Sono diversi i reperti recuperati nel riparo Gaban (vedi qui, qui e qui), ma quello più noto è la figura femminile stilizzata, rinvenuta durante la prima campagna di scavo del 1972, diretta da Bernardo Bagolini, accanto ad un focolare neolitico più volte rigenerato; il reperto è stato trovato nelle vicinanze di un altro oggetto molto particolare, un manico istoriato ricavato da un omero di cinghiale decorato su tutti i lati, elementi entrambi che hanno fatto ipotizzare che quello doveva essere un importante luogo di culto dove venivano deposte offerte, probabilmente a scopo propiziatorio.
La statuina è ricavata da una placca ossea di cervo e termina nella parte inferiore a punta, quindi senza possibilità di appoggio; è decorata su entrambe le facce con uno strato di calcare bianco applicato come base al supporto osseo su cui poi è stato spalmato l’ocra, visibile soprattutto nella parte inferiore e sul retro del supporto. In merito all’uso dell’ocra, indagini al microscopio hanno appurato che è stato applicato diluito con qualche sostanza liquida e non materiali sotto forma di polvere, stesi con una pennellata precisa dai contorni netti; le incisioni e la successiva decorazione sono state realizzate con uno strumento in selce. L’uso dell’ocra e del supporto osseo animale sono caratteristiche provenienti da una tradizione diffusa maggiormente durante il Paleolitico Superiore ed il Mesolitico, mentre dettagli del primo Neolitico sono le braccia a gruccia, i seni resi evidenti da due incisioni ad “U” che li separano dalle braccia, oltre ad una profonda incisione a semiluna (o a corna di toro, come suggerito da M. Gimbutas, 2008) ad indicare un pendente sotto il collo. La testa è separata dal corpo ed il volto ha incisi gli occhi e la bocca, mentre sul retro la capigliatura sciolta è rappresentata da incisioni verticali. Subito sotto la vita corre una fascia decorata con otto incisioni verticali a rappresentare una cintura e al di sotto il bacino e le gambe decorate in ocra al cui centro è incisa una vulva sormontata da una decorazione ad albero. Quest’ultimo elemento (albero della vita legato alla vulva) insieme all’uso dell’ocra rossa (colore connesso al sangue) hanno fatto ipotizzare l’uso dell’oggetto in relazione a rituali di vita e di rigenerazione legati probabilmente al mondo agricolo, così come è stato testimoniato in molti siti Balcanici. Il manico istoriato è ricavato da un omero sinistro di cinghiale, decorato su tutti i lati con motivi simbolici, probabilmente a carattere narrativo. Sulla faccia laterale esterna presenta in ordine discendente i seguenti simboli, separati da linee incise: una figura stilizzata, con braccia alzate e gambe piegate, chiamata orante; a seguire tre linee orizzontali a zig-zag a rappresentare un corso d’acqua; quindi un reticolo a losanghe la cui interpretazione risulta ambigua, potrebbe essere un campo coltivato o un’altura; infine la raffigurazione di un motivo a corna che sormonta una decorazione geometrica a fasce di linee oblique e orizzontali. Sulle altre facce è inciso un motivo decorativo a “V” e tacche di diversa misura, come a scandire il trascorrere del tempo. In merito a questo oggetto M. Gimbutas scrive: “…Dal medesimo strato della caverna di Gaban è stato estratto un omero di cinghiale inciso con un disegno simbolico. La sua decorazione, divisa in quattro sezioni, raffigura dall’alto in basso una figura a forma di rana, una banda a triplo zig-zag, una rete e un utero disposto su bande di corsi d’acqua. Siamo in presenza di un accumulo di simboli relativi alla rigenerazione: utero – rana – acqua (o liquido amniotico). Ancora una volta i simboli della vita dominano sull’osso nudo, simbolo della morte…” (M. Gimbutas, 2008).
Non si conosce l’uso effettivo dell’oggetto, ma presenta il dettaglio di un foro sulla sommità che ha evidenti tracce di usura da sfregamento, come se un legaccio era destinato a scorrervi. Anche in questo caso si parla di un oggetto in cui convivono elementi mesolitici (come l’utilizzo del supporto di animale selvatico ed il reticolo a losanghe) con motivi propriamente neolitici (la figura dell’orante).
Altri oggetti riferibili al livello del primo Neolitico sono:
- una placca ossea a forma di pesce di cui non si conosce l’uso; ha un foro passante su una estremità in corrispondenza dell’occhio e pertanto potrebbe essere stato usato come ciondolo oppure come oggetto sonoro (appeso ad una corda veniva fatto roteare producendo un suono cupo e suggestivo);
- ceramiche ornate con decorazioni incise con motivi geometrici o a unghiate su argilla ancora plastica riferibili alla Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Note storiche
Il Riparo Gaban si trova in località Piazzina di Martignano, nella periferia a nord est della città di Trento, su un’area pianeggiante posta sotto una sporgenza di roccia naturale di circa 10 metri di altezza, 6 di profondità e 60 di lunghezza. La particolare esposizione, protetta dai venti del nord, ha favorito la frequentazione del sito in età preistorica, attestata con una certa continuità dal Mesolitico (7500 a.C.) al Bronzo medio (1600 a.C.). I primi sondaggi sono iniziati nel 1962 quando, il Direttore del Museo locale degli Usi e Costumi Giuseppe Sebesta, incuriosito dai reperti ceramici che affioravano in loco, ha effettuato il primo scavo esplorativo senza però alcun risultato. La prima vera campagna di scavo è iniziata solo nel 1970, sotto la direzione di Bernardo Bagolini, allora Direttore della sezione di Preistoria del Museo di Scienze Naturali, proseguita con campagne annuali fino al 1981, grazie alla disponibilità del proprietario del sito, il signor Richetto Pasquali, soprannominato Gaban per via del fatto che amava portare un “Gaban”, un mantello, che quindi ha dato il nome al riparo. Sin da subito è stata realizzata una struttura di copertura dell’area di scavo, consentendo così l’allestimento di un cantiere permanente, che ha messo in luce un’imponente sezione stratigrafica di circa 6,00 ml ancora visibile in loco; si rileva che ancora oggi non è stato raggiunto il livello base del Mesolitico. Tra il 1982 ed il 1985 gli studi sono stati approfonditi sul livello mesolitico, sotto la direzione di Bernardo Bagolini, Alberto Broglio e Stephan Koslowski. Dal 2007 gli scavi sono sotto la direzione di Annaluisa Pedrotti dell’Università degli Studi di Trento, con la collaborazione di Diego Angelucci e Fabio Cavulli. L’area oggetto di scavo è posta a ridosso del riparo, su una superficie di circa 60 mq, divisa in 5 settori; sono stati trovati numerosi oggetti d’arte, sia nei depositi del Mesolitico che del primo Neolitico facendo così del Riparo Gaban uno dei principali siti di riferimento a livello internazionale per lo studio del processo di neolitizzazione, ossia del passaggio dai gruppi nomadi di cacciatori-raccoglitori ai gruppi sedentari di allevatori-agricoltori.
SCHEDA
ULTIMI TESTI PUBBLICATI
VISITA LE SCHEDE PER OGGETTO