Si tratta di due statuine femminili paleolitiche ricavate da una scheggia ossea di bue o cavallo. Entrambe sono senza lineamenti del volto e presentano caratteristiche stilistiche differenti tra loro.
Dei due esemplari, la più grande ha in corrispondenza del collo e del mento due incisioni parallele e curvilinee che sembrano rappresentare un collare o un cappuccio; le spalle sono spioventi e proseguono nelle braccia che si congiungono sotto il ventre prominente; tutti i particolari anatomici sono ben evidenziati, in particolare i due seni sono resi con due solchi, il pube ed il posteriore sono resi con estremo realismo e le gambe sono troncate all’altezza delle ginocchia.
La seconda statuina ha dimensioni più ridotte, con un profilo fusiforme, il capo tondeggiante ed il collo indicato da un solco; le braccia si congiungono sotto il ventre con l’indicazione di alcune dita, i seni sono pendenti e ovali, il ventre è piatto ed i glutei sono appena accennati; la parte inferiore è affusolata e termina in una sorta di uncino, particolare che ha fatto pensare si trattasse di un pendaglio.
Il particolare delle braccia lungo i fianchi e delle mani congiunte sotto il ventre fa ricordare alcuni esemplari di statuine siberiane, suggerendo una medesima convenzione stilistica.
All’interno della grotta sono stati rinvenuti inoltre: circa 400 manufatti d’arte su pietra e su frammenti d’osso, molti dei quali risalenti al Paleolitico, circa 18.000 frammenti di ceramiche risalenti ad un periodo compreso tra il Neolitico e l’età del bronzo ed i resti di una sepoltura di un uomo e una donna di Cromagnon, con tanto di corredo funerario.
Per quanto riguarda i reperti di arte mobiliare, buona parte presentano una decorazione geometrica formata da fasci di linee parallele, bande tratteggiate, motivi scalariformi, a reticolo racchiuso in larghe bande o libero, meandri e motivi a nastro curvilineo; talvolta tra le incisioni si conservano tracce d’ocra.
Anche per quanto concerne le sepolture sono state ritrovate abbondanti tracce di ocra ad indicare che i corpi sono stati adagiati su questa sostanza o che ne sono stati ampiamente cosparsi; la deposizione è bisoma, datata all’Epigravettiano antico, avvenuta in una fossa ellissoidale naturale, sfruttando quindi l’andamento del suolo; la sepoltura è stata sicuramente danneggiata durante il Neolitico quando parte degli scheletri è stata asportata; il corredo ha restituito solo un ciottolo dipinto di ocra ed una trentina di canini di cervo forati anch’essi macchiati di ocra, posti in doppia fila e localizzati in prossimità del punto dove è stata trovata la testa dell’individuo femminile, pertanto si ipotizza che questi avrebbero potuto comporre il copricapo. La Grotta delle Veneri, che prende il nome dalle due statuine rinvenute all’interno (precedentemente nota con il nome di Grotta Nicola Fazzu), è situata in località Monaci a circa 2 Km in direzione nord-ovest dal Comune di Parabita; è formata da un’ampia cavità naturale di origine carsica e si sviluppa per una lunghezza complessiva di oltre un centinaio di metri nei calcari. La cavità può essere distinta in due settori: la grotta-riparo esterna, frutto dei progressivi arretramenti della volta che hanno generato un ambiente aperto a pianta grossomodo circolare e dove sono ben evidenti gli enormi massi di crollo che hanno sigillato le serie stratigrafiche preistoriche; la grotta interna, a sua volta suddivisibile in un tronco centrale e due cunicoli che si sviluppano verso Nord e verso Ovest.
Note storiche
Le statuine furono rinvenute nel 1966 durante gli scavi commissionati dal Prof. Giuseppe Piscopo del gruppo speleologico salentino. Già dall’anno precedente il professore, insieme ad altri studiosi, decise di condurre una campagna di ricerche in diverse grotte del Salento, dal Capo di Leuca alla costa neretina; il 14 agosto di quell’anno, Piscopo insieme al collega Antonio Greco, penetrarono nella prima parte della grotta rendendosi conto sin da subito dell’importanza della scoperta.
La seconda parte della grotta era inaccessibile, ostruita da massi e terriccio, pertanto aprirono un regolare cantiere di lavoro allo scopo di determinare con sicurezza l’età e la facies della grotta. Molte furono le successive escursioni che permisero di raccogliere testimonianze di varie epoche, dal paleolitico fino al neolitico. Per vari motivi, gli scavi effettivi furono promossi solo nel 1966, all’inizio lavori commissionati dallo stesso Piscopo; le ricerche interessarono anche la seconda parte della grotta, dove vennero trovati vari reperti tra cui anche le due statuine. Grande fu l’interesse scientifico tanto che nel maggio dello stesso anno, per conto dell’Istituto di Antropologia e Paletnologia Umana dell’Università di Pisa, in collaborazione con la Soprintendenza alle antichità di Taranto e il Gruppo Speleologico di Maglie, venne avviata la prima vera campagna di scavi nella grotta con i fondi messi a disposizione dall’Università di Pisa. Nel settembre dello stesso anno l’amministrazione comunale di Parabita acquistò una porzione di terreno su cui insisteva l’ingresso della Grotta, in modo da consentire il regolare e libero accesso agli studiosi. Durante il 1968 iniziò una campagna di scavi ad opera dell’Università di Pisa che proseguì per tutti gli anni ’70 e portò al rinvenimento di numerosissimi reperti. Molti materiali vennero portati a Pisa per essere studiati e catalogati, reperti che tornarono a Lecce nell’aprile del 2014, attualmente depositati presso L’università del Salento, in attesa che con opportuni finanziamenti possano proseguire gli studi e la valorizzazione degli stessi.
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