di Antonella della Morte (Alma) e Alfredo Finotto (Frædior)
Tratto da Sarah Perini (a cura di) – Riflessi della Dea – La Cicala – Oneiros – 2022
C’è un luogo in mezzo all’Italia, sotto alti monti,
nobile e celebrato per fama in molte contrade,
le Valli d’Ansanto: fosco di dense fronde lo domina
dalle due parti un fianco boscoso, dirotto nel mezzo
tuona tra rocce e torti risucchi il torrente.
Qui una spelonca orrenda e gli spiragli del terribile Dite,
mostrano; immensa voragine, in cui l’Acheronte
precipita,
spalanca le fauci pestifere…
Virgilio, Eneide, libro VII, versi 563-571
Quando decidemmo di fondare il Kaíla Maatreís, tempio dedicato della Grande Madre del Safinim[1], con l’obiettivo di ri-animare ed esaltare la ricchezza degli insegnamenti delle nostre antenate e dei nostri antenati preromanə, con particolare attenzione per il mondo osco-sannitico ed etrusco, soprattutto in ambito campano, fummo travolti da una viscerale necessità di connessione e rivalutazione dei nostri luoghi del cuore. In questo percorso a ritroso, attraverso il tempo e lo spazio, tra i numerosi strati di significato e significante, ci siamo spesso ritrovatə a fare i conti con mitostorie appesantite da anni di distorsione o calunnia, errori, estromissioni, equivoci, oblio. Da qui il desiderio di servire la Dea facendo rivivere e riconsegnando visibilità ai Suoi luoghi e ai Suoi saperi, ri-definendo ciò che accomuna il nostro “sciamanesimo indigeno italico”’ di ieri e di oggi.
Uno dei luoghi che fin da subito ci ha ammaliato col suo incessante richiamo ancestrale è la Valle d’Ansanto, nei pressi di Rocca San Felice, in provincia di Avellino.
Queste le parole ispirate che scaturirono da quell’incontro iniziatico:
Dal profondo ribollente della terra fangosa,
tra le fronde brillanti del Suo bosco sacro,
un vento dorato si leva impetuoso,
danzando a spirale col Suo canto eterno:
Meee-fiii-tiiis… e tutto torna a tacere.
Ciò che asfissia ora accarezza,
dileguando l’ombra del pericolo.
È Lei, Mefitis, accorsa a salvarti,
e a condurti al di là della soglia.
Celebrata fin dall’antichità per la sua fama “mortifera”[2] e la singolare conformazione geofisica, la Valle d’Ansanto fu definita da Servio “umbilicus Italiae”[3] e considerata uno dei numerosi ingressi agli Inferi che costellano la nostra penisola[4]. Il sito custodisce il Lacus Amsancti (oggi comunemente chiamato “Mefite”), un cratere del perimetro di circa 40 metri in cui ribollono acque solforose ed esalazioni carbonatiche, un luogo che vanta uno dei Santuari più importanti e antichi della Dea: il tempio federale della touta dei Sanniti Irpini, dedicato al culto della Dea Mefitis.
Il volto storico di Mefitis
Mefitis (o Mephitis, Mephite, Mefite) è una dea italica di origini osco-sabelle, il cui culto sembra interessare un’area piuttosto vasta, che dall’antico Sannio, si dirama in buona parte della Campania, in Molise, in Ciociaria e in Lucania per poi arrivare, in epoca tarda, anche a Roma e da qui fino a Cremona, a Lodi Vecchio (LO) e sembrerebbe anche a Bagno di Romagna (FC).
In base ai reperti archeologici ritrovati, il culto di Mefitis risalirebbe almeno al VI-VII secolo a.e.c., ma potrebbe essere ancora più antico. Alcuni studiosi propongono il IX secolo a.e.c. e concordano che il suo culto sarebbe perdurato almeno ufficialmente fino al IV secolo e.c.
Da questo periodo in poi, nella Valle d’Ansanto, il culto di Mefitis fu sostituito da quello di Santa Felicita.
I centri principali, al momento conosciuti, dedicati al culto di Mefitis sembrerebbero ruotare attorno a quattro siti: la Valle d’Ansanto (AV), la Valle di Canneto a Settefrati (FR), San Pietro di Cantoni a Sepino (CB) e Rossano di Vaglio (PZ).
La grande quantità di materiale votivo, i cui reperti più antichi risalgono al VII secolo a.e.c. (anche se, come si è detto, il culto della dea sarebbe più antico), consiste in gran parte in statuine di donne, sedute in trono o in piedi, gravide, o con oche, papere, colombe, cornucopie, patere[5] e bambini, ma anche rappresentazioni di fanciulle e danzatrici con fiori, o specchi tra le mani. Numerose sono anche le raffigurazioni di cavalli, cani, maiali, bovini, volatili, ovini, caprini, cerbiatti e cinghiali, riproduzioni di frutta, soprattutto melagrane, fichi, pere, mele e uva, esemplari di uova e maschere, che suggeriscono la pratica del dramma sacro.
Sono stati rinvenuti anche gioielli femminili, soprattutto in ambra e bronzo, attrezzi agricoli e armi, ex voto anatomici, pesi da telaio (una delle attività principale delle donne sannite era la tessitura), xoana (dal greco xoanon, intaglio), raffigurazioni maschili di guerrieri e rappresentazioni di Mamerte (con corna taurine), Eracle, Giove, Giano, Attis ed Eros.[6]
La descrizione di Mefitis giunta fino a noi dalle numerose fonti letterarie di epoca tarda[7] ci mostra l’immagine di una dea pericolosa, strettamente legata ai fenomeni geofisici della Valle d’Ansanto e identificata con l’odore sgradevole delle esalazioni provocate dalle acque solforose e paludose. Ancora oggi utilizziamo comunemente il termine “mefitico” per indicare l’aria fetida, irrespirabile e malsana, oppure una persona marcia, depravata e corrotta moralmente. Il termine rimanda quindi a qualcosa di malefico, nocivo, infero e demoniaco, non a caso uno dei nomi folkloristici del diavolo è Mefisto o Mefistofele.
Questa interpretazione distorta e parziale della dea sembrerebbe dovuta all’opera di romanizzazione di miti originariamente italici. Nonostante ciò, questo lento degradarsi di significato non sembra determinare un completo distacco dall’accezione piena e positiva della dea, che si conservò nella memoria popolare, tanto che la cristianizzazione non fece di lei un’entità demoniaca, ma ne sostituì il culto con quello della Madonna, che assorbì le funzioni della dea, evidenziando il suo ruolo originario di Dea Madre. Interessante il Suo legame con la Madonna Nera della Valle di Canneto, la Madonna del Latte, o dei Lattani, a Roccamonfina, forse anche con la Madonna del Melograno e della Stella, e – come accennato – con Santa Felicita a Rocca San Felice, nella Valle d’Ansanto, e a Settefrati (che prende il nome proprio dai sette figli di Santa Felicita).
Pur avendo un volto oscuro e misterico, ma non per questo malvagio, Mefitis è una dea molto più complessa di ciò che si possa pensare. Dalle strutture templari e dai ritrovamenti archeologici, compresi quelli della Valle d’Ansanto, si evidenzia un suo legame non solo con le acque solforose, reflue o paludose, ma anche sorgive, lacustri e pluviali[8], come altresì attestato da un’iscrizione rinvenuta nel Santuario lucano di Rossano di Vaglio: “Tutte le terre e le acque sono della Mefite”. Anche a Capua (CE), sul Monte Tifata, un tempo luogo ameno ricco di sorgenti e corsi d’acqua, un frammento di tegola indicante il nome della Dea suggerisce che Mefitis fosse associata al culto di acque benefiche e per estensione di Artemide/Diana.
Mefitis è connessa alla sfera muliebre, alla fertilità dei campi, delle greggi e delle donne e ai momenti di passaggio e transizione della vita. Ma c’è di più: chi si apre alla presenza della dea, soprattutto nei luoghi a lei sacri, ne intuisce anche un aspetto protettivo, propiziatorio delle unioni, curativo, magico e oracolare.
L’identificazione storica di Mefitis si intreccia ai profili delle dee che finirono per convivere con Lei nelle aree sacre, o per sostituirla completamente nel susseguirsi dei secoli e dei popoli. Mefitis sembra racchiudere in sé le caratteristiche di Juno, Venere, Diana/Ecate e Cerere/Libera/Proserpina, come dimostrato dai suoi appellativi, dalle epiclesi e dai numerosi reperti archeologici. Altresì interessanti i riferimenti che sembrano metterla in contatto con Mater Matuta, Vacuna, Albunea e Marìca. Il suo legame con Capua è sancito ancora una volta dalla sua probabile identificazione con Keri Arentikai[9] presso il Santuario di Fondo Patturelli o con la dea tutelare (probabilmente l’Artemide/Ecate di ascendenza cumana) dello stesso Santuario[10]. Infine, non è da escludere che in epoca tarda il suo culto in Campania possa essersi incrociato con quello di Iside a Benevento, così come avvenne per Marìca, il cui Santuario alla foce del Garigliano subì varie modifiche fino a diventare un Tempio ad Iside e Serapide in età imperiale. Risultano affascinanti, seppur di dubbia o difficile attestazione, i tentativi di associazione di Mefitis con le dee egizie Nefti e Mafdet.
Al di là della soglia
Alziamo ora il velo dell’oblio e cerchiamo di scorgere la figura multisfaccettata di Mefitis, iniziando dal suo nome.
Il teonimo Mefitis, usato sia come epiteto che come toponimo, è di origine osca e deriverebbe dalle dizioni indoeuropee *medhio-dhuíhtis[11] o *met-dhui-tis[12], per cui “ciò che fuma/esala nel mezzo o insieme”, forse in riferimento alla centralità delle fumarole, o comunque alle esalazioni solforose e al fumo che si alza dalle acque vulcaniche.
Secondo altri studiosi, invece, l’origine sarebbe da ricondursi all’indoeuropeo *medh(u)- e al verbo medhu-io, connesso al senso di “inebriamento”, quindi “ciò che inebria”[13]. La stessa radice medh– è presente nella parola indoeuropea che indica l’idromele, e nel celtico, germanico e sanscrito sempre col significato di “stordire”, “inebriare”. Questo trova confronto nel latino madeo “essere imbevuto a sazietà”. Per definizione, è inebriante ciò che dà un senso di ebbrezza, che soverchia i sensi ed esalta lo spirito, si tratta dunque di un’estasi sensuale. Sono inebrianti i fumi ctoni che provocano visioni nelle Sacerdotesse Oracolari del passato, gli effluvi sessuali, il profumo dei fiori, delle resine e delle spezie, che sconvolgono ed eccitano i sensi, provocando desiderio e permettendo di liberarsi dalle redini mentali del controllo, spingendo a recuperare la dimensione del selvaggio, della libertà, dell’istinto.
Avvincente anche il raffronto con l’umbro mefa delle Tavole Iguvine, che indica la focaccia sacra, impastata con il miele. Mefitis sarebbe dunque “colei che stordisce e inebria” e avrebbe un legame con il dolce, nutriente, sensuale e dorato miele, ciò ne potrebbe fare anche una Regina delle Api.
Altre ipotesi etimologiche interessanti sono quella di Prisciano, il quale ipotizzava mefitis come una traslitterazione del greco µεσίτης, mediatrice, e quella di altri studiosi che riconducono mefitis all’osco mefiai, corrispondente al latino medius e al greco µéσος, conferendo al teonimo Mefitis l’evocativo significato di “Colei che sta nel mezzo”, tra i mondi.
Nonostante le diverse ipotesi etimologiche, appare evidente che Mefitis ricoprisse il ruolo di una dea liminale, il che ben si confà alla sua natura acquatica e terrestre e alle caratteristiche dei suoi luoghi di culto.
Tutto ciò che fluisce Le appartiene: l’acqua, i venti, le fiamme, i vapori, il magma, le emozioni, il sangue e la vita stessa, il ciclo dell’esistenza. È una Signora della Soglia, che presiede ai passaggi della vita e accompagna le anime insieme al suo Lupo. E’ la porta e la chiave, il ponte e il confine, l’Iniziatrice ai Misteri. In quanto dea della Transizione, è anche Signora della Transazione, della Comunicazione e dei Commerci, e vista la collocazione dei suoi luoghi di culto nei pressi dei tratturi e delle mulattiere, può essere considerata anche Signora della Transumanza, del buon viaggio, protettrice dei percorsi, guida tutelare nell’esplorazione e negli spostamenti di esseri umani e animali.
Mefitis viene chiamata Utiana, la Sgorgante (appellativo che deriverebbe dall’umbro utur delle Tavole Eugubine, affine al greco ύδωρ “acqua”), è l’acqua della Sorgente che risale dal sottosuolo per sgorgare all’aria aperta, riempiendo la terra con il Suo flusso e le Sue benedizioni. È la Dea Anatra, discendente della Neolitica Dea Uccello, la fonte e la dispensatrice dell’umidità che dà la vita e, come Madre delle acque, viene chiamata anche Signora della Fonte.
Il pesce, l’anatra e l’anguilla sono Suoi messaggeri.
È Signora delle Acque Vulcaniche e Termali, è il fuoco della terra che scorre nelle vene sotterranee del nostro pianeta e il fuoco della febbre che porta la crisi di guarigione, favorendo la difesa dell’organismo contro le infezioni, uno dei più potenti mezzi attraverso cui il corpo si libera delle tossine accumulate, riportando salute ed equilibrio.
Mefitis è anche il fuoco nell’acqua che cura, è la Signora delle Malvizza, i cui fanghi sono apprezzati per la cura della pelle e delle articolazioni, e della Valle d’Ansanto, delle fumarole, dei geyser. In Irpinia, il fango di Mefitis veniva usato per curare gli zoccoli fessi delle pecore e delle capre e per irrorare le viti, perché si credeva avesse una funzione utile contro la peronospora. Questo aspetto di Mefitis ci permette di immaginare un parallelismo con la dea Sulis di Bath (Inghilterra), con la quale condivide non solo il legame con le acque termali e sulfuree che possono curare, ma anche il ruolo di custode del passaggio dalla superficie al sottosuolo. Come per la Valle d’Ansanto, si credeva che anche le sorgenti calde di Bath fossero un accesso agli Inferi, luogo di riposo del Sole dopo il tramonto, espressione della luce interiore. Entrambe sembrano possedere anche un volto oscuro legato alla maledizione, infatti venivano invocate per punire o vendicare un torto subito, iscrivendo su tavolette di argilla e piombo la richiesta che poi erano gettata nell’acqua. In questo senso potrebbero essere interpretate anche come portatrici di giustizia.
Lei è anche la Venere osca, Signora del Desiderio, Mefula, profumata e inebriante, l’Amante focosa, Mefitis Fisica, colei che manifesta se stessa, l’energia vitale e trasformativa del serpente che sale dalle profondità buie svelandosi al mondo, è la forza propulsiva, creativa e generativa della Natura. È la Dea Serpente della guarigione e della rigenerazione.
Uno dei Suoi appellativi è Caporinna/Caporoinna ed è dunque anche la Dea Capra, Signora del Caprifico, espressione del ciclo di nascita-vita-morte-rinascita. È l’innocente capretta, simbolo dei nuovi inizi, la Levatrice divina che porta alla luce ed è la protettrice della vita, è Fatua dalle corna caprine, la Regina delle Fate, colei che conosce e svela il fato, colei che sussurra all’orecchio dell’oracolo e danza al chiaro di Luna. È la lussuriosa, gioiosa, sensuale, istintuale e selvaggia Diumpa (Ninfa in lingua osca), che risveglia i sensi e spinge all’accoppiamento e alla riproduzione, è la Madre fertile dal ventre gravido e dai seni colmi di latte, fonte di abbondanza e nutrimento.
Mefitis è una Dea “ceria”[14], ctonia, chiamata Aravina, Signora della terra coltivata, e Regina, datrice di Sovranità, Signora del raccolto, delle erbe e delle piante curative, magiche e commestibili. Suoi emblemi sono il cinghiale, la scrofa e la cerva. Come Dea ctonia, non è solo legata all’acqua, elemento che feconda il suolo e fa germogliare la vita, ma anche agli Inferi, poiché la terra non è solo culla della vita, ma anche tomba, la dimora dei morti, alla quale si accede proprio attraverso l’acqua, che è un ponte tra i mondi. Lei è la Signora della morte e della rigenerazione, la guida delle anime.
La Sua sfera di influenza si estende anche alla volta celeste, guadagnandosi l’appellativo di Domina Giovia. Sue sono le acque uraniche, la luce della Luna che regola i cicli vitali e i flussi dell’esistenza, il vento che soffia via i miasmi pericolosi, ma anche il vapore e la nebbia che si alza dalla terra. Lei è anche Mater Matuta, la Madre dell’Alba e della rugiada mattutina e Albunea, la Vergine Sibilla, la candida colomba, Signora della profezia e delle acque galattofore e curative.
Sarebbe riduttivo suggerire che un’analisi, quantunque approfondita, delle fonti a nostra disposizione (letterarie, archeologiche ed etimologiche) possa rendere onore alla bellezza e complessità di Mefitis. Vi invitiamo quindi ad aprirvi al dono del sentire sottile e a lasciarvi guidare dal Suo richiamo, al di là della soglia.
Mefitis nella Tradizione Maatreica
Secondo la tradizione del Kaíla Maatreís, Mefitis è una delle manifestazioni mito-storiche più articolate e compiute di Maatreís, la Grande Madre del Safinim.
Nel Suo dispiegarsi ciclico attraverso le fasi della ruota dell’anno (il sacro Húrz maatreico), Mefitis ci permette di conoscere le sue molteplici energie stagionali, archetipiche ed elementali.
Per le popolazioni sannite, lo Húrz era l’orto sacro, un recinto circolare consacrato al culto[15]. Oggigiorno, percorrere lo Húrz di Mefitis significa esperire i volti della Dea come Signora degli Elementi, Fanciulla, Amante, Madre, Sovrana e Crona.
“Mephite sei de focu e de aria”[16] cantano gli Emian, descrivendola come terra di casa dal respiro di fuoco, al contempo alito di vita e di morte. Il suo soffio purifica, bruciando le scorie e guarendo. Allo stesso tempo, chi si avvicina maldestramente, impreparatə, alla sua soglia, rischia di morire asfissiatə. Lei rianima, soffoca, stordisce, profetizza. Il fuoco di Mefitis è “aria prena”, aria ingravidata, pregna della Sua propria essenza dirompente, di cambiamento.
Sua è la fresca acqua di sorgente: bianca, dalle proprietà galattofore, e rossa, oligominerale. Mefitis presiede alle acque fertili che dissetano, curano e benedicono, ma è anche palude che ribolle al ritmo dei battiti dei Suoi sospiri di fuoco.
È Signora del latte e protettrice delle donne, dei bambini e del parto. È protettrice delle coppie e dell’amore, garante dei legami d’amore.
Matrona dei grembi oscuri e fecondi, Mefitis è ctonia e infera, legata alla fertilità, per cui propiziatrice di gravidanze. È terra fertile che custodisce, culla che nutre la vita, è la protettrice dei percorsi, della transumanza, dei campi, degli animali e dei pastori. È anche Signora delle erbe e del bosco sacro.
È l’Albero Cosmico che sta nel mezzo, collegando i mondi. Le sue creature sacre ci guidano ad attraversare il velo tra i mondi. È Signora della Soglia, Mediatrice e Guida.
I suoi colori sono il giallo dello zolfo, del grano e della ginestra ansantica, il grigio lunare dei fanghi, il bronzo ramato delle sue acque minerali e ferruginose, il bianco del latte e il nero della scura terra, il verde brillante dei campi, quello scuro dei boschi e il verde acqua.
Questo il Suo canto:
Io sono il fuoco che si muove nell’acqua,
il soffio del drago che trasmuta e raffina l’Anima,
che trasforma la fluida acqua in sottile vapore e nebbia.
Io sono la fresca sorgente che rigenera, disseta, nutre e guarisce.
Io sono la pioggia che rende fertili i campi e placa l’impeto del Sole.
Io sono l’acqua nella terra, la riva, il fertile humus, il fango curativo, ma anche la pericolosa e infida palude,
Io sono la custode della soglia, colei che presiede ad ogni passaggio, la guida delle anime, la luce nel buio, la compassione che si nasconde in ogni fine naturale e la dolcezza di ogni inizio.
Mio è il potere di vita e di morte.
Io sono l’alba e il tramonto.
Io sono l’utero e la tomba.
Io sono la Luna che segna il tempo, che protegge i misteri della notte e i segreti dell’inconscio.
Io sono la dispensatrice di abbondanza e di magia.
Io sono colei che protegge e sostiene le madri, le braccia che cullano e i seni che nutrono i nuovi nati.
Io sono la Regina delle Streghe, la Madre delle Guaritrici, l’ispirazione e la voce dell’Oracolo.
Io rendo fertili tutte le creature viventi, porto in dono il potere della generazione.
Io taglio e io tesso, io creo e io distruggo, io lego e io sciolgo.
Io sono lo zolfo e l’oro.
Io sono maschio, io sono femmina.
Io guardo in tutte le direzioni.
Io proteggo dalle malattie, ma posso anche riportare equilibrio e consapevolezza attraverso di esse.
Io sono la Giustizia che non ha padrone,
la Libertà che non accetta costrizione,
la Saggezza del silenzio.
Io sono colei che dona, nutre, cura e accoglie.
Io sono la Vergine oscura e la fanciulla candida.
Io sono la Ninfa sensuale e l’Amante selvaggia,
Io sono la Madre amorevole, giusta e compassionevole, ma anche la Madre Terribile.
Io sono la Sposa, io sono la Fata e io sono la Strega.
Io sono il respiro del vento, il sospiro che viene dalle profondità della terra, la voce della grotta che parla a chi sa ascoltare.
Io sono la roccia e la montagna possente.
Io sono Mefitis!
[1] Nella nostra tradizione, il Safinim è la terra storica e mitologica delle nostre antenate e dei nostri antenati Italici, sacra alla Grande Madre Safina (Maatreís) e alla Giovenca Sacra Vitula/Vitelia, che associamo al nome primigenio della nostra penisola (Viteliú).[1]
[2] Marcus Tullius Cicero, De Divinatione, I, 36, 79.
[3] Maurus Servius Honoratus, Servii Grammatici in Vergilii Aeneidos, VII, 563.
[4] Publius Vergilius Maro, Eneide, VII, 563-570.
[5] La patera è un utensile, a forma di scodella, o tazza poco profonda, usato dai sacerdoti in epoca romana per offrire libagioni durante i sacrifici rituali.
[6] Per approfondire questi aspetti, si consiglia la lettura di testi specifici: “Mefitis, dalle Madri alla Madre” di Flavia Calisti; “Il Santuario della Dea Mefitis a Rossano di Vaglio” di Antonella Andrisi; “Mefitis rivisitata (vent’anni dopo…e oltre)” di Paolo Poccetti; “Mefitis dea salutifera?” di Maria Federica Petraccia.
[7]Virgilio, Servio, Cicerone, Plinio il Vecchio, Sidonio Apollinare, Claudiano, Festo, Varrone, Tacito,Pomponio Porfirione, Vibio Sequestre, Pseudo-Placido.
[8]Calisti, F. (2012): “Mefitis in Virgilio: saevamque exhalat opaca mephitim”, in Studi romani, 60, 10
[9]Caiazza, D. (2005): “Mefitis Regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina italica”, in Italica ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, 129-218.
[10] Prosdocimi, A.L. (1989): “La religione degli Italici”, in Antica Madre. Italia omnium terrarum parens, Milano, 538.
[11] Ribezzo, F. (1926): “Per l’etimologia di Mefitis”, RIGI, X, 94.
[12] Pisani, V. (1964): Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, 96.
[13]B. Lavagnini (1923): “Per l’etimologia di Mefitis”, pp. 344 – 350 M.R.Torelli (1990): “I culti di Rossano di Vaglio”, [in] M. R. Salvatore (cur.), Basilicata. L’espansionismo romano nel sud-est d’Italia. Il quadro archeologico, Atti del convegno (Venosa, 23-25 aprile 1987), Roma, 83-93.
[14]Il termine «ceria» indica la funzione cereale, terrestre e ctonia della dea. Caiazza, D. (2005): “Mefitis Regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina italica”, in Italica ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, 129-218.
[15]Per maggiori spunti e informazioni, rimandiamo allo studio della Tavola Osca.
[16]Emian (2016): “Mephite”, Khymeia (CD), https://youtu.be/MU6VzpVsxSM.
Antonella della Morte (Alma) e Alfredo Finotto (Frædior)
Tratto da Sarah Perini (a cura di) – Riflessi della Dea – La Cicala – Oneiros – 2022
Bibliografia
- Antonella Andrisani – Il Santuario della Dea Mefitis a Rossano di Vaglio. Una rilettura degli aspetti archeologici e culturali – Matera – 2008;
- Domenico Caiazza – “Mefitis Regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina italica” – in Italica ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti – 2005 – pp.129-218;
- Flavia Calisti – Mefitis: dalle Madri alla Madre – Roma – 2006;
- Flavia Calisti – “Mefitis in Virgilio: saevamque exhalat opaca mephitim” – in Studi romani – 2012 – p. 60;
- Luca Cerchiai – “Appunti sui culti di Marìca e Mefite” – in OCNUS 7 – 1999 – pp. 235-41;
- Marisa de’ Spagnolis – La Dea delle Sorgenti di Foce Sarno – Mefitis e il Lucus Iunonis – Roma – 2014;
- Emian – “Mephite” – Khymeia – CD – 2016;
- Raffaele Loffa – “La Dea Mefite e la Valle di Ansanto” – in Carife.eu (sito web);
- Gennaro Luongo – “Santa Felicita e la dea Mefite: quale relazione?” – in Monaci, ebrei, santi – 2008 – pp. 167-193;
- Rossella Patricia Migliore – “Sulle tracce di un antico culto. Studi recenti sulla piccola plastica votiva rinvenuta nel Fondo Patturelli” – in Curti tra storia e archeologia – 2011 – pp. 23-32;
- Maria Federica Petraccia – “Mefitis dea salutifera?” – in Gerión – vol. 32 – 2014 – pp.181-198;
- Vittore Pisani – Le lingue dell’Italia antica oltre il latino – Torino – 1964;
- Paolo Poccetti – “Mefitis rivisitata (vent’anni dopo…e oltre con prolegomeni e epilegomeni minimi)” – in Il culto della dea Mefite e la Valle d’ansanto, Ricerche su un giacimento archeologico dei Samnites Hirpini – Avellino – 2008;
- Aldo Luigi Prosdocimi – “La religione degli Italici” – in Antica Madre. Italia omnium terrarum parens – Milano – 1989;
- Ivan Rainini – Il Santuario di Mefite in Valle d’Ansanto – Roma – 1985;
- Francesco Ribezzo – “Per l’etimologia di Mefitis” – in RIGI – X – 1926.