UNA VISIONE PER IL MONDO

UNA VISIONE PER IL MONDO
Marija Gimbutas nel giugno 1993 presso l’Università di Vilnius insieme (da sinistra) a Ingė Lukšaitė, a Joan Marler (la biografa di Marija) e J. Merkytė (la traduttrice) in una foto di Algirdas Tarvydas

Introduzione
di Elvira Visciola e Alessandra De Nardis

Marija Gimbutas (1921–1994) è stata una delle voci più originali e controcorrente dell’archeologia del Novecento. Formata come archeologa e linguista, ha saputo unire rigore scientifico e visione interdisciplinare, proponendo un’interpretazione radicalmente nuova delle civiltà preistoriche europee. Al centro del suo lavoro c’è la teoria della “Europa Antica”: una cultura neolitica pacifica, agricola, centrata sul principio femminile e su un’economia della cura e della reciprocità, che sarebbe stata progressivamente soppiantata, con l’arrivo delle popolazioni indoeuropee, da società patriarcali belligeranti.
Attraverso un’analisi approfondita di reperti iconografici, simbolici e materiali, Gimbutas ha messo in luce la centralità del sacro femminile nelle prime forme di organizzazione sociale e religiosa, aprendo nuove strade per la comprensione delle genealogie culturali europee. Le sue ricerche rappresentano per noi una fonte di ispirazione metodologica e politica: un invito a rileggere il passato non come un insieme di fratture e dominazioni, ma come un archivio vivo di possibilità altre. Questo approfondimento nasce per raccontare il suo contributo scientifico, le controversie che ha suscitato e, soprattutto, l’eredità che continua a generare nelle pratiche di ricerca e trasformazione contemporanee.

UNA VISIONE PER IL MONDO: LA VITA E L’OPERA DI MARIJA GIMBUTAS
di Joan Marler
pubblicato in “Comparative Civilization Review” vol. 33 numero 33 articolo 2 – 10/01/1995

Nel giugno del 1993 Marija Gimbutas fece la sua ultima visita nella sua patria, la Lituania. Dal momento in cui uscì dall’ufficio controllo passaporti, le telecamere della TV e della stampa la raggiunsero ed una folla di familiari e amici la strinse tra le braccia.
Quella sera il telegiornale annunciò con clamore l’arrivo di Marija Gimbutas e, durante le due settimane e mezzo di permanenza, ci furono articoli quotidiani sulla stampa, servizi televisivi sulle sue lezioni e interviste, riprese di documentari e incontri con studiosi, studenti, familiari e amici.
Marija Gimbutas era tornata come studiosa di fama mondiale per ricevere una laurea honoris causa presso l’Università Vytautas Magnus di Kaunas, dove cinquantacinque anni prima aveva iniziato i suoi studi di archeologia. Ora veniva personalmente onorata dal presidente Brazauskas in una splendida cerimonia trasmessa alla nazione. Successivamente tornò in Germania per l’inaugurazione di una magnifica mostra, SPRACHE DER GOTTIN, al Museo delle Donne di Wiesbaden, interamente ispirata al suo libro “Il Linguaggio della Dea” (Harper, 1989). Centinaia di persone sono arrivate da tutta Europa per l’inaugurazione, per celebrare l’importanza di quest’opera. Migliaia di altre persone avevano percorso lunghe distanze per visitare la mostra in Germania, prima che fosse trasferita in Norvegia.

Copertina del catalogo della mostra

Nel 1991, più di novecento persone si riunirono in una chiesa di Santa Monica in California per celebrare con entusiasmo la pubblicazione dell’ultimo libro della Dott.ssa Gimbutas, “La Civiltà della Dea” (Harper, 1991).

Copertina del volume “La Civiltà della Dea”

Sebbene fosse fragile a causa di anni di lotta contro il cancro, l’enorme amore e rispetto che Marija Gimbutas ricevette da questi e da migliaia di altri ammiratori di tutto il mondo la sostennero fino alla sua morte, avvenuta a Los Angeles il 2 febbraio 1994.
Chi era questa donna, questa minuscola scienziata, i cui prodigiosi successi includono la pubblicazione di oltre trecento articoli e più di venti libri sulla preistoria europea, pubblicati in numerose lingue? Com’è possibile che una ricerca così esoterica abbia potuto ispirare la vita creativa di innumerevoli individui in tutto il mondo, creando allo stesso tempo una tempesta di controversie nel suo stesso campo, l’archeologia[1]?
Joseph Campbell ha paragonato il lavoro di Gimbutas alla decifrazione dei geroglifici egizi da parte di Champollion[2] e l’autore di Princeton, Ashley Montagu, considera le sue scoperte importanti quanto gli scavi di Troia di Schliemann. Egli scrive:
Marija Gimbutas ci ha fornito una vera e propria Stele di Rosetta di grandissimo valore euristico per i futuri lavori nell’ermeneutica dell’archeologia e dell’antropologia[3]. Allo stesso tempo però, alcuni colleghi nel suo campo sono molto più moderati.

PRIMI ANNI
Marija Gimbutas visse una vita intensamente creativa, dedicata al raggiungimento di risultati scientifici. Fu sostenuta per tutta la vita da un complesso flusso di influenze culturali, intellettuali e spirituali profondamente radicate nella sua identità di lituana. Durante il XIX secolo, in Lituania emerse una vivace intellighenzia dalla classe contadina, stimolata dalla sistematica distruzione della cultura nazionale durante il secolo di dominio zarista. Poiché la lingua lituana fu bandita, la famiglia della madre di Marija divenne una “portatrice di libri” che rischiava la prigione o la deportazione contrabbandando libri lituani oltre confine per essere distribuiti attraverso una rete clandestina. L’istruzione era considerata essenziale per la liberazione culturale e politica.

I genitori di Marija, Veronika Alseikiene e Danielius Alseika, in un’immagine del 1915 a Vilnius (ph. Aleksandras Jurašaitis)

I genitori di Marija, Veronika Janulaityte Alseikiene e Danielius Alseika, erano entrambi medici e attivi rivoluzionari. Fondarono il primo ospedale lituano a Vilnius nel 1918. Fu il primo anno dell’indipendenza dalla Russia. Quando Marija Birute Alseikaite nacque, il 23 gennaio 1921, l’area di Vilnius soffriva l’occupazione polacca. La casa d’infanzia di Marija era un importante centro di resistenza politica e di conservazione della cultura lituana. Il Dott. Alseika non era solo un medico, ma anche uno storico ed editore di un quotidiano e di riviste culturali. Fu anche un leader rispettato nella lotta per l’indipendenza dalla Polonia[4].

Marija Gimbutas all’età di circa 4 anni a Vilnius (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

La dottoressa Alseikiene era considerata una “operatrice di miracoli” che restituiva la vista alle persone attraverso interventi di cataratta. Era anche un’attivista culturale che sosteneva la conservazione delle arti popolari lituane. I migliori artisti, musicisti e scrittori, sia tradizionali che contemporanei, si incontravano spesso a casa loro.

Marija Gimbutas all’età di circa 5 anni (ph. E. Elster, 2015)

Quando Marija fu pronta per l’istruzione formale, frequentò una scuola liberale insieme ai figli di altri intellettuali lituani. Era impensabile per questi bambini frequentare scuole cattoliche o polacche. Marija ricevette anche un’istruzione privata in musica e lingue e fu cresciuta da una famiglia allargata che includeva il fratello Vytautas, la cugina Meile e l’amata zia Julija, anche lei medico, che era come una seconda madre. L’intensità vitale di quell’ambiente promuoveva la dedizione alla libertà politica ed estetica, alla realizzazione intellettuale e ad una tenace originalità. “… Fin dall’inizio, i bambini godevano di totale libertà. Eravamo liberi di creare la nostra individualità, sebbene il lavoro per la nostra nazione e l’istruzione venissero sempre al primo posto. Andavamo a teatro e ai concerti come un modo di vivere naturale. Senza di esso non avremmo potuto vivere fin dalla più tenera età…[5].

Marija a Vilnius all’età di circa 7 anni (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

La Lituania è stata l’ultimo paese europeo ad essere cristianizzato e molte tradizioni antiche erano ancora vive fino al XX secolo. L’esposizione di Marija a questa ricca eredità in via di estinzione fu incoraggiata fin dalla tenera età.
 “… Nella nostra casa c’erano le Fate… di una tradizione pagana ininterrotta. Tutti i miei domestici credevano in loro. Erano reali – tessevano il filo della vita umana…[6].
Sebbene il Lituano, imparentato con il sanscrito, sia una delle lingue indoeuropee più conservatrici, il folklore e le immagini mitologiche che Marija aveva assorbito da bambina riflettevano non solo il pantheon indoeuropeo delle divinità celesti, ma anche un legame molto più antico con la Terra e i suoi misteriosi cicli, ancora vivo nella campagna lituana:
… i fiumi erano sacri, le foreste e gli alberi erano sacri, le colline erano sacre. La terra veniva baciata e si recitavano preghiere ogni mattina, ogni sera…”.
L’equilibrio tra i poteri maschili e femminili espresso nel materiale popolare trovava la sua corrispondenza nella vita quotidiana delle persone:
… Ufficialmente il sistema patriarcale è chiaramente dominante, ma in realtà esiste un’eredità proveniente dall’Europa Antica in cui la donna è il centro. In alcune zone il sistema matrilineare esiste davvero, come nella mia famiglia. Non credo che i figli maschi fossero più importanti…”.
Nel 1931, i genitori di Marija si separarono e lei si trasferì a Kaunas con la madre e il fratello. Essere separata dal padre e da Vilnius fu la sua prima grande tristezza. Quando aveva quindici anni, il suo amato padre morì improvvisamente, il che fu un tremendo shock. In seguito, si chiuse in se stessa e giurò di seguire le orme del padre. “… All’improvviso ho dovuto pensare a cosa sarei diventata, a cosa avrei fatto della mia vita. Ero stata così spericolata negli sport: nuotavo per chilometri, pattinavo, andavo in bicicletta. Cambiai completamente e iniziai a leggere…”.

Marija, a destra con amiche del Ginnasio Ausra nel 1935 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

A questo punto Marija iniziò a vivere come studiosa appassionata. La morte di suo padre accese in lei un profondo desiderio di indagare su tutto ciò che si poteva sapere sulle origini antiche, in particolare sulle credenze riguardanti la morte ed i riti funerari preistorici. Sua madre aveva una piccola fattoria vicino a Kaunas dove Marija trascorreva estati felici con piante e animali. Nelle vicinanze la gente lavorava ancora secondo le antiche tradizioni.
… Le donne anziane usavano falci e cantavano mentre lavoravano. I canti erano autentici, molto antichi. In quel momento mi innamorai di ciò che è antico perché rappresentava una profonda comunicazione e unione con la Terra. Ne rimasi completamente affascinata. Fu l’inizio del mio interesse per il folklore…”. Marija si immerse nel lavoro del Dott. Jonas Basanavicius, suo “nonno adottivo” collezionista di tradizioni folkloristiche, patrimonio lituano in via di estinzione. Era motivata dalla consapevolezza che una ricerca così importante facesse parte della sua discendenza personale. Pertanto, all’età di sedici-diciassette anni partecipò, come membro più giovane e unica ragazza, a spedizioni etnografiche nella Lituania sudorientale, per dare il proprio contributo alla conservazione di questo prezioso materiale. Mentre i ragazzi raccoglievano utensili, lei registrava storie popolari e canti. Quando fuggì dalla Lituania come rifugiata nel 1944, Marija Gimbutas aveva collezionato migliaia di canti e di storie popolari, conservate nell’archivio del folclore di Vilnius.

Marija nel 1938 al primo anno di studi presso l’Università Vytautas Magnus di Kaunas (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Dopo essersi diplomata con lode nel 1938, Marija iniziò a studiare all’Università Vytautas Magnus di Kaunas. Nel frattempo grandi capovolgimenti politici erano in atto. L’occupazione polacca terminò dopo l’invasione tedesca della Polonia avvenuta nel 1939 e Vilnius fu liberata. Marija si iscrisse immediatamente all’Università di Vilnius e partecipò all’ondata di riforme culturali ed educative da parte dei cittadini e del nuovo governo.
Incoraggiata dal Prof. Jonas Puzinas a studiare archeologia sia a Kaunas che a Vilnius, Marija iniziò a sviluppare un approccio filosofico complesso all’archeologia e alla preistoria baltica, fortemente interdisciplinare. Studiò etnologia con Jonas Balys, linguistica con Pranas Skarkzius e storia con Antanas Salys, tra gli altri. Trascorse diversi mesi a registrare le storie popolari dei rifugiati della Bielorussia che arrivavano a Vilnius. Comprese la necessità di creare un proprio percorso interdisciplinare.
… Questa era la mia università; è così che mi sono formata…”.
Lo spirito pionieristico della giovane generazione non riuscì ad impedire la devastazione portata con l’invasione sovietica del 1940. Tutto ciò per cui avevano lavorato fu distrutto: il governo lituano fu deposto, le università furono occupate dagli stalinisti, i libri furono bruciati e migliaia di persone furono deportate in Siberia. Non appena iniziarono le deportazioni, Marija tornò a Kaunas e si nascose nella foresta con la madre vicino alla loro casa estiva. Molti membri della sua famiglia e amici intimi furono torturati, deportati o uccisi. Marija si unì al movimento di resistenza clandestino e prese parte alla Rivolta lituana del 1941 che contribuì a respingere le forze sovietiche. Rischiò di morire diverse volte. Poco dopo iniziarono gli orrori dell’occupazione tedesca. In mezzo a questo caos, Marija sposò il suo fidanzato Jurgis Gimbutas.

Marija con il futuro marito Jurgis a Kaunas in una immagine dei primi anni 40 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Nel giugno del 1942, Marija Gimbutas completò gli studi magistrali in archeologia presso l’Università di Vilnius, con studi secondari nel folklore e in filologia comparata. Stralci della sua tesi di laurea, “La vita dopo la morte nelle credenze della Lituania preistorica”, furono pubblicate sulla rivista di Kaunas Gimtasai Krastas. Rimase anche incinta.

Marija studente all’Università di Vilnius in una foto del 23 aprile 1940 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Nell’anno successivo, tra la malattia e la nascita del bambino durante l’occupazione, Marija pubblicò undici articoli sui Balti e sui rituali funerari preistorici in Lituania. Sua cugina, la Dott.ssa Meile Luksiene, così descrive Marija in questo periodo: “Scriveva il suo primo libro sulle pratiche funerarie con una mano e cullava la sua prima figlia Danute con l’altra. Marija era una persona di incredibile volontà e organizzazione. Lei continuò così per tutta la sua vita”.
… Questo chiaramente mi ha mantenuta sana di mente. Avevo una sorta di doppia vita. Ero felice di fare il mio lavoro; era per questo che esistevo. La vita mi contorceva come una piantina, ma il mio lavoro era continuo in una sola direzione…”.

LA STRADA DELLE PROVE
Nel 1944, mentre il fronte sovietico avanzava per la seconda volta sulla Lituania, Marija, Jurgis e la piccola Danute si rifugiarono di nuovo nella casa estiva della madre vicino a Kaunas. Nascondevano anche due donne ebree, sapendo che se scoperti sarebbero stati giustiziati in pubblico[7].

Marija con la piccola Danute in braccio il 10 luglio 1944 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Quando Marija e Jurgis fuggirono l’8 luglio 1944 verso la chiatta affollata sul fiume Nemunas, lei teneva la sua tesi sotto un braccio e Danute nell’altro. Marija Gimbutas aveva ventitré anni.

Marija con Danutè nell’aprile del 1945 in Germania (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Il resto degli anni di guerra li trascorse in Austria e Germania in condizioni disperate. Subito dopo la guerra, Marija si iscrisse all’Università di Tubinga e nel 1946 conseguì il Dottorato di Ricerca in Archeologia, con specializzazione in preistoria, etnologia e storia delle religioni. La sua tesi, che tradusse in tedesco, “Die Bestattung in Litauen in der vorgeschichtlichen Zeit”, fu pubblicata a Tubinga lo stesso anno.

Celebrazione del Dottorato di Ricerca in Archeologia di Marija a Tubingen nella primavera del 1946; lei è la terza seduta da sinistra (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Nel 1947 nacque la seconda figlia, Zivile. Sebbene costretta a vivere nei campi profughi, Marija continuò la sua ricerca indipendente a Tubinga e riuscì a conseguire un dottorato di ricerca presso le università di Heidelberg e Monaco. Jurgis conseguì il dottorato in ingegneria presso l’Università di Stoccarda e insegnò ingegneria a Monaco tra il 1946 e il 1948 tramite l’Amministrazione delle Nazioni Unite per il Soccorso e la Riabilitazione.

Nella primavera del 1946 a Nurtingen, vicino Tubingen; lei è seduta al centro con la figlia Danute e accanto il marito Jurgis (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Quando la famiglia Gimbutas emigrò in America il 21 marzo 1949, Marija aveva pubblicato quasi trenta articoli sulla preistoria lituana e aveva completato la ricerca su “Ancient Symbolism of Lithuanian Folk Art”,pubblicata a Filadelfia nel 1958. In quest’opera era già evidente l’approccio interdisciplinare, poiché la mitologia veniva usata per decifrare il simbolismo religioso antico.
Ironicamente, questo e altri libri di Marija Gimbutas furono proibiti in Lituania durante il periodo sovietico. “Ancient Symbolism”fu fatto circolare segretamente per decenni e venne finalmente tradotto e pubblicato in Lituania nel 1994.

LA VITA NEL NUOVO MONDO
I primi anni in America furono difficili, sebbene Jurgis venne subito assunto a Boston come ingegnere. Sua madre Elena andò con loro e si prese cura dei bambini mentre Marija lavorava come domestica e svolgeva altri lavori umili. Nell’autunno del 1949 Marija si presentò all’Università di Harvard. Riconosciuta per le sue capacità linguistiche, fu incaricata di tradurre pubblicazioni archeologiche dell’Europa orientale e, poco dopo, di scrivere testi sulla preistoria europea.
… Avevo una determinazione così forte che iniziai subito a fare ricerca. Per tre anni non ricevetti alcun finanziamento. Mi sentivo come una persona che annegava…”. Marija alla fine ricevette un sostegno dalle Fondazioni Bollingen e Wenner-Gren per la preparazione di “The Prehistory of Eastern Europe” (Harvard, 1956), che le permise di abbandonare i lavori notturni che le stavano prosciugando le forze. Questo fu l’inizio di una serie di borse di studio e di prestigiosi premi che la sostennero nel corso della sua ricerca.

Copertina di “The Prehistory of Eastern Europe” (Harvard, 1956)

Per produrre testi sulla preistoria dell’Europa Orientale e Centrale per l’Università di Harvard, Marija doveva possedere una conoscenza pratica della maggior parte delle lingue dell’Europa Orientale e Occidentale, incluso il rumeno. Durante tredici anni di intensa ricerca, studiò in originale ogni relazione archeologica che arrivava alla Peabody Library, “la migliore biblioteca per archeologi al mondo”. Nel 1954 nacque la terza figlia, Rasa, e nel 1955 la Dott.ssa Gimbutas venne nominata come Ricercatrice del Peabody Museum di Harvard, un onore a vita. Il rapporto annuale del 1954-55 al presidente di Harvard sulle attività del Peabody Museum afferma: “La Dott.ssa Marija Gimbutas, ricercatrice in Archeologia dell’Europa Orientale, ha completato il primo volume della sua opera completa sulla preistoria di quella regione. Il suo studio sulla preistoria della Russia europea e delle terre lungo la costa del Baltico sarà un classico che rimarrà per molti anni come un’eccezionale opera di riferimento. … Nessuna sintesi del genere è mai stata tentata, nemmeno dai russi, e l’intero argomento è noto agli studiosi della preistoria nel resto d’Europa solo in uno stato frammentario e confuso… La Dott.ssa Gimbutas ha anche pubblicato, nell’edizione dell’Enciclopedia Britannica del 1955, un articolo sui “Balti”, che è l’esposizione più completa… delle regioni baltiche che sia mai apparsa in stampa.

Da sinistra il marito Jurgis, Danute con in braccio Rasele, Zivile e Marija a Boston nel giugno del 1954 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

GLI ANNI FRUTTUOSI
La maggior parte degli archeologi è specializzata in una regione specifica, raramente ha una formazione linguistica e spesso non è in grado di leggere resoconti archeologici in lingue diverse dalla propria. Marija Gimbutas si trovava quindi in una posizione unica per sviluppare una enciclopedia dell’archeologia europea. “… La questione delle origini degli indoeuropei era sempre stata presente nella mia mente. Questa era un’eredità dei miei primi studi in Lituania. Scrivere del Neolitico dell’Europa Orientale, dell’Età del Rame e del Bronzo – tra il Mar Nero, il Mar Baltico e gli Urali – era questo il mio ambito. Probabilmente ho letto tutta la letteratura del XIX e XX secolo esistente…”.

Marija festeggia la Pasqua a Boston nel 1950 con i poeti Faustas Kirsa e Stasys Santvaras (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Essendo anche lei una profonda conoscitrice della ricerca linguistica sull’etnogenesi dei parlanti protoindoeuropei, Marija Gimbutas è stata la prima studiosa a collegare la ricerca linguistica con i dati archeologici disponibili per identificare la patria del popolo patriarcale che chiamava “Kurgan” e per tracciare le loro infiltrazioni in Europa.
… I linguisti parlavano delle origini indoeuropee e questo mi ha influenzato, ovviamente. L’origine era la regione della steppa. Questa è stata la prima soluzione linguistica…”.
Una prima versione della sua “Kurgan Hypothesis” venne presentata nel 1956 al Congresso Internazionale di Scienze Etnologiche di Filadelfia e costituì un punto di partenza importante per tutte le ricerche successive in entrambi i campi[8]. Un ulteriore sviluppo della sua ipotesi, con una cronologia rivista, venne presentato dieci anni dopo alla Terza Conferenza Indoeuropea, sempre a Filadelfia. Dopo decenni di dibattito accademico, la tesi di Marija Gimbutas sulle invasioni dei Kurgan e sulla successiva ibridazione della popolazione indigena europea è stata confermata dalla ricerca indipendente del genetista di Stanford, il Dott. L. Luca Cavalli-Sforza.
Prehistory of Eastern Europe” fu ben distribuita e la Dott.ssa Gimbutas fu presto riconosciuta a livello internazionale come una stella nascente. Grazie a numerose borse di studio iniziò a viaggiare e tenere conferenze in tutta l’Europa Occidentale e Orientale. La sua presenza magnetica e la sua appassionata ricerca di significato stimolarono un vivace scambio di idee con colleghi di tutto il mondo. In quegli anni nacquero amicizie che continuarono per tutta la sua vita.

Marija indossa il costume nazionale Lituano a Boston nel 1954 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Sebbene Marija Gimbutas avesse vissuto e lavorato per quarantacinque anni in America, la conservazione del patrimonio lituano fu sempre di fondamentale importanza. A Boston contribuì a fondare una scuola domenicale per l’insegnamento della lingua e della cultura Lituana, frequentata da tutte e tre le figlie e sia lei che Jurgis furono molto attivi nel promuovere la vita artistica della comunità Lituana. In seguito, Marija Gimbutas svolse un ruolo di primo piano nel progresso degli studi baltici e fu membro del comitato editoriale della rivista “Metmenys, Ponto-Baltica and Comparative Civilizations Review”, oltre ad altre pubblicazioni. Ha inoltre collaborato con “Lietuviy enciklopedija”, la rivista trimestrale di archeologia, ed è stata curatrice della sezione archeologica dell’Europa Orientale dell’Enciclopedia Britannica. Il legame con la sua famiglia in Lituania è sempre stato di grande importanza. Nel 1960 Marija Gimbutas tenne una conferenza a Mosca in un Congresso Orientalista per rivedere sua madre per la prima volta dopo il 1944. Nel 1969 fu professoressa di scambio con l’URSS tramite l’Accademia Americana delle Scienze e tornò in Lituania nel 1981 per una borsa di studio.

Marija con la madre Veronika Alseikienė sulla collina di Gediminas dopo 16anni di separazione, in occasione della visita di tre giorni a Vilnius nel 1960 (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Nel 1960 Marija Gimbutas ricevette l’Outstanding New American Award dal World Refugee Committee e dalla Boston Junior Chamber of Commerce. L’anno successivo venne scelta tra quaranta studiosi di alto livello per un periodo di residenza presso la Stanford University in California come membro del Centro per gli studi avanzati nelle scienze comportamentali. Trascorse quel glorioso anno lavorando al volume “Bronze Age Cultures in Central and Eastern Europe” (Mouton, L’Aia, 1965).
… La mia salute ad Harvard non era proprio delle migliori. Lavoravo troppo e mi esaurivo. Venendo qui mi sono rianimata…”.
Nel 1963, la Dott.ssa Gimbutas accettò un incarico presso l’Università della California a Los Angeles, lasciò suo marito e si trasferì in California con le figlie. Nello stesso anno il suo libro “The Balts” apparve nella collana “Ancient Peoples and Places” e un’opera parallela, “The Slavs”, venne sponsorizzata dall’American Council of Learned Studies.

La copertina del volume “The Balts” uscita a New York nel 1963 per la collana “Ancient Peoples and Places” (ph. Archivio di Letteratura e Arte Lituano)

Marija Gimbutas rimase alla UCLA come professoressa di archeologia fino al suo pensionamento nel 1989. Durante quegli anni di intensa attività collaborò con il Dott. Jaan Puhvel alla fondazione dell’Institute of Archaeology, un programma di studi indoeuropei e del Graduate Interdepartmental Program. La Dott.ssa Gimbutas fu titolare della cattedra di Archeologia Europea, insegnò studi Baltici e Slavi (inclusi lingua, mitologia e folklore), studi indoeuropei e fu curatrice di Archeologia del Mondo Antico presso il Cultural History Museum della UCLA. Continuò a scrivere articoli per numerose pubblicazioni professionali ed enciclopedie, fu redattrice per il “Journal of Indo-European Studies” e altre pubblicazioni e partecipò annualmente a conferenze e simposi internazionali.

Marija durante l’esposizione di arte popolare Lituana presso l’UCLA nel 1966 (J. Czebreszuk e A. Civilyte, 2021)

Soprattutto, Marija Gimbutas fu un’insegnante stimolante che incoraggiò attivamente le carriere emergenti di molti giovani archeologi e linguisti. Insisteva affinché i suoi studenti sviluppassero un approccio interdisciplinare, cosa del tutto inusuale in questi campi.

Marija a Vilnius nel 1981 (ph. Jonas Jakimavičius)

Sebbene Marija Gimbutas fosse principalmente nota come studiosa di fama mondiale della preistoria Baltica e Slava e dell’Età del Bronzo Indoeuropea, le sue esperienze come archeologa sul campo, tra il 1967 e il 1980, furono essenziali per lo sviluppo dettagliato della sua ricerca sulle culture neolitiche d’Europa.
Nel 1967-1968, la Dott.ssa Gimbutas divenne direttrice di progetto per gli scavi di siti neolitici in Jugoslavia e Macedonia, sponsorizzati dallo Smithsonian Institute with a Humanities Endowment Award. Questo segnò una svolta importante nella sua carriera. Ritornò in patria per ricevere il prestigioso Los Angeles Times Woman of the Year Award.
Durante quegli anni di intensi viaggi, scavi, conferenze, ricerche e scritti, Marija Gimbutas visitò quasi tutti i musei dell’Europa orientale. Migliaia di manufatti provenienti da scavi neolitici parlavano di un’estetica antica completamente diversa dai depositi di armi e dalle sepolture dell’età del bronzo di maschi dominanti descritti nei suoi libri precedenti. Sebbene esistessero relazioni tecniche, non c’era nulla nella letteratura che spiegasse ciò che stava vedendo. “… Arrivai a un punto in cui dovetti capire cosa era accaduto in Europa prima dell’arrivo degli indoeuropei. Fu un processo molto graduale. Non sapevo allora che avrei scritto della religione neolitica o della Dea. Stavo solo cercando di rispondere a questa domanda. Durante i miei scavi mi sono resa conto che esisteva una cultura che era l’opposto di tutto ciò che si sapeva della cultura indoeuropea. Questo mi portò a coniare il nuovo termine “Europa Antica” nel 1968…”.

Marija a Sitagroi nel 1968 (ph. E. Elster, 2015)

Tra il 1968 e il 1980 Marija diresse altri quattro importanti scavi nell’Europa sud-orientale:

  • 1968-1969 – la collina di Karanovo e dell’Antica Età del Bronzo, circa 5000-2000 a.C. a Sitagroi, Macedonia greca;
  • 1969-1971 – l’insediamento di Starcevo e Vinca, 6300-5000 a.C. ad Anza, Macedonia;
  • 1973-1975 – la collina di Sesklo ad Achilleion, vicino a Farsala, Tessaglia, Grecia, circa 6500-5600 a.C.;
  • 1977-1980 – la grotta santuario di Scaloria vicino a Manfredonia, Italia sud-orientale, 5600-5300 a.C.
Marija in Grecia nel 1970 (ph. R. Navickaite, 2023)

Divenne evidente che ben poche erano le ricerche, da parte di altri studiosi, sui cambiamenti radicali avvenuti in Europa dopo la comparsa delle influenze indoeuropee. Pertanto, nel 1979 Marija organizzò il primo convegno interdisciplinare sulla “Trasformazione della cultura Europea e Anatolica, 4500-2500 a.C.”, tenutosi a Dubrovnik, in Jugoslavia. Questo convegno, e altri che seguirono, vennero creati per stimolare nuove ricerche sul cambiamento radicale delle strutture economiche, religiose e sociali avvenuto tra il V e il III millennio a.C. La seconda conferenza internazionale si tenne a Dublino, in Irlanda, nel 1989. La terza, “L’Indoeuropeizzazione dell’Europa Settentrionale”, si tenne a Vilnius, in Lituania, in onore della Dott.ssa Gimbutas dopo la sua morte nel 1994.

DECIFRAZIONE
Sebbene nell’archeologia tradizionale sia considerato improprio e non scientifico interpretare l’ideologia delle società preistoriche, divenne ovvio per la Dott.ssa Gimbutas che ogni aspetto del sistema dell’Europa Antica rifletteva un sofisticato simbolismo religioso. Riteneva impossibile comprendere le culture neolitiche senza riconoscerlo. Non era sufficiente misurare la tipologia dei vasi o datare gli strati stratigrafici. Marija Gimbutas era determinata a decifrare i modelli intrinseci dell’immaginario mitologico che avrebbero potuto rivelare la coesione interna di questo sistema simbolico. Il lungo processo di decifrazione ebbe inizio.

Marija Gimbutas nel suo studio nel 1969 (ph. K. Jankauskaite)

… All’inizio non riuscivo a vedere nulla. Per fortuna, iniziai a decifrare e da frammenti minuscoli cominciai a ricostruire il tutto. Nessuna delle fonti poteva aiutarmi. Dovetti farmi strada da sola, a poco a poco. In seguito, mi appassionai a scoprire di più.
Notai che alcune statuette erano alate, alcune avevano teste di animali, altre avevano decorazioni particolari, alcune nude, altre vestite. Verso la fine degli anni Sessanta riuscii a distinguere alcune tipologie, come indicato in “Gods and Goddesses”, pubblicato nel 1974[9]. A quel tempo, la Dea Uccello mi era abbastanza chiara perché è così tipicamente antropomorfa, con ali e becco. L’altra tipologia, anch’essa simbolicamente correlata, era la donna serpente con arti serpentini. Anche questa non era così difficile da riconoscere. Ma alcune delle altre tipologie rimanevano ancora un enigma per me.
A quel tempo la rigenerazione non era ancora molto chiara. Ora capisco che questa è una delle funzioni più importanti. Anche dopo l’edizione riveduta, “Goddesses and Gods”, pubblicata nel 1982, ero ancora insoddisfatta della mia decifrazione. Mi chiedevo sempre: cosa sono questi simboli, cosa sono questi segni incisi o dipinti sulle sculture, non solo sulle statuette, ma su una varietà di modelli di templi, troni e centinaia di altri oggetti come sigilli, timbri e fusaiole. Dovevano avere un grande significato.
“Gods and Goddesses” è stato il risultato di cinque anni di pensieri, scritto in tre mesi, il tutto troppo velocemente. È stato un parto.
Un giorno del 1974, mentre ero nei Paesi Bassi all’ “Institute for Advanced Study” di Wassenaar, ero seduta lì ad organizzare i materiali dei miei scavi ad Anza, in Macedonia, e decisi di iniziare a decifrare (la scrittura). Così, proprio come una bambina, iniziai a copiare i segni dagli oggetti. Iniziai con la Dea Uccello e stilai un elenco dei segni trovati sugli oggetti a lei associati. Per quanto possibile, controllavo i contesti – come venivano rinvenuti questi oggetti e queste statuette: se erano insieme o meno e quali segni si ritrovavano su entrambi. Ad esempio, la V o lo chevron sono associati a linee parallele o a un certo numero di punti o meandri? Alla fine mi è diventato chiaro che esistono gruppi di simboli che vanno di pari passo e che devono avere determinati significati.
Attraverso questo studio ho iniziato a capire che la V, o chevron, che è una doppia o tripla V, è quasi inseparabile dalla Dea Uccello. Questo è il suo segno distintivo, che potrebbe indicare il suo nome o le sue insegne. Quindi, se una statuetta molto rozza non ha altro che una V, potrebbe rappresentare una Dea Uccello o qualche statuina di ex voto dedicato alla Dea. Ma in molti casi, le statuette erano riccamente incise e si può facilmente vedere come questo gruppo di simboli si intrecci. Nel mio prossimo libro, “Il Linguaggio della Dea”, ho un’intera sezione sulla Dea Uccello e i suoi simboli.
La Dea Uccello potrebbe essere un uccello primaverile o un rapace, associato all’aspetto autunnale o invernale. La civetta, ad esempio, appare in forma di uccello e come un ibrido tra donna e civetta, spesso associato a tombe megalitiche. Appare spesso come una Dea incisa su una lastra in tombe a corridoio come a Knowth in Irlanda. Questa Dea della Morte e Rigenerazione è associata alla vulva, ai seni, alle collane e disegni labirintici.
Il successivo oggetto da decifrare fu il serpente e tutti gli altri animali associati alla Dea, sia nel suo aspetto vivificante che in quello mortale. Quindi, come puoi vedere, è un lavoro lungo. Non lo finirò mai, ovviamente. Al momento penso di averne decifrato almeno 2/3 o 3/4. Quindi non è ancora del tutto finito…”.

Marija Gimbutas con Franklin Murphy a sinistra e Lloyd Cotsen a destra in una celebrazione in onore dei due sostenitori del Cotsen Institute of Archeology (ph. E. Elster, 2015)

INTERVISTA
Joan: Durante gli anni di decifrazione c’è stato qualcuno con cui hai condiviso le tue idee?
Marija: Con chi? Esseri umani? Studiosi? Nessuno, assolutamente nessuno. Nessuno era interessato a quello che facevo. Nessuno capiva.
Joan: E i mitologi?
Marija: A volte sì, ma parlavamo principalmente di mitologia Lituana, non di archeologia.
Joan: Non con Greimas, Lévi-Straus o Eliade?
Marija: Li conoscevo ma non avevano alcuna conoscenza di archeologia perché era difficile per loro trovare informazioni. Erano sparse in migliaia di articoli senza alcuna sintesi. Da quali libri potevano imparare qualcosa sui simboli o sulle immagini delle dee? Non c’erano pubblicazioni, a parte qualche catalogo qua e là. Durante il periodo della mia ricerca non c’è stata una sola persona con cui ho discusso di questo materiale. Le persone sono distaccate dal folklore. I mitologi e i folkloristi europei cercano analogie in Australia o in Africa, ma per decifrare il materiale europeo bisogna comprendere il folklore locale.
Joan: Hai descritto come il tuo lavoro con il materiale dell’Età del Bronzo sia stato ben accettato…
Marija: Quella era l’archeologia accettata. Non aveva nulla a che fare con la religione o il simbolismo. Tutti gli archeologi descrivevano spade, pugnali, asce, cavalli, tombe e tutto il resto. Quindi quello che scrivevo sull’Età del Bronzo era chiaro a ogni archeologo: cronologia, tipologia, tutto qui. Anche i problemi Indoeuropei non erano lontani dal pensiero di quella generazione. Quando improvvisamente apparve il mio lavoro sul simbolismo, non seppero come reagire.
Alcune recensioni di “Gods and Goddesses” erano molto superficiali. Inizialmente non ci si accorse che si trattava di una decifrazione della religione – almeno l’inizio di una decifrazione. Ma è stato detto (da Colin Renfrew) che si trattava di una raccolta di immagini molto utile.

Marija Gimbutas e Colin Renfrew nel 1984 a Los Angeles (ph. R. Navickaite, 2023)

Quando è apparso “Il linguaggio della Dea” la reazione è stata molto più forte, soprattutto da parte degli artisti. Gli archeologi, dopo essere stati in questa cosiddetta “Nuova Archeologia”, dove tutto deve basarsi su metodi scientifici, non possono accettare alcuna interpretazione della religione. Per loro non è accademico dire qualcosa. Hanno paura dell’establishment, hanno paura dei propri colleghi. Quindi questa è una situazione molto particolare. È ridicola, in realtà. Ora possiamo solo ridere, ma d’altra parte c’è una reazione meravigliosa ai miei libri soprattutto da parte degli artisti, persone che hanno intuito e che si interessano alla spiritualità: storici della religione e mitologi come Campbell, o Eliade o Greimas. Hanno letto tutti i miei libri ma poco prima di morire. È un peccato che non ci sia stato il tempo di iniziare una discussione. Mi sarebbe piaciuto parlare con loro quando avevano questo materiale in mano. Ma non è successo. Almeno sono grata di aver incontrato di nuovo Campbell poco prima della sua morte. I grandi studiosi del nostro secolo erano, purtroppo, già anziani.

Marija Gimbutas nel giugno 1993 (ph. Algirdas Tarvydas)

Joan: Campbell diceva sempre che se il tuo lavoro fosse stato disponibile prima, avrebbe scritto alcune cose in modo molto diverso.
Marija: Sì. Diceva di aver trascurato le dee perché non c’era modo di saperne di più su di loro. Ed è vero, lo capisco. Ho dovuto impiegare 30 anni per arrivarci e questo è stato il mio destino. Dato che insegnavo alla UCLA, ho avuto l’opportunità di scavare nei Balcani e di trovare tantissime statuette. Grazie alla mia formazione sono sempre stata interessata alla mitologia e al folklore: erano già nel mio cuore. È stata una coincidenza meravigliosa ricevere offerte così ottime. E così è stato.
Joan: Com’è stato disseppellire queste statuette e tenerle tra le mani?
Marija: Ricordo di aver notato che alcune erano incise e di essermi chiesta cosa significasse – e che un’altra statuetta aveva un copricapo mentre un’altra aveva una gonna o era nuda. Mi interrogavo continuamente sul loro significato. L’Europa Antica era un’epoca completamente diversa. Bisognava adottare un altro punto di vista per comprendere i simboli. Allora diventa tutto molto interessante. Se non lo si fa, questi segni a volte sono brutti o enigmatici e nient’altro.
Joan: In “Goddesses and Gods” ti riferisci alla Dea della Terra degli Indoeuropei.
Marija: Ancora, se studi la mitologia Indoeuropea la Dea della Terra è presente ovunque. Probabilmente venne ereditata dalla religione precedente.
Joan: A quel tempo hai capito che probabilmente apparteneva allo strato dell’Europa Antica?
Marija: No, non lo sapevo.
Joan: Quindi la tua comprensione della differenza tra il sistema matrifocale Antico Europeo e quello patriarcale Indoeuropeo non era ancora chiara a quel tempo.
Marija: Non a quel tempo, no. È stato uno sviluppo molto graduale. Ci sono voluti tempo e più dati. Non abbiamo prove di una religione Indoeuropea pura senza l’influenza del substrato. Ciò che conosciamo della mitologia Indoeuropea comparata sono raccolte di miti di origine Scandinava, Celtica, Romana, Greca e di altre fonti. Sono tutti misti. Prima della mia decifrazione dei due sistemi, era impossibile sapere cosa fosse Indoeuropeo e cosa no. Ora direi, certo, che Madre Terra è dell’Europa Antica, sicuramente sì.
Joan: E dal punto di vista linguistico? Puoi dirlo…
Marija: Per i linguisti non è chiaro. Sono confusi ed è un processo molto lento. Per questo ho organizzato queste conferenze Indoeuropee, proprio per questo problema – riunire linguisti e archeologi per capire cosa è dell’Antica Europa e cosa è Indoeuropeo. I migliori linguisti hanno una buona comprensione del substrato dell’Antica Europa e degli elementi Indoeuropei, ma non si è fatto abbastanza. Certo, molti nomi di dee sono già stati decifrati. Nessuno dice che Atena sia Indoeuropea o che Artemide sia Indoeuropea.
Ci sono molti brevi articoli sull’argomento, ma nessun lavoro sistematico. Mi piacerebbe che un bravo studioso si sedesse e dedicasse 10 anni a scoprire, nella terminologia religiosa, il più antico termine non Indoeuropeo. Quelli legati alla filatura e alla tessitura, per esempio, non sono Indoeuropei. Quindi, non è così difficile.
Joan: Chi sono stati i primi ad aver reagito al tuo lavoro sulla Dea?
Marija: Erano artisti, antropologi, mitologi, ma non archeologi. Alcuni dei miei buoni amici si sono semplicemente tirati indietro e ho perso i contatti con loro. Da parte dei miei colleghi ho percepito soprattutto il silenzio.
Joan: Ti ha dato fastidio che si siano allontanati?
Marija: No, perché è assolutamente comprensibile, come puoi vedere. Non pensano che sia possibile parlare di religione. “Non ci sono prove. Nessuna prova. Dove sono le prove?”. Ci sono prove così evidenti. Ma per queste persone è poco accademico, perché come si può dimostrare? Non sono affatto stupita da questa reazione. È abbastanza normale.
Ma so che quello che ho fatto non è fantasia e questa è la mia soddisfazione. Questo è l’unico motivo per cui lavoro, per arrivare a un momento in cui tutto combaci da ogni parte – archeologia, mitologia, folklore, linguistica – tutti dicono la stessa cosa. Questo è tutto. Cosa me ne importa di quello che dice una persona che non ha esperienza in questo campo, nessuna preparazione o interesse.
Joan:La civiltà della Dea” è praticamente un riassunto del lavoro della tua vita. Hai pubblicato tutto quello che volevi dire?
Marija: Certo che no. Ho sempre la sensazione che il lavoro sia incompiuto. C’è così tanto altro che si potrebbe dire. Tuttavia, “La civiltà della Dea” sarà sempre più usata perché non c’è alternativa. Cos’altro si può usare se si vuole insegnare il Neolitico europeo? Cosa? Per un po’ questo sarà l’unico libro di testo. Ma è troppo pesante, troppo spesso.
Il mio lavoro può essere diviso in due parti: la ricerca sulla cultura patriarcale degli Indoeuropei e un’esplorazione di ciò che c’era prima di loro – la cultura matrifocale dell’Europa Antica. Per quest’ultima ho dedicato venticinque anni e non sono abbastanza. Ho bisogno di molto più tempo. Almeno posso riassumere le mie conoscenze ed esprimermi senza esitazione. Dicevo “forse” e “probabilmente” e ora dico ciò che vedo. È il momento di pubblicare altri libri, ma la Dea o il Dio non me lo permetteranno.
Joan: Prima che presentassi il tuo lavoro sull’Europa Antica, la preistoria era oscura per la maggior parte di noi. Ma ora che la porta è aperta, piena di immagini che affermano la vita, non può essere chiusa.
Marija: Sì, ora le porte sono aperte e sono così felice di aver fatto parte di questo periodo rivoluzionario. Sono davvero sorpresa di vedere quante persone siano interessate al mio lavoro. È una gioia. È possibile morire ora. Avere questa risposta alla fine della mia vita è un grande dono.
Joan: Il tuo lavoro è stato identificato con il movimento femminista. Hai mai cercato prove a sostegno delle teorie femministe?
Marija: Mai! Mai! L’unica cosa per me era trovare la verità. Non ho fatto questo lavoro perché le donne mi sostenevano. Assolutamente no. Nessuno mi sosteneva. Solo io, me stessa.
Joan: Quindi non hai iniziato con un’ideologia.
Marija: Assolutamente no! È un peccato che ora i lettori mi stiano associando al movimento femminista o a qualche ideologia.
Joan: Come preferiresti essere considerata?
Marija: Come scienziata. Come archeologa. Certo, ho bisogno del sostegno delle donne. La loro risposta è stata una rivelazione per me. Una grande sorpresa. Perché fino all’ultimo momento ero così coinvolta nel mio lavoro che non mi sono resa conto di quanto sia forte il movimento femminista. O ricettivo. O di quanto siano intelligenti le donne. In realtà non ho pensato molto alla reazione. Ho fatto il mio lavoro.

LA CONTROVERSIA
Non c’è dubbio che il lavoro di Marija Gimbutas abbia toccato un nervo scoperto nel mondo accademico, con ampie implicazioni sia all’interno che all’esterno degli ambiti accademici. L’intensità delle critiche provenienti da certi ambiti la dice lunga tanto sulla parzialità dei critici quanto sull’opera in questione. Qui viene offerta una breve panoramica.
Gli antropologi hanno da tempo riconosciuto cinque categorie utili per la descrizione delle culture: tecnologia, economia, organizzazione sociale, religione e simbolismo. Queste categorie sono state introdotte in archeologia da Grahame Clark nel suo “Archaeology and Society” (1939) e semplificate in economia, sociologia e ideologia da Gordon Childe in “Piecing Together the Past” (1956). Queste categorie rappresentano “gerarchie di difficoltà” in cui le interpretazioni ideologiche della religione e della cultura simbolica sono considerate problematiche, se non addirittura inappropriate per la considerazione scientifica.

Marija Gimbutas in occasione del conferimento della Laurea ad Honorem in Etnologia all’Università Vytautas Magnus di Kaunas il 23 giugno 1993 (ph. V. Jankauskas)

La “Nuova Archeologia”, che prese piede negli anni ’60, restrinse l’ambito interpretativo accettabile a preoccupazioni socio-economiche, dettate da una presunta “oggettività” e da un materialismo scientifico. Quando Marija Gimbutas scelse di indagare il simbolismo neolitico come mezzo per comprendere le culture dell’Europa Antica, infranse il tabù prevalente contro l’interpretazione ideologica. Inoltre, non nascose la sua passione per la materia, un atteggiamento tipicamente considerato femminile e decisamente “non scientifico[10]. Rifiutandosi di lavorare all’interno dei modelli consolidati, è stata accusata di non avere “nessuna metodologia”.
L’approccio ampio e interpretativo di Marija Gimbutas è guardato con scetticismo all’interno di una disciplina che è diventata sempre più specializzata, i cui seguaci insistono nel “guardare attraverso il telescopio al contrario[11]. Secondo lei, “la ricerca interdisciplinare richiede allo studioso di considerare il problema con un approccio mentale completamente diverso, il che significa imparare a assemblare i dati con l’obiettivo di vedere tutti i dettagli contemporaneamente, in situ[12].
Marija non si limitava a predicare la multidisciplinarità, la praticava”, ricorda Martin Huld, un linguista che ha studiato con la Dott.ssa Gimbutas alla UCLA. “Sebbene disprezzasse la sterilità della “Nuova Archeologia” quando era davvero nuova, non era perché fosse a disagio con la scienza dura; era perché le tecniche di laboratorio di per sé non potevano raccontare l’intera storia… L’approccio multidisciplinare di Marija è l’unico modo valido per affrontare i problemi della preistoria[13]. Secondo l’archeologo Michael Herity, la maggior parte degli archeologi affronta la metodologia con “una serie di caselle… una disposizione formale delle prove e una deduzione limitata, tipica della monografia standard”. Egli descrive molti ricercatori come “pecore in ginocchio” che si mantengono bene all’interno del gregge. “Certo, Marija ha una metodologia”, aggiunge, “ma non un metodo a caselle[14].

Marija Gimbutas in occasione del conferimento della Laurea ad Honorem in Etnologia all’Università Vytautas Magnus di Kaunas il 23 giugno 1993 (ph. V. Jankauskas)

Marija Gimbutas era sia un’archeologa sul campo, il che richiede un’enorme pazienza per i dettagli, sia una “sintetista”. Uno dei suoi grandi successi è stato quello di assorbire i dati da migliaia di monografie per presentare, per la prima volta, una panoramica dell’arte, del simbolismo religioso e della struttura sociale dell’Europa Neolitica. L’ampiezza stessa di questa visione richiedeva una stenografia, un riassunto di un riassunto, che rendeva impossibile descrivere ogni passo verso una particolare conclusione. Questo è un punto di critica comune. Un’enorme opera di sintesi, come “La Civiltà della Dea”, non può avere caratteristiche di dettaglio di una monografia – che per definizione ha una portata limitata. La prodigiosa produzione di oltre trecento articoli di Marija Gimbutas, tuttavia, che ammonta a quasi duemila pagine di testo accademico, rivela una padronanza enciclopedica di una vasta quantità di materiale e fornisce un’espressione dettagliata delle sue idee in via di sviluppo.
I ricercatori sono spesso riluttanti ad avventurarsi oltre la zona di confort poiché le nuove idee devono superare l’inevitabile esame di giudici insensibili. È pericoloso mettere a repentaglio l’originalità, ma l’innovazione non nasce mai dalla ripetizione di formule accettate.
Molti tentativi sono stati fatti per categorizzare e liquidare l’opera della Dott.ssa Gimbutas come post-Childiana, femminista o appartenente alla vecchia guardia dell’establishment – quindi non abbastanza femminista. Il suo lavoro è stato persino definito “sessista” da Brian Fagan nella sua recensione di “The Civilization of the Goddess in Archaeology” (marzo/aprile 1992). Questo articolo ha provocato un’ondata di reazioni indignate da parte di numerosi eminenti studiosi che hanno respinto le sue accuse, definendole più offensive che illuminanti.
La forma più comune di rifiuto è la cancellazione. Dopo una vita di importanti contributi alla letteratura archeologica, Marija Gimbutas non viene menzionata nemmeno una volta nell’ambizioso testo di Bruce Trigger, “A History of Archaeological Thought” (1989).
L’archeologa Kristina Berggren dell’Istituto Svedese di Studi Classici in Roma ha commentato: “È una sana pratica scientifica considerare valida un’interpretazione finché non viene falsificata e sostituita da una nuova e migliore. I critici di Marija Gimbutas non l’hanno fatto. Al contrario, l’opposizione contro di lei è stata molto emotiva e spesso molto violenta. … La sua interpretazione del linguaggio simbolico preistorico è ancora valida come sempre e la colloca tra i veri scienziati. Il mio lavoro non sarebbe stato possibile senza il suo[15].
In una recensione di “Civilization” pubblicata sul “Journal of the Royal Society of Antiquaries of Ireland”, Vol. 122 (1994), Michael Herity scrisse: “L’archeologia sta oggi godendo di una certa reazione contro lo scetticismo più estremo della Nuova Archeologia. Potremmo guardare con una certa speranza a un’Archeologia Cognitiva emergente; se il positivismo prevale, si insinuerà; se l’ottimismo scientifico prevarrà, si diffonderà o addirittura esploderà. In un mondo liberale, realmente interessato a una vasta gamma di idee sull’umanità, questo libro sarà ampiamente letto. … è destinato ad avere un’influenza sulle discipline umanistiche e potrebbe contribuire a portare il dibattito sulla natura della preistoria a un nuovo livello di maturità”.
Marija Gimbutas era profondamente consapevole che il potenziale di conoscenza è vasto e che ciò che un individuo può comprendere e contribuire nell’arco di una vita è estremamente limitato. Possedeva una “umiltà di fronte alle prove”[16] che la portava a rivedere continuamente le proprie conclusioni sulla base dei dati più recenti. Considerava il suo lavoro un inizio, non una fine, e sapeva che molti giovani studiosi sarebbero stati sulle sue spalle. Come scrisse Colin Renfrew nel suo necrologio per Marija Gimbutas pubblicato su “The Independent”, Cambridge, Inghilterra: “Era una figura di straordinaria energia e talento. Lo studio e la più ampia comprensione della preistoria europea sono molto più ricchi grazie al lavoro della sua vita”. Marija Gimbutas è profondamente rimpianta da tutti coloro che l’hanno conosciuta e amata. Come scrisse il suo collega Edgar C. Polome nella sua festschrift del 1987, “Non ci sono parole per descrivere la profondità dei sentimenti che legano questa grande studiosa ai suoi discepoli e questa grande donna ai suoi numerosi amici e ammiratori[17].

Marija Gimbutas nel 1994 (ph. Biblioteca Joseph Campbell e Marija Gimbutas)

NOTE
[1] Questo è un riferimento all’articolo di Peter Steinfels, “Idyllic Theory Creates Storm“, pubblicato il 13 febbraio 1990 sul New York Times nella sezione Scientifica.
[2] Prefazione di Joseph Campbell al “Linguaggio della Dea” di Marija Gimbutas (Harper, 1989), p. XIII.
[3] Lettera del 28 novembre 1993 a Joan Marler da Ashley Montagu.
[4] Il Segretario Generale della Società delle Nazioni intervenne nel 1924 per impedire che Danielius Alseika venisse espulso dall’area di Vilnius dalle forze di occupazione polacca.
[5] Tutte le citazioni di Marija Gimbutas presenti in questo articolo sono tratte da interviste registrate da Joan Marler tra il 1987 e il 1993.
[6] I genitori di Marija erano intellettuali raffinati che apprezzavano le credenze popolari senza essere “credenti”. Per i domestici invece, che raccontavano a Marija centinaia di storie, le divinità pagane erano reali.
[7] Conversazione del 23 settembre 1994 con Jurgis Gimbutas.
[8] Vedi Prefazione di Edgar C. Polome in “Proto-Indo-European: The Archaeology of a Linguistic Problem – Studies in Honor of Marija Gimbutas”, a cura di Susan Nacev Skomal e Edgar C. Polome, Institute for the Study of Man, Washington, D.C., 1987: 10-11.
[9] Nella prima edizione di questo libro, Thames and Hudson si rifiutò di consentire che la parola “Dee” fosse la prima nel titolo. La seconda edizione, pubblicata nel 1982, rispecchiava il titolo originale di Marija: Dee e Dei della Vecchia Europa.
[10] Vedi “Feminist Scholarship in the Sciences: Where Are We Now and When Can We Expect a Theoretical Breakthrough” di Sue V. Rosser in Feminism and Science, a cura di Nancy Tuana, Indiana University Press, 1989: 3-11.
[11] Commento di Andrew Sherratt registrato nel settembre 1989 da Joan Marler, Dublino, Irlanda.
[12]Introductory Remarks” di Marija Gimbutas, dagli Atti della Seconda Conferenza sulla “Trasformazione della Cultura Europea e Anatolica 4500-2500 a.C.”, Dublino, Irlanda, 15-19 settembre 1989. Pubblicato su “The Journal of Indo-European Studies”, autunno/inverno 1989: 194.
[13] Da una lettera del 20 settembre 1994 di Martin Huld a Joan Marler.
[14] Conversazione con Michael Herity registrata il 15 marzo 1992 da Joan Marler.
[15] Da “Beware of the Mother!” di Kristina Berggren, articolo per “From the Realm of the Ancestors: Essays in Honor of Marija Gimbutas”, a cura di Joan Marler (Knowledge, Ideas & Trends, Inc. 1996).
[16] Michael Herity, Op. cit.
[17] Da “Marija Gimbutas, A Biographical Sketch” di Edgar C. Polome, da Proto-Indo-European: 377-378.


TESTO ORIGINALE

Tratto dall’articolo:

Joan Marler – “A Vision for the world: the life and work of Marija Gimbutes” – in Comparative Civilizations Review – Vol. 33 – Number 33 – Fall 1995 – Article 2 – International Society for the Comparative Study of Civilizations.

Traduzione e ricerca iconografica Elvira Visciola.