di Elvira Visciola
Il complesso dei Balzi Rossi o di Grimaldi, così chiamato dal vicino villaggio, è stato oggetto di numerose indagini archeologiche sin dalla metà dell’800 che hanno portato alla luce reperti e testimonianze paleontologiche e archeologiche appartenenti alle diverse fasi del Paleolitico. Il complesso è ubicato presso il valico di frontiera con la Francia (Valico di Ponte San Ludovico), costituito da falesie di rocce calcaree miste a materiali ferrosi di colore rosso, alla cui base si aprono ripari e cavità in grotta più o meno grandi (i “Bausi”, ossia buchi, trasformato così in “Balzi Rossi”), a lungo abitate da popolazioni preistoriche: si hanno resti di frequentazione umana e di sepolture dal Paleolitico Inferiore (da 350.000 a 300.000 anni fa) al Paleolitico Superiore (da 35.000 a 10.000 anni fa), compreso il Paleolitico Medio, attestando dunque la presenza dell’Uomo di Neanderthal, il Cro-Magnon, e un tipo umano specifico detto Uomo di Grimaldi. Le scoperte che si sono susseguite in loco, dodici sepolture di cui due doppie ed una tripla con i corredi funerari associati, quindici statuine femminili (Veneri) attribuibili al Paleolitico, espressioni di arte parietale, abbondanti resti di industria litica e fauna hanno fatto si che il complesso dei Balzi Rossi sia balzato alle cronache come uno dei più importanti siti Paleolitici a livello europeo. Il complesso è costituito dalle seguenti grotte e ripari: Grotta dei Fanciulli, Riparo Lorenzi, Grotta di Florestano, Grotta del Caviglione, Barma Grande, Baousso da Torre e Grotta del Principe.
Le indagini archeologiche cominciarono nel 1846, quando il principe Florestano di Monaco diede inizio ad un’intensa attività di scavo nella grotta che porta il suo nome, inviando alcuni reperti a Parigi, materiali che andranno poi dispersi; a quel tempo non era ancora avvenuto il riconoscimento ufficiale del Paleolitico pertanto non si era in grado di valutare con esattezza la portata dei ritrovamenti. E’ solo nel 1870 che, con i lavori alla ferrovia tra Genova e Marsiglia e con il trasferimento in zona di Emile Rivière (medico francese), cominciarono i primi scavi produttivi.
Per far passare i binari venne scavata una profonda trincea nell’area antistante le grotte con la scoperta di numerosi reperti, la maggior parte dei quali venne acquistata da Rivière che, con l’entusiasmo del momento, si mosse per ottenere dalle autorità francesi nel 1871 un finanziamento ed il permesso di scavo ai Balzi Rossi, evento molto curioso in quanto le Grotte, a seguito del Trattato di Torino del 1860, ossia dopo la 2° Guerra d’Indipendenza, erano dichiaratamente di proprietà italiana. Ben presto arrivarono le prime contestazioni da parte delle autorità italiane fino a che Rivière ottenne i permessi di scavo italiani. Non contento, acquistò la Barma Grande, il Baousso da Torre e la Grotta del Principe, mentre da abitanti del posto acquisì i diritti esclusivi allo sfruttamento della Grotta dei Fanciulli, del Riparo Lorenzi, della Grotta di Florestano e della Grotta del Caviglione; da quel momento cominciò a scavare nelle varie grotte fino al 1875.
Nel marzo del 1872, insieme a Stanislas Bonfils (appassionato di archeologia locale) portò alla luce nella Grotta del Caviglione la prima sepoltura ad una quota di oltre 6 metri di scavo, attribuita inizialmente ad un uomo adulto paleolitico, (denominato “Uomo di Mentone”) e solo successivamente, a seguito di ulteriori studi approfonditi fino al 2016, giustamente attribuita ad una donna di epoca Gravettiana, denominata la “dama del Caviglione”, datata a circa 24.000 anni fa, di alta statura (circa 1.90 metri, tipico delle popolazioni europee del Paleolitico Superiore), morta all’età di circa 37 anni. Il cranio era coperto da un copricapo decorato con conchiglie marine, denti di cervo e sopra la fronte era infilato un grosso perno in osso, mentre altre conchiglie sono state reperite in prossimità della tibia, probabilmente perché facevano parte di un braccialetto decorativo posto sulle gambe. Sono state ritrovate abbondanti tracce di ocra rossa sia sulle ossa che sul terreno ed il corredo funerario con ossa di cavallo, elementi tipici delle sepolture paleolitiche. Lo scheletro era appoggiato sul fianco sinistro in posizione fetale, con le mani vicino al volto, due punte di freccia di selce ed un grosso osso forato ad una estremità posto sul petto, come se facesse parte di una collana; l’ossatura presentava una frattura vicino al polso ed attestava la gestazione di almeno un figlio. Il reperto è stato trasferito a Parigi, presso l’Institut de Paléontologie Humaine ed esposto al Musée de l’Homme, insieme alla porzione di terreno su cui giaceva il corpo con tracce di pietre carbonizzate; il calco della stessa è conservato presso il Museo dei Balzi Rossi.
Nel 1873 ritrovò nel Baousso da Torre tre sepolture, un adolescente sdraiato in posizione insolita, a faccia in giù, e due individui adulti con i relativi corredi funerari, alle profondità di circa 3.70-3.90 m. dal suolo originario della grotta; due di queste sepolture, dapprima considerate perse, sono nel Musée Lorrain di Nancy e l’altra è nel Museo Nazionale delle antichità di Saint-Germain-en-Laye, presso Parigi. Le caratteristiche fisiche ed il corredo funerario erano simili a quelli della Grotta del Caviglione.
Nel 1874 avvenne ancora un’importante scoperta, due sepolture infantili nella Grotta dei Fanciulli, che prese appunto il nome dal ritrovamento, ad una quota di 2.70 m di profondità di scavo; i due fanciulli erano posti l’uno accanto all’altro, in posizione supina, con numerose conchiglie forate disposte attorno all’anca, come fossero parte dell’ornamento di una veste; esami effettuati ai denti hanno permesso di attribuire ai bambini un’età di 2 e 3 anni. Rivière spedì il tutto a Parigi dove attualmente sono esposti al Musée des Antiquites Nationales di Saint Germain-en-Laye.
Intorno al 1880 Francesco Abbo, piccolo imprenditore locale, diventò proprietario della Barma Grande e del Baousso da Torre, sfilandoli al Rivière; egli non aveva alcun interesse per l’archeologia ma piuttosto pensava di utilizzare il riempimento della Barma Grande come fertilizzante per il terreno di una sua vigna. La notizia arrivò al principe Alberto di Monaco, il quale, particolarmente interessato alla preistoria, contattò Abbo per accordarsi su scavi preventivi che iniziò a fare nel 1882 con metodi più scientifici, attraverso la rigorosa documentazione della stratigrafia; controversie con il proprietario però lo costrinsero ad abbandonare momentaneamente le ricerche.
Ma è solo con la comparsa di Louis-Alexandre Jullien, un commerciante di Marsiglia, che arrivarono le scoperte più interessanti della Barma Grande; con la collaborazione di Bonfils, nel dicembre 1883 vennero alla luce le prime due statuine dei Balzi Rossi, attualmente conosciute come la “dama con il gozzo” e la “statuina in steatite gialla” (scoperte rispettivamente il 18 ed il 23 dicembre 1883). In quel momento i due reperti suscitarono un certo imbarazzo, non erano ancora note le statuine femminili del Paleolitico e le nudità che rappresentavano erano di sconcerto per l’epoca; Jullien decise così di occultare il ritrovamento, anche perché le caratteristiche levigate delle statuine rimandavano al Neolitico e quindi, nel timore che le sue scoperte fossero considerate coeve, cercò di mascherare il tutto. Nel febbraio 1884 venne alla luce una nuova sepoltura, lo scheletro di un uomo adulto in buono stato di conservazione, cosparso di ocra rossa e con un corredo funebre di lame di selce, ma a seguito di una colluttazione con il signor Abbo, lo scheletro venne distrutto e revocata la licenza di scavo al Jullien. Alcuni resti dello scheletro, cranio e parte del femore, furono esposti al Museo di Mentone, mentre altri frammenti ed il corredo funerario trasferiti dal Jullien al Peabody Museum della Harvard University a Cambridge negli USA.
Le successive scoperte nella Barma Grande, avvenute ad una profondità di circa 11 metri dal piano originario, risalgono al febbraio 1892 con la triplice sepoltura, tre scheletri risalenti a circa 20.000 anni fa, un maschio adulto alto 1.90 con possente robustezza scheletrica e due ragazze, probabilmente sorelle deposte con il padre o altro stretto parente, ordinatamente deposti affiancati nella stessa fossa, cosparsi di ocra rossa con un ricco corredo di conchiglie marine, denti di cervo, pendagli in osso lavorato e lame di selce; in ambito accademico il ritrovamento è ritenuto di particolare importanza, in quanto è uno dei rari esempi di triplice sepoltura paleolitica, al mondo esiste solo un altro esempio nella Repubblica Ceca.
Nel 1894 un nuovo ritrovamento nella parte interna della Barma Grande suscitò scalpore: erano 2 sepolture di maschi adulti, poste a poca distanza l’una dall’altra, a circa 6.40 m di profondità. La peculiarità era che uno dei due scheletri poggiava su un antico focolare, cosa che inizialmente fece pensare ad un caso di combustione del cadavere, ma successivamente si appurò che era stato deposto su un focolare spento.
Nel frattempo il Principe Alberto di Monaco, affascinato dalla storia delle grotte acquistò in proprietà esclusiva la grotta che attualmente porta il suo nome, ritenuta all’epoca ancora integra dalle attività di scavo fino ad allora eseguite e dal 1895 al 1902 promosse un’intensa attività con una equipe interdisciplinare, affidata al canonico L. De Villeneuve e a M. Boule. Le Grotte interessate dai lavori furono dapprima la Grotta del Principe e poi la Grotta dei Fanciulli, mentre di poco interesse furono gli scavi al Riparo Lorenzi ed alla Grotta del Caviglione. La Grotta dei Fanciulli restituì diverse sepolture; negli strati superiori, contigui a quelli da cui provenivano i due fanciulli, venne alla luce la sepoltura di una donna adulta in cattivo stato di conservazione, sepolta in posizione supina. Dai livelli più bassi invece emerse la sepoltura di un individuo maschile adulto, di alta statura e struttura vigorosa, deposto con le mani sul petto, ma il ritrovamento più importante fu la cosiddetta sepoltura doppia detta dei “Negroidi”, contenente una donna anziana con un braccialetto di conchiglie marine e un adolescente di circa 15-17 anni con un copricapo costituito da quattro file di conchiglie marine. I due corpi erano in posizione rannicchiata con la testa protetta da una serie di pietre disposte a cassetta; presentavano caratteristiche differenti rispetto alle altre sepolture trovate ai Balzi Rossi, ad esempio una minore statura (1.59 la donna ed 1.56 il ragazzo) ed una differente morfologia del cranio (più simile alle razze negroidi), tanto che si parlò di un nuovo tipo umano detto razza Grimaldi. Tuttavia, studi degli anni sessanta dimostrarono l’infondatezza di tale ipotesi, i due corpi erano stati sepolti in tempi diversi, attribuibili al gravettiano. Le osservazioni sulle sepolture di questo periodo e la presenza dei corredi funebri, dell’ocra rossa e degli ornamenti dimostrarono finalmente l’esistenza di veri e propri riti funebri nel Paleolitico Superiore.
Tutti i reperti recuperati dal principe Alberto furono esposti nel Musée d’Anthropologie Préhistorique che lui stesso aveva predisposto nel 1902 nel Principato di Monaco, mentre il mecenate inglese Thomas Hanbury aveva provveduto nel 1898 alla costruzione del Museum Praehistoricum presso l’area archeologica dei Balzi Rossi, al fine di accogliere ed esporre, almeno in parte, gli eccezionali reperti provenienti dalle proficue attività di scavo.
Dalla Grotta del Principe emerse il frammento del bacino di una donna del tipo Heidelbergensis, quindi risalente a circa 250.000 anni fa nel Paleolitico Inferiore, esposto attualmente al museo dei Balzi Rossi. Durante questi scavi iniziati nel 1895, il Principe in realtà constatò che la grotta non era integra, ma già scavata clandestinamente da Jullien negli anni tra il 1892 ed il 1895, come poi riuscì a scoprire; egli in questa occasione aveva portato alla luce altre tredici statuine del Paleolitico Superiore che trafugandole portò con sé in Canada. Nel frattempo, nel 1892 Edouard Piette, un magistrato collezionista di arte preistorica, scoprì a Brassempouy la cosiddetta Venere, statuina datata al Paleolitico Superiore, suscitando incredulità nella comunità scientifica, tanto che nel 1894, sempre a Brassempouy, venne organizzata una sorta di caccia al tesoro con il ritrovamento di altre due statuine d’avorio, ora note come l’Ebauche e la Poire e la conseguente attribuzione di questi reperti alla preistoria antica. Grazie a questo ritrovamento finalmente si riconobbe l’esistenza di queste statuine datate al Gravettiano.
A questo punto Jullien da Montreal rese nota l’esistenza delle quindici statuine recuperate alla Barma Grande e nella Grotta del Principe, nel tentativo di trovare un acquirente. Propose in vendita la cosiddetta “Venere gialla” (n. 04) a Salomon Reinach, allora direttore del Museé des Antiquités Nationales di Saint-Germain-en-Laye, insieme ad altri oggetti provenienti dalla Barma Grande, oggetti che entrarono subito a far parte della collezione del museo. Edouard Piette, venuto a conoscenza dell’esistenza dei reperti, acquistò da Jullien in due diverse occasioni, sin dal 1896, sei statuine, la Losanga, il Pulcinella, l’Ermafrodita, la Dama con il gozzo, la Testa Negroide e l’ultima nel 1902, l’Innominata; tutte successivamente confluiranno nel Museo di Saint-Germain-en-Laye dove sono attualmente esposte. Ma, dettaglio curioso, nonostante l’importanza dell’acquisizione, Piette non espose il prezioso materiale: solo nel 1902 diede alle stampe un suo articolo nel quale parlò di statuine “più piccole e meno ben scolpite” rispetto a quelle di Brassempouy, pubblicando le foto solo della Testa Negroide e del Pulcinella e facendo osservazioni di tipo razzista che ben si inquadravano nei pregiudizi coloniali del tempo.
Anche l’Abate Henry Breuil si interessò alle statuine, incaricando un suo confratello, l’Abate Dupaigne che dimorava a Montreal, di reperirne notizie; da lui ottenne nel 1915 un disegno schematico di due delle statuine, quelle denominate il Busto e il Giano, notizie da lui pubblicate solo nel 1930. Per le statuine bisognerà aspettare più di mezzo secolo per vederle tornare alla ribalta, sembra che Jullien abbia cercato di venderle ma gli eventi della prima guerra mondiale posero fine ad ogni trattativa. Dopo la sua morte avvenuta nel 1928, una delle figlie che nel frattempo si era trasferita negli Stati Uniti, Laurence, cedette nel 1944 al Peabody Museum dell’Università di Harvard la “statuina con il collo perforato” o “Giano” e circa 380 strumenti in pietra ritrovati da Jullien negli scavi alla Barma Grande. Altre cinque riemersero dall’oblio solo nel 1987 quando le nipoti di Jullien vendettero ad un antiquario di Montreal un baule contenente anche le statuine che, nel novembre dello stesso anno, vennero acquistate da uno scultore di Montreal, tale Pierre Bolduc, per $ 225. Dopo alcuni anni, nel 1993 Bolduc le portò alla Mc Gill University di Montreal per la valutazione ed analisi con la conferma che le 5 statuine erano effettivamente la parte mancante della collezione Jullien da tempo perduta. Dietro insistenza di Bolduc, le nipoti di Jullien, Lucie e Laurence Jullien-Lavigne, ritrovarono le ultime due statuine, il Busto e la Bicefala.
Dopo una vera “damnatio memoriae” di inizio secolo dovuta dapprima all’occultamento delle statuine operato da Jullien dopo il ritrovamento e successivamente per la messa in dubbio della loro autenticità, sia per la datazione che per il sospetto che Jullien fosse un truffatore, le 15 statuine finalmente erano tornate alla luce. Le sette statuine canadesi sono state esposte al pubblico una sola volta, nel 1995 al Canadian Museum of Civilization di Hull in Quebec, per la mostra dal titolo “Madri del tempo”, curata dall’archeologo Jacques Cinq-Mars, con la collaborazione dell’archeologa italiana Margherita Mussi.
Ritornando all’attività di scavo delle grotte, nel 1927 nacque a Firenze l’Istituto Italiano di Paleontologia Umana che dal 1928 al 1930 scavò sia nella Barma Grande che nei livelli musteriani della Grotta dei Fanciulli, per poi proseguire dopo il 1938 con gli scavi al Riparo Bombrini e Mochi, entrambi importanti per la sequenza stratigrafica dal Paleolitico Medio all’Epipaleolitico, che permisero di indagare un momento cruciale della storia evolutiva dell’uomo, nella fase di transizione dall’uomo di Neanderthal all’uomo del Paleolitico Superiore. In effetti, sino ad allora tutte le ricerche in loco erano state affidate a pionieri che spesso avevano utilizzato tecniche di scavo non sempre appropriate con la conseguente perdita di importanti informazioni; va precisato che queste modalità non erano eccezionali per l’epoca, basti pensare che la prima regolamentazione in materia di scavi archeologici in Italia avvenne nel 1939, anche se in precedenza (1909 e 1919) erano state emanate disposizioni parziali.
Durante la seconda guerra Mondiale i bombardamenti alla ferrovia danneggiarono gravemente sia la zona archeologica dei Balzi Rossi che il vicino Museo, ricostruito ed ampliato nel 1953-54. I reperti sono stati all’epoca messi in salvo per l’intervento tempestivo di Luigi Cardini, rinomato paleontologo.
Nel 1971, nei pressi del riparo Mochi si notarono le prime tracce di incisioni parietali paleolitiche, cosa che fece sorgere il dubbio che probabilmente anche nelle altre grotte c’erano dei graffiti alla quota originaria, prima dello scavo; così furono esaminate tutte le grotte alle rispettive quote con il ritrovamento della rappresentazione più importante, quella relativa ad un piccolo cavallo della Grotta del Caviglione, a circa 7 metri di altezza dal livello attuale, figura attraversata da vari segmenti verticali. Questa incisione, di circa 40 cm. di lunghezza, ricorda i tipi attuali di animali della Camargue o il tipo selvatico dell’Europa orientale; studi approfonditi accertarono che due dei segni lineari furono eseguiti prima del graffito del cavallo, informazione di notevole importanza poiché sembrerebbe provare che i segni lineari ebbero larga diffusione lungo tutto il Paleolitico mentre il cavallo apparterrebbe alle culture prettamente Gravettiane, quindi coeve delle statuine. Altre incisioni sono presenti nel riparo Blanc-Cardini.
In tempi recenti l’attività di scavo è proseguita nel Riparo Mochi, nella Grotta del Principe e nel Riparo Bombrini, ricerche effettuata da istituzioni italiane e americane, facendo si che il complesso dei Balzi Rossi, nonostante le peripezie descritte, abbia fornito uno delle più importanti testimonianze sulla biologia, cultura e comportamento delle prime popolazioni moderne dell’Europa.
Elvira Visciola – marzo 2021
Bibliografia
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- Alessandro Carassale, Daniela Gandolfi e Alberto Guglielmi Manzoni – “Il Viaggio in Riviera. Presenza straniere nel Ponente Ligure dal XVI al XX secolo” – in Atti del Convegno – Bordighera 14 e 21 giugno 2014;
- Claudine Cohen – La femme des origines – Belin Herscher 2003.