraina) datate al 18.000-15.000 a.C.; in alto a destra statuetta neolitica ornitomorfica del VI millennio a.C. da Hacilar (Anatolia); in basso a destra statuette cucuteni del IV millennio a.C. (Moldavia, Romania) (ph. M. Gimbutas, 2008 – pp. 5 e 8)
A sinistra statuetta in terracotta del bronzo anatolico datata al III millennio a.C., a destra statuette Vinca datata al 5200-5000 a.C. proveniente dalla Romania occidentale (ph. M. Gimbutas, pp. 11-15)
Statuetta a clessidra in calcare bianco, periodo Paleoelamita, inizi III millennio a.C., da Susa, Iran (Museo del Louvre, Parigi)
Pendente ornitomorfo in faience, dalla necropoli di Gonur Tepe, Margiana (Turkmenistan), fine III-inizi II millennio a.C.

Tutti gli esempi mostrano monconi di braccia al posto di ali e, nell’esempio moldavo, volto rostrato (a becco).

L’esempio Paleoelamita sembra creare un “ponte iconografico” tra i periodi storici e le aree geografiche differenti che stiamo mettendo a confronto, avvalorando l’ipotesi di Bernabò Brea, per tali segni e incisioni, di una stilizzazione di specifici elementi simbolici necessaria alla rappresentazione di vesti sacerdotali ornate; la statuetta dal Turkmenistan invece evidenzia e conferma la simbologia ornitomorfa di tale tipologia iconografica. I segni a V o a X, moltiplicazione della simbologia vulvare che caratterizza le statuette antropo/ornitomorfe, si ritrovano anche su altro tipo di oggetti, come abbiamo visto per i reperti di Ramacca; anche a Palermo ritroviamo un simile accostamento: un vaso dipinto dell’orizzonte di Serraferlicchio (età del Rame), con simile simbologia, è stato ritrovato in contrada Colli-Favorita, non lontano dal luogo di ritrovamento dei due idoletti palermitani.

Vaso dipinto della facies di Serraferlicchio, ritrovato in contrada Colli-Favorita (ph. S. Tusa, 1999, pag. 249)

A questo punto apriamo un confronto con un più ampio areale: agli esempi provenienti dalla Sicilia, da Malta, da varie parti dell’Antica Europa, aggiungiamo le numerosissime serie di statuette ritrovate in area egeo-cicladica. Nelle immagini riportiamo un diagramma che illustra lo sviluppo stilistico, durante il Tardo Elladico (‘LH’, 1550-1000 a.C.), di questo tipo di statuette, tutte femminili. Idoletti micenei sono stati ritrovati anche in Italia, ad esempio in Puglia: gli empori micenei sulla costa tarantina sono ampiamente documentati, come testimonia l’idoletto ‘a psi’ (ψ) ritrovato a Scoglio del Tonno e risalente al 1375-1350 a.C.

A sinistra diagramma dello sviluppo dell’iconografia delle statuette femminili micenee (ph. E. French, 1971); a destra idoletto miceneo del tipo a “Psi”, dal sito di Scoglio del Tonno a Taranto, datato al 1375-1350 a.C. (ph. MarTA – Museo Archeologico Nazionale Taranto)

I tre tipi principali delle figurine in terracotta micenee prendono infatti nome da tre lettere dell’alfabeto greco. Le statuine siciliane del Salinas hanno elementi coincidenti sia con il tipo miceneo chiamato ‘a phi’ (φ) a cui appartiene anche il primo idoletto da Haghia Triada ricordato da Mosso, che con l’ultimo, tardo esempio del tipo a “Psi”.

Esempi dei tre principali tipi di figurine micenee in terracotta (ph. A. Vianello, 2010)

Nel comparare le produzioni elladica, maltese e siciliana è necessario puntualizzare che, per quanto sia possibile istituire confronti morfologici ed iconografici, essi non potranno mai essere perfettamente puntuali: questo perché “le produzioni locali, variamente influenzate, recepiscono e rielaborano modelli iconografici di ampia circolazione e condivisione, con esiti che risultano diversi da sito a sito” (V. R. Guarnera, 2020).
Un esempio di questa circolazione e variabilità, l’ultimo che presentiamo, viene ancora dalla Sicilia, in particolare dalle Eolie, anch’esse inserite nei circuiti di scambio micenei.
All’interno della capanna “gamma III” sulla Rocca di Lipari (Eolie), sito abitato fin dal Neolitico, sono stati ritrovati due idoletti femminili risalenti sempre all’Età del Bronzo (facies Thapsos-Milazzese), simili nella tipologia ma differenti nello stile. Il primo, mancante della testa, ha decorazioni della veste rese con bande ondulate verticali rosso-bruno, e una banda orizzontale che sembra indicare una larga cintura; l’idoletto è identificato dalla French e dalla Mastelloni come una kourotrophos di tipo “proto-phi” (Late Helladic III A, XIV sec a.C.).
Kourotrophos (“nutrice di infanti”) è un epiteto di divinità che ha tra le competenze caratteristiche quella di nutrire, educare, proteggere i/le giovani. Ne sono esempi Atena, Apollo, Artemide, Eileithyia e le Ninfe, figure che sovraintendono ai riti di passaggio e si pongono come educatrici e protettrici dell’età dell’infanzia. Le divinità kourotrophoi vengono solitamente rappresentate con un/a infante in braccio o con le braccia raccolte al busto o sotto al seno, nel gesto sintetizzato di un abbraccio. Il loro ruolo è quello di aiutare nella nascita (come Eileithyia, divinità preellenica protettrice dei parti) o nel passaggio tra l’infanzia all’età adulta (come Artemide e le Ninfe). Il tipo della kourotrophos, ben presente in Sicilia, è meno riprodotto in Egitto e nell’area minoica, cipriota e micenea. Secondo Lynn Budin tale rarità nasce dalle trasformazioni dei rapporti di genere e dalla progressiva affermazione di una società incentrata sulla successione per linea paterna.

Idoli femminili provenienti dall’Acropoli di Lipari, capanna gamma III: a sinistra idolo miceneo (inv. 7835) a destra idolo femminile locale (inv. 6495), entrambi sala VI, Facies Milazzese 1500-1300 a.C. (per gentile concessione del Parco Archeologico delle Isole Eolie – Museo Luigi Bernabò Brea – Lipari)

Il secondo idolo è per noi ancora più interessante: esso sembra rappresentare una imitazione locale del tipo miceneo “a Psi”, ed è estremamente rassomigliante agli altri esempi siciliani: la testa è schematicamente triangolare, con naso pronunciato (o forse con volto rostrato); le braccia sono monconi stilizzati; due protuberanze segnalano il seno; l’intera superficie del corpo è decorata con fori a impressione sparsi irregolarmente; la parte inferiore è purtroppo mancante.
Questa iconografia ornitomorfa, con braccia allargate rassomiglianti ad ali e volto con naso a becco, sembrerebbe invece rappresentare il passaggio rituale opposto alla nascita: quello della morte, fisica o iniziatica, su cui presiede la Dea uccello. Un accostamento in questa direzione – azzardatissimo per distanza geografica, ma suggestivo – lo suggerisce l’incisione rupestre rappresentante una sciamana con tamburo, proveniente da Kvaløya in Norvegia. Tra alcuni petroglifi mesolitici risalenti al 4700 a.C., due figure umane (alte circa 70 cm) sono state recentemente interpretate come due donne in posa di danza, una delle quali impugna un tamburo; oppure come una sciamana in trance con il suo spirito accanto al corpo che si solleva in aria; la seconda figura è infatti incisa più in alto della prima, con le braccia che sembrano avere la forma di ali: gli uccelli sono una metafora comune del volo sciamanico e le sciamane, tra i vari compiti, avevano quello di accompagnare alla morte (fisica o iniziatica).

Petroglifo di sciamana a Skavberget, Kvaløya (Tromsø, Norvegia). Le linee incise sulla roccia sono ripassate in bianco, pratica comune fino a qualche anno fa, oggi abbandonata (ph. S. Siverstsvik, 2011)

In questa capanna liparota si sono evidentemente incontrate, e forse hanno convissuto, culture differenti.
Maria Amalia Mastelloni ricorda come “le capanne tondeggianti dei villaggi [liparoti siano] ricche di materiali sia di produzione locale che di importazione dal mondo egeo, miceneo, siciliano, italico e sardo. […] Tali insediamenti si modificano e dall’età del Bronzo antico e medio (cultura di Capo Graziano e del Milazzese) sono caratterizzati da frequentazioni micenee, documentate oltre che dalla ceramica micenea importata e dalla ceramica “italomicenea”, da imitazioni locali e da altre espressioni riconducibili a frequentazioni e modi acquisiti”.
Ricerche recenti rivelano una continuità genetica mediterranea condivisa, un antichissimo flusso genetico che in epoca neolitica, con un successivo importante contributo durante l’età del bronzo, si è diffuso da Cipro e dalle isole anatoliche fino alla Calabria e alla Sicilia, passando per Creta e per le isole dell’Egeo. Questo substrato genetico comune sarebbe il risultato di diverse ondate migratorie, iniziate molto prima dell’espansione greca che portò alla nascita della Magna Grecia[1].
Il Mar Mediterraneo ha svolto un ruolo fondamentale nei processi migratori umani dal Levante e dal Vicino Oriente verso l’Europa durante le principali fasi e cambiamenti culturali legati al popolamento del continente.
La Sicilia e l’Italia Meridionale appaiono come appartenenti ad un dominio genetico ampio ed omogeneo, condiviso da ampie porzioni dell’attuale area euromediterranea sudorientale a cui ci si riferisce come “continuum genetico mediterraneo”.
Le comparazioni iconografiche qui proposte, dunque, ci raccontano di scambi commerciali e culturali che accompagnano le popolazioni in viaggio; statuette similari ma con differenze stilistiche notevoli, provenienti da siti di tipologia estremamente variegata (edifici religiosi, tombe, abitazioni), possono suggerire usi molto differenti oppure una trasversalità di spazi cultuali che non distinguono la sfera del sacro e del profano come oggi siamo portati a fare. Si tratta di immagini di sacerdotesse o offerenti? Ex-voto? Simboli di culto? Oggetti per riti domestici riguardanti la nascita e la morte? Possiamo ipotizzare che le persone che hanno utilizzato questi oggetti si siano preoccupate di accompagnare i membri della propria comunità nelle differenti fasi rituali di passaggio della vita come nascita e morte, ma non ne abbiamo la certezza. Certamente abbiamo la testimonianza che, al di là di – forse superficiali – differenze stilistiche e geografiche, sia esistita una sorte di koiné culturale tra le varie sponde del Mediterraneo.

Barbara Crescimanno, febbraio 2023


 Note

[1] La ricerca, pubblicata su “Nature Scientific Reports” è stata effettuata da ricercatori dell’Università di Bologna, in collaborazione con il Max-Planck-Institut per la scienza della storia umana a Jena, la National Geographic Society e l’Università di Tirana. Ancient and recent admixture layers in Sicily and Southern Italy trace multiple migration routes along the Mediterranean


Bibliografia

  1. Arturo Issel – “Liguria Preistorica” – in Atti della Società Ligure di Storia Patria – volume XL – Genova 1908;
  2. Luigi Bernabò Brea – Gli scavi nella caverna delle Arene Candide – Parte I – Istituto di Studi Liguri, Bordighera 1946;
  3. Luigi Bernabò Brea – Eolie Sicilia e Malta nell’età del Bronzo – 1976-77;
  4. Jole Bovio Marconi – Piramidette e altri oggetti fittili del Museo di Palermo – Bullettino di Paletnologia Italiana II – Roma 1938;
  5. Stephanie Lynn Budin– Images of Woman and Child from the Bronze Age: Reconsidering Fertility, Maternity, and Gender in the Ancient World – Cambridge University Press 2014;
  6. Antoine De Gregorio – L’iconografia delle collezioni preistoriche della Sicilia – Brancato Editore 2003;
  7. Elizabeth French – “The Development of Mycenaean Terracotta Figurines” – in The Annual of the British School at Athens – vol. 66 (1971) – pp. 101-187;
  8. Enrico Giannitrapani – “Rapporti tra la Sicilia e Malta durante l’età del bronzo” – in Prima Sicilia, alle origini della civiltà siciliana – Ediprint 1997;
  9. Marija Gimbutas – Il linguaggio della Dea – Venexia 2008;
  10. Valeria Rita Guarnera – “Un frammento di figurina antropomorfa dal sito di Valcorrente (Belpasso): studio tipologico e proposta interpretativa” – in Ipotesi di Preistoria – 13/2020;
  11. Maria Amalia Mastelloni – “Tracciare le linee, dividere il territorio: lo spazio suddiviso e la fondazione di alcune apoikiai d’Occidente” – in Thiasos Rivista di archeologia e architettura antica 5.2 – Convegni – 2016 – pp. 7-32;
  12. Giuliana Messina Sluga – Su un idoletto castellucciano da Ramacca (Catania) – Sicilia Archeologica 21-22 – 1973;
  13. Angelo Mosso – Origini della civiltà Mediterranea – Fratelli Treves Editori – 1912 – pp. 92-93 e 127-130;
  14. Enrico Procelli – “Aspetti religiosi e apporti trasmarini nella cultura di Castelluccio – in Journal of Mediterranean Studies – 1991;
  15. Sebastiano Tusa – La Sicilia nella preistoria – Sellerio editore – 1999;
  16. Andrea Vianello – “Problems of Identity for Mycenaean Figurines – in Anthropomorphic and Zoomorphic Miniature Figures in Eurasia, Africa and Meso-America Morphology, Materiality, Technology, Function and Context edited by Dragos Gheorghiu and Ann Cyphers – Archaeopress – 2010.
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