All’interno della grotta delle Arene Candide sono stati riesumati circa 42 inumati nel corso delle diverse campagne di scavo, ricerche che hanno permesso di approfondire le dinamiche funerarie all’interno della necropoli.
La prima fase dei rinvenimenti è avvenuta durante gli scavi del geologo Arturo Issel, ma di questi non si possiede una corretta documentazione dei dati relativi oltre al fatto che il materiale osteologico è quasi completamente andato perduto. Già nel corso delle sue prime visite, avvenute nel 1864, Issel trovò ossa umane sparse ad una certa profondità al di sopra di alcuni focolari, ossa di colore biancastro, probabilmente per l’azione del fuoco, con scalfiture ed intaccature a causa dell’azione di animali predatori.
La prima tomba intatta fu scoperta nel 1874 ad una profondità di circa 1.60 metri e successivamente altre 8 durante lo scavo avvenuto con i signori Brooke e Brown; si tratta di 4 tombe di adulto maschio, una femmina adulta, 3 bambini ed un adulto in età avanzata, quasi tutti con il cranio dolicocefalo. Solo per 4 di queste si è potuta appurare la posizione rannicchiata sul fianco sinistro, mentre per le restanti 4 i dati sono frammentari; i corredi erano totalmente mancanti per i bambini, mentre gli adulti avevano circa 2 oggetti a tomba (punte in osso, asce in pietra verde, schegge di selce, conchiglie forate, ossa di animali, vasetto con resti di pasto carbonizzato in un solo caso, ocra rossa sotto forma di pezzetti frantumati mentre nel caso della tomba femminile l’ocra rossa era sparsa sul fondo della fossa).
Il reverendo Don Pietro Perrando riportò alla luce 3 sepolture, di un lattante, di un bambino di 7-8 anni con una lesione ante-mortem sul cranio e di un anziano sepolto con le braccia incrociate sul petto ed ocra rossa sulla fronte.
Anton Giulio Barrili nel 1874 rinvenne una sepoltura femminile di età imprecisata ma vicina all’adolescenza, con il corpo adagiato sul fianco destro, le braccia conserte sul petto, il cranio appoggiato su un ciottolo ed il corredo costituito da conchiglie forate, denti di animali, cocci di ceramica ed un frammento di testa di mazza in giadeite.
Alfred John Wall nel 1884 riportò alla luce altre 5 tombe, ma di queste non si hanno notizie.
Il reverendo Nicolò Angelo Andrea Morelli durante gli scavi dal 1885 al 1888 rinvenne altre due sepolture protette da grandi lastre in pietra e svariati frammenti ossei dello scheletro post-craniale di 7 bambini; anche di questi corpi restano solo i resoconti di Issel.
Ma fu durante gli scavi sotto la direzione di Luigi Bernabò Brea, condotti dagli archeologi Virginia Chiappella e Luigi Cardini, che il 1 maggio 1942, nel pieno degli eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale, venne alla luce la tomba del “Principe delle Arene Candide” sotto il focolare n. 5, a circa 6.70 metri di profondità, recentemente datato al 26.300 a.C., un giovane di circa 15 anni di età, robusto ed alto circa 170 cm., sepolto dopo una morte violenta probabilmente causata dall’aggressione di un orso durante una battuta di caccia, con un colpo inferto alla mandibola ed alla spalla sinistra che infatti sono state asportate. Il giovane venne sepolto con tutti gli onori, su un letto di ocra rossa con un ricco corredo costituito da un copricapo formato da centinaia di conchiglie perforate e canini di cervo, pendenti in avorio di mammut, 4 bastoni traforati in palco d’alce, tre dei quali decorati con sottili striature ed una lama di selce di 23 cm. tenuta nella mano destra. La funzione dei 4 bastoni rimane ancora oggi incerta: per lungo tempo sono stati definiti bastoni di comando o indicatori di status sociale, mentre oggi si suppone servissero come strumenti per raddrizzare, con l’aiuto del fuoco, le ossa lunga degli animali impiegate per la caccia.
La ricchezza e la varietà del corredo funerario insieme all’eccellente stato di conservazione e la precisa collocazione stratigrafica hanno fatto della sepoltura un’importante fonte di dati archeologici, paletnologici ed antropologici. Bisogna però evidenziare che non è stata effettuata un’analisi del DNA, ma solo una diagnosi del sesso, che per uno scheletro di adolescente non garantisce la sua corretta attribuzione; pertanto, allo stato attuale delle indagini, non si può dire con certezza assoluta che sia uno scheletro maschile e, se così fosse accertato a seguito di analisi del DNA, sarebbe il primo uomo ad essere sepolto con un corredo tipico di sepolture femminili, come il copricapo fatto di conchiglie e l’ocra rossa sparsa sul piano di deposizione della sepoltura.
Nelle successive campagne di scavo emerse la necropoli Epigravettiana, costituita da dodici sepolture primarie (di cui due doppie) ed almeno sei raggruppamenti scheletrici in deposizione secondaria, materiale su cui sono stati effettuati approfonditi studi che hanno consentito di formulare nuove ipotesi sui comportamenti funerari del Paleolitico Superiore. La caverna venne usata come luogo di inumazione e di successiva manipolazione intenzionale delle sepolture in due fasi distinte, la prima nel 10.870-10.470 a.C. e la seconda nel 10.080-9.230 a.C.; nonostante ci sia una differenza di alcuni secoli tra una fase e l’altra, le caratteristiche dei comportamenti rituali erano simili: posizione supina e distesa del defunto, presenza di corredo e nel caso di sepolture bisome vi era un adulto con un bambino al fianco. In occasione di nuove sepolture si registra la manipolazione secondaria dei defunti che risulta intenzionale (ossia sono defunti appartenenti alla medesima fase, a testimoniare una sorta di legame diretto dei vivi con i propri antenati) con la dislocazione laterale dei resti e la successiva ricollocazione di elementi specifici, specialmente crani, in nicchie nella pietra ubicate intorno al nuovo inumato. La scelta di destinare un luogo specifico a determinate pratiche funerarie per la durata di alcune generazioni ha posto in evidenza il legame di queste popolazioni con il territorio ed ha consentito di approfondire lo studio e la comprensione delle dinamiche di vita, caratterizzate in genere dalla frammentarietà e dispersione dei contesti funerari.
In particolare è importante evidenziare la presenza nei pressi degli inumati di alcuni ciottoli litici piatti e oblunghi, levigati dall’azione del mare e con numerose tracce di ocra; questi, i cosiddetti “biscottini” erano posti sia integri che frammentari, con fratture artificiali e pertanto si è ipotizzato che venissero usati per l’applicazione dell’ocra sui corpi dei defunti, quindi venivano rotti intenzionalmente dopo l’uso in modo che una parte venisse lasciata in situ e l’altra rimossa e portata via come simbolo di legame con il defunto.
Nella stessa Caverna sono stati ritrovati nell’area della necropoli alcuni ciottoli con tracce d’uso e di ocra rossa di cui due presentano sulla superficie linee parallele, che hanno spinto Luigi Cardini a rapportarle con i ciottoli dipinti del Mas d’Azil, affermando così la loro affinità con il Mesolitico pirenaico (L. Cardini, 1972). In ambito italiano, confronti stilistici appartenenti allo stesso intervallo cronologico possono riscontrarsi con una placchetta proveniente da Riparo Dalmeri in Trentino, con sette ciottoli rinvenuti a Grotta Continenza in Abruzzo e con alcuni ciottoli ancora in fase di datazione provenienti da Grotta della Madonna in Calabria.
Negli strati più recenti, tra il 24 ed il 20, emersero altre 13 sepolture, datate tra il 5395-5125 ed il 4983-4783 cal a.C.; di seguito una breve analisi delle sepolture:
Tomba I: a cista litica, scheletro di adolescente maschile in pessime condizioni, adagiato in posizione rannicchiata sul fianco sinistro con mano destra vicino al mento e sinistra sotto la testa, privo di corredo con frammenti di carboni ritrovati nelle vicinanze del cranio, probabile resto di qualche strumento ligneo non più riconoscibile. Allineamento del corpo NNE-SSW e testa rivolta a NNE; tracce di artropatia (artrosi) probabilmente generata da un lavoro continuo ed intenso di tipo manuale. La sepoltura è datata al 4700-4500 a.C., riferibile alla cultura dei Vasi a Bocca Quadrata. I resti sono conservati presso il Museo Archeologico di Finale Ligure.
Tomba II: a cista litica, adiacente alla I, scheletro di adulto ritrovato con il cranio schiacciato, forse a causa della rottura della lastra di copertura della cista, con il corredo costituito da un punteruolo in osso ricavato da costola di maiale facente parte probabilmente della veste del defunto. Allineamento del corpo e della testa come per la I. I resti sono conservati presso il Museo Civico di Archeologia Ligure di Genova Pegli.
Tomba III: a cista litica, interessava gli strati 22, 23 e 24 (probabile livello delle due ciste precedenti), in posizione distanziata rispetto le due precedenti, con allineamento NS e testa verso N, scheletro di adulto maschile di circa 55 anni, in buono stato di conservazione; come unico corredo aveva un punteruolo d’osso trovato vicino al petto e diversi frammenti di carbone. I resti sono conservati presso il Museo Archeologico di Finale Ligure.
Nella terra dello strato 24, proprio al di sopra delle prime tre sepolture, vennero ritrovati i resti di un neonato senza protezione e corredo, mentre nello strato 21 venne alla luce la tomba di un bambino di pochi mesi, anch’esso giaceva disteso senza protezione e corredo.
Tomba VI: a cista litica, era posta proprio al di sotto della tomba V, ma allineata in senso inverso, ossia da ENE a WSW ed il capo rivolto verso ENE, poggiava su una pietra irregolare che dava una posizione sopraelevata al cranio; lo scheletro, di un giovane adulto di 25-30 anni, era in buono stato di conservazione, rannicchiato verso sinistra in maniera meno forte delle precedenti tombe, con braccia flesse e mani giunte poste presso la pietra su cui poggiava il capo. Il corredo era costituito da una macina di forma rettangolare smussata, molto allungata, ricoperta di ocra rossa e collocata davanti al petto. Sotto lo scheletro si trovava una grossa pietra che certamente era in quella posizione al momento della deposizione e, che insieme ad altre pietre, costituiva la copertura dello strato epigravettiano; quindi questa, insieme alla Tomba V, probabilmente apparteneva ad una fase più antica delle prime quattro tombe.
Tomba VII: a cista litica rinvenuta incompleta poiché probabilmente la lastra di copertura è caduta sullo scheletro; quest’ultimo, trovato pertanto in condizioni assai disastrose, era di giovane adulta, rannicchiata forzatamente sul fianco sinistro, con il dorso appoggiato alla parete rocciosa e la testa rivolta verso l’ingresso della caverna. La mano era all’altezza del mento, la tomba in generale mancante di corredo; tracce di artrite al tunnel carpale. I resti sono conservati presso il Museo Archeologico di Finale Ligure dove sono stati ricostituiti.
Tomba VIII: ritrovata senza cassa litica, tre pietre erano poste a protezione dello scheletro di un bambino di circa 4-5 anni di età, addossato alla parete e con la testa rivolta verso l’ingresso della caverna, fortemente rannicchiato sul fianco sinistro tanto che le ossa dell’avambraccio erano aderenti all’omero e la mano era posta all’altezza della spalla; come corredo un vaso a bocca quadrata finemente decorato a graffito trovato a 10 cm. dalla testa. La testa presentava come segni di traumi perimortali una frattura alla mandibola ed una perforazione nel cranio, entrambi dovuti a violenza subita.
Tomba IX: a cista litica molto semplificata, costituita da 3 grandi lastre, 2 poste verticalmente ed una a copertura, quindi senza protezione alle due testate e pertanto la testa sporgeva dal lastrone di copertura verso Nord, mentre il bacino e le gambe sporgevano a Sud; lo scheletro, rinvenuto nei livelli del Neolitico medio, era di una donna adulta anziana, posta in posizione fortemente rannicchiata sul fianco sinistro, con le braccia flesse, le mani all’altezza del viso e le gambe flesse all’altezza del bacino. Il corredo era mancante, unico elemento uno spillone in osso ritrovato all’altezza del braccio destro, forse impiegato per la chiusura di un indumento; in ogni caso si notò la presenza di grandi quantità di carboni e ceneri oltre che numerosi frammenti di ocra rossa.
Tomba X: una fossa con due pietre a protezione della testa e delle ginocchia di un bambino molto piccolo, deposto in posizione rannicchiata sul fianco sinistro e senza corredo.
Tomba XI: è una sepoltura bisoma costituita da un adulto e un bambino di circa 3 anni deposto al suo fianco. Nella stessa tomba è stato trovato un corredo di oggetti tra cui ciottoli allungati, i cosiddetti “biscottini”, e conchiglie.
Negli anni ’70 ripresero gli scavi all’interno della grotta ad opera del Professor Santo Tinè, il quale portò alla luce altre 3 sepolture, di cui 2 riferibili al Neolitico Medio ed una al Neolitico recente; in particolare:
Tomba ACT1: a cista litica con assenza di corredo, scheletro in posizione contratta di individuo maschile di 19-20 anni, alto circa 158 cm., caratterizzato dalla forma particolarmente allargata del cranio con mandibola robusta; la sepoltura è riferibile ad un momento avanzato della prima fase della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Tomba AC13: rinvenuta nei livelli 12 e 13, appartiene ad un bambino di circa 8-9 anni, adagiato in fossa in posizione ranicchiata sul fianco sinistro orientato E-O ed il capo rivolto a Nord, interamente ricoperto di ocra rossa e polvere cinerea; è stato datato a circa il 3850 a.C., pertanto ad un momento avanzato della prima fase dei Vasi a Bocca Quadrata. Il quadro patologico dell’inumato mostra uno strato di forte carenza alimentare ed uno stato di salute particolarmente sfavorevole; lo scheletro era mancante sia dell’avambraccio che della mano sinistra, probabilmente a causa dell’assenza di strutture di protezione della sepoltura e pertanto si presume che le parti siano andate perdute per cause naturali.
Tomba ACT2: rinvenuta nei livelli 14 e 15, la sepoltura è riferibile alla Cultura di Chassey; l’inumato di sesso maschile di circa 40 anni, alto 160 cm. era adagiato in una fossa semplice con gambe flesse verso il busto e cosparso di ocra ma senza corredo. Lo studio delle numerose sepolture di Età Neolitica ha permesso di identificare fenomeni patologici da collegarsi all’introduzione della nuova economia, del nuovo stile di vita e quindi della conseguente dieta a base di cereali; l’ampia diffusione di questo alimento favorì lo sviluppo di patologie orali quali le carie e gli ascessi le cui complicanze furono tra le principali cause di morte tra adulti e bambini.
Note Storiche
Le prime esplorazioni della grotta si ebbero nel giugno del 1864 ad opera di Arturo Issel, il quale resosi conto della grande potenzialità del sito promosse campagne di scavo che si protrassero dal 1864 al 1876. Nello stesso periodo prese parte agli scavi anche un suo allievo, Nicolò Angelo Andrea Morelli, a cui sono da attribuire importanti ritrovamenti avvenuti soprattutto in campagne successive svolte in autonomia, tra cui un elevato numero di sepolture neolitiche e la prima statuina fittile trovata nel 1886.
Un’intensa e più precisa attività di scavo venne però attuata da Bernabò Brea negli anni 1940-42 e 1948-50, lavoro che portò alla definizione della stratigrafia con l’individuazione delle diverse fasi culturali che si sono succedute nel sito. Negli anni 70 Santo Tinè con la collaborazione di Roberto Maggi continuarono ad esplorare i livelli del Neolitico Antico e Medio. Negli anni 90 sono state intraprese attività di salvaguardia del sito. Per approfondimenti sulla storia degli scavi vedi relazione “Arene Candide: storia degli scavi“.
La caverna delle Arene Candide misura 70 x 20 metri e si presenta di forma allungata nel senso est-ovest, con l’apertura divisa in due da un enorme masso, attualmente saldato alla volta da concrezioni stalagmitiche. La parte interna è divisa in 3 zone: quella centrale più lunga e più stretta è chiamata “camera Issel”; quella a sinistra, la “sala Morelli”, ha forma circolare da cui si dipartono brevi cunicoli; quella a destra, la “sala Gandolfi” è di minori dimensioni, con l’ingresso segnato da un pilastro roccioso, ricco di concrezioni e stalagmiti.
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