di Valentina Mauriello
Castelvetro è un piccolo comune posto sulle prime colline dell’Appennino Modenese, a cavallo del torrente Guerro, affluente del fiume Panaro, famoso per la bellezza del borgo storico e per l’offerta enogastronomica di prodotti tipici emiliani, tra cui spiccano Lambrusco e Aceto Balsamico. I terreni circostanti pullulano di vigneti di grande valore. Tutta la fascia pedemontana e quindi anche Castelvetro, è ricca di testimonianze archeologiche che attestano la frequentazione di queste zone sin dal paleolitico. E il territorio costituiva una importante via di transito verso la pianura modenese.
Nel 1841 Wenceslao Vandelli, il proprietario di un terreno collocato sulla sponda sinistra del Guerro, nello scavo per l’impianto di alberi rinvenne 4 tombe etrusche. Gli scavi ripresero solo decenni dopo, nel 1879 quando il figlio Nicola Vandelli operò un ulteriore scavo con il duplice intento di cercare nuove tombe e trasformare il podere in vigna. Emersero dallo scasso 31 sepolcri. Il fatto che gli scavi iniziali siano stati condotti dai proprietari del terreno e che il terreno sia irrimediabilmente compromesso dal punto di vista archeologico, ha comportato un grande lavoro di ricostruzione a posteriori di quella che doveva essere la fisionomia originaria del sepolcreto a partire da documenti di archivio e dall’analisi dei reperti. Questo studio ventennale a opera di Donato Labate (collaboratore scientifico del Museo durante la direzione di Andrea Cardarelli e più recentemente per conto della Soprintendenza Archeologica) ha analizzato appunti e trascrizioni dei due archeologi che per primi iniziarono le ricerche sul sito a fine ottocento e recuperarono i ricchi corredi funerari che oggi si trovano esposti al Museo Civico di Modena: Celestino Cavedoni (1795 –1865) e Arsenio Crespellani (1828 –1900). Il sepolcreto etrusco della Galassina si inserisce in un territorio ricco di testimonianze etrusche riferibili a due fasi di frequentazione, la prima collocabile in un’epoca più antica, Villanoviano IV, la seconda compresa tra la prima metà e la fine del V secolo a.C.
Fra il materiale descritto da Crespellani proveniente dagli scavi effettuati tra il 1879 e il 1880 da parte dei proprietari del terreno compare la citazione di un oggetto “un sasso di arenaria a foggia di…” che fu recuperato insieme ad altri oggetti sparsi in seguito allo scavo. Questo particolare ciottolo confluì nel deposito del Museo Civico Archeologico ed Etnologico di Modena in una cassetta insieme ad altri reperti. In un inventario ottocentesco del museo compare una descrizione compatibile con l’oggetto in questione: “ciottolo d’arenaria a forma di pendaglio con graffiti”.
Questo ciottolo, decorato con incisioni sottili, è particolarmente significativo in quanto raffigura un personaggio femminile molto stilizzato con gli attributi sessuali resi da tre coppelle. Fu rinvenuto nell’archivio del Museo da Benedetto Benedetti (professore, direttore del Museo Archeologico di Modena e della rivista “Emilia preromana”) e lo descrisse nel libro “Preistoria e Protostoria del Modenese” edito nel 1987 da una casa editrice di Bologna come l’idoletto della Galassina.
“Si tratta di un ciottolo di arenaria grigia a grana fine modellato dalla fluitazione fluviale in forma oblunga ad estremità arrotondate (forma fallica), con asse longitudinale leggermente arcuato e sezione trasversale ellissoide. La testa separata dal tronco da un solco inciso è ornata da incisioni che sembrano rappresentare una capigliatura ben formata e cinta in alto da un cordone; la faccia è larga e schiacciata, il corpo sul davanti è coperto da una trama di linee oblique che potrebbero raffigurare una tunica; tre coppelle, situate ai vertici di un ideale triangolo rovesciato, indicano i seni e il sesso; dalla spalla, resa con un triangolo inciso, scendono le braccia al termine delle quali un rettangolo regolare diviso da due linee parallele sta a rappresentare la mano e le cinque dita. Posteriormente il disegno a spina di pesce sembra riprendere, pur con un modulo diverso, il motivo della tunica. Non si può negare che il ciottolo – supporto dell’incisione – esprima chiaramente, per conto suo, una forma fallica”.
L’interessante reperto venne studiato presso l’istituto di Petrografia dell’Università di Modena dal professor Mario Bertolani. Il reperto era ricoperto da una crosta calcarea (carbonato di calcio) che ne nascondeva quasi completamente le incisioni e fu ripulito probabilmente da non addetti ai lavori. Analizzando ciò che rimaneva della crosta calcarea il professor Bertolani ne sancì con certezza l’antichità. Il professore trovò anche macchie di colore verde sull’incrostazione attribuibili ad alterazioni dovute a rame o bronzo.
Benedetti riteneva che questo reperto appartenesse all’eneolitico (fine del neolitico inizio età del rame) basandosi su considerazioni stilistiche, dai confronti con idoletti eneolitici nell’area danubiana, da accostamenti con l’arte delle stele, con l’arte rupestre camuna, con ciottoli molto simili della stazione dell’eneolitico e del bronzo iniziale di Busonè in Sicilia. Esiste un reperto in particolare proveniente della necropoli eneolitica di Laterza pubblicata da Franco Belfiore che ha una forma e un tipo di incisione molto simili all’idoletto in questione.
È interessante riportare due considerazione espresse da Benedetti nel testo “Pietre e Parole luoghi e tradizioni del Modenese” di Benedetto Benedetti e Franco Violi, che possono essere messe in relazione con l’idoletto della Galassina. La prima riguarda il ritrovamento a Fiorano (fornaci Carani) nel modenese di un ciottolo di arenaria rinvenuto nel fondo di una capanna durante lo scavo di uno dei più importanti insediamenti neolitici del modenese e datato con certezza al V millennio a.C. che presenta una forma affusolata modellata dalla fluitazione fluviale (che se osservata da una particolare angolatura potrebbe somigliare ad uno schematico corpo umano femminile) e che presenta sicuri segni di lavorazione: due solchi trasversali alle due estremità, una di queste può far pensare ad un abbozzo della testa.
Due studiosi si sono confrontati in merito alle interpretazioni di questo reperto, Ferdinando Malavolti e Paolo Graziosi, facendo emergere tre ipotesi:
- trattasi di un manufatto di cui si ignora la funzione;
- è una scultura abbozzata o incompiuta;
- è una statuetta femminile di stile schematico.
Nell’ultimo caso si conoscerebbe con certezza la datazione e non si tratterebbe di un fatto comune, poiché moltissime statuette femminili emerse nell’ultimo secolo non sono state rinvenute all’interno dello strato perciò risulta difficile avere un’idea precisa della loro collocazione temporale.
La seconda considerazione interessante espressa da Benedetti è relativa alla descrizione eseguita da Arsenio Crespellani dei corredi tombali relativi allo scavo della necropoli etrusca della Galassina eseguito dal figlio Nicola Vandelli. In questa descrizione viene ripetutamente annotata la presenza di ciottoli diluviali e quarzitici mescolati ai corredi tombali e tuttora conservati presso il Museo Archeologico. Potrebbero dare un ulteriore senso cultuale al ritrovamento del controverso idoletto all’interno dei sepolcri.
La presenza dell’idoletto all’’interno della necropoli etrusca può avere diverse interpretazioni:
- il ciottolo erratico richiamò l’attenzione di un antico rinvenitore in età etrusca che lo raccolse e lo collocò nella fossa tombale insieme al resto del corredo costituito da bronzi e ceramiche;
- il ciottolo era nel terreno e finì nel riempimento della fossa durante l’inumazione al tempo degli etruschi insieme ad altri ciottoli;
- il ciottolo giaceva in uno strato del quale non fu notata l’esistenza essendo lo scavo eseguito a colpi di vanga dai braccianti del podere e non da archeologi specializzati;
- il ciottolo fu rimosso dalla sua presente collocazione durante i primi recuperi del 1841 o da scavatori clandestini che spogliarono in seguito le tombe del sepolcreto;
- il ciottolo è stato trasportato sul podere della Galassina assieme al terriccio proveniente da una delle “terramare” o abitati dell’età del bronzo presenti nelle vicinanze. Era infatti pratica diffusa nell’800, concimare i campi con il terriccio fertilizzante proveniente da cave come quella di Monte Barello dove sono presenti attestazioni del periodo neolitico potenzialmente collegabili con l’idoletto in questione (D. Labate 2006, p.33).
L’idoletto presso il Museo Civico Etnologico di Modena è stato sottoposto ad esami successivi commissionati ad archeologi specializzati nelle tracce d’uso. Questi hanno determinato che le incisioni sul ciottolo siano state prodotte da oggetti metallici a punta e pertanto non attribuibili ad un’età antica. Problematica risulterebbe inoltre la mancanza della patina (alterazione chimica della superficie con depositi creati dalla permanenza nel terreno) che normalmente si crea nel caso di oggetti antichi. All’esame fisico-chimico eseguito presso l’Università di Modena dal prof. Mario Bertolani all’epoca di Benedetti il ciottolo risultava già aver subito un processo di pulizia profonda e data la scarsità di materiale ad oggi non è più possibile eseguire ulteriori analisi.
Nonostante l’unicità del reperto, i dati emersi dalle analisi, l’esclusione da parte del prof. Benedetti che si potesse trattare di un falso di epoca recente e le diverse ipotesi plausibili, la posizione del Museo Civico e della Soprintendenza è di dubbio circa l’autenticità del reperto per l’impossibilità di confermarne con certezza la datazione. Per questo motivo non viene esposto.
La perplessità di chi scrive è questa: a che pro infilare tra i reperti degli scavi eseguiti alla fine Ottocento un ciottolo di arenaria inciso con caratteristiche stilistiche piuttosto peculiari se non fosse che il ciottolo si trovava effettivamente in situ? Se anche l’incisione fosse stata eseguita nell’età del rame o del bronzo, questo renderebbe la statuetta meno significativa? Il fatto che il ciottolo sia stato inciso con punte metalliche lo rende necessariamente un falso?
Chissà se la statuetta della Galassina verrà riconosciuta nel futuro come una delle “Veneri” italiane espressione delle nostre radici spirituali ancestrali oppure rimarrà sepolta negli archivi e dimenticata.
Valentina Mauriello, 26 febbraio 2023
Bibliografia
- Chiara Pizzirani – “Il sepolcreto etrusco della Galassina di Castelvetro (MO). Analisi preliminare dei dati topografici e dei contesti tombali” – in Archeologia preromana in Emilia Occidentale – Quaderni di Acme – 108 – 2009 – pp. 165-179;
- Andrea Cardarelli e Luigi Malnati (a cura di) – Atlante dei Beni Archeologici della Provincia di Modena – Vol III – All’Insegna del Giglio – 2003;
- Donato Labate – Castelvetro. Archeologia e ricerche topografiche – All’Insegna del Giglio – 2006;
- Franco Biancofiore – “La Necropoli Eneolitica di Laterza. Origini e sviluppi dei gruppi Protoappenninici in Apulia” – in Origini – Roma 1967 – pp. 195-300;
- Benedetto Benedetti e Franco Violi – Pietre e Parole luoghi e tradizioni del Modenese – Emilio Ballestri Editore – Vignola – 1992;
- Fernando Malavolti – “Un manufatto litico problematico della stazione eneolitica di Fiorano Modenese” – in Rivista di Scienze Preistoriche – fascicolo 1-2 – 1946 – pp. 113-118.