Riparo di San Giovanni – Sambuca di Sicilia (AG)

La scheda è stata curata da Barbara Crescimanno

Riparo di San Giovanni – Sambuca di Sicilia (AG)

La scheda è stata curata da Barbara Crescimanno


Il vasto riparo sotto roccia di San Giovanni prende il nome da una contrada in cui sorge una chiesetta dedicata al Santo, pochi chilometri a sud di Sambuca di Sicilia. L’insieme delle cavità si trova ai piedi di un costone roccioso – su cui si aprono diversi anfratti e una grotta – sulle pendici sud-occidentali del Cozzo Don Paolo. L’ingresso è esposto verso occidente in direzione del lago Arancio, da cui dista circa un chilometro.

Il Riparo più interessante è il secondo sulla parete del costone (partendo da sinistra verso destra, riparo A/Riportella), di notevoli dimensioni (circa 5 mt di altezza per circa 12,50 mt di larghezza), la cui parete di fondo, leggermente arcuata e lucidata dal vello di animali per un’altezza di circa un metro, è interessata da una ricchissima serie di oltre 400 incisioni lineari verticali e geometriche, diverse tra di loro sia per lunghezza (le dimensioni variano tra i 48 e i 2 cm) che per la marcatura dell’incisione.

L’elemento lineare è uno dei grafemi più ricorrenti nell’ambito delle manifestazioni parietali mediterranee tra il Paleolitico tardo e il Neolitico. I raggruppamenti di linee incise, in genere verticali, si trovano in numerose grotte siciliane, e sono diffuse sia in Europa che nel Mediterraneo e in Nord Africa. “Particolarmente interessanti sono i confronti con i cosiddetti traits capsiens incisi su pietre o sulle pareti dei ripari nord-africani datati al Neolitico di tradizione capsiana. Quest’ultimo confronto assume particolare importanza se si mette in relazione alla possibile esistenza di contatti fra l’Africa settentrionale algero-tunisina e la Sicilia durante il Mesolitico” (Buccellato et al.)

Il complesso di Sambuca è il più ricco finora ritrovato in Italia e forse nell’intero Mediterraneo; date le sue caratteristiche non sembra aver avuto funzione abitativa, sembra piuttosto un luogo adibito a funzioni simboliche di tipo sacrale, luogo di incontro per la comunità del comprensorio, nel periodo tra l’Epigravettiano e il Mesolitico. Gli elementi lineari, pur non mostrando un ordine, “talvolta danno l’impressione di essere raggruppati in insiemi caratterizzati da analogie nell’incidenza del solco” e mostrano chiaramente di essere un insieme fortemente unitario (Tusa).

Alla base della parete rocciosa su cui insistono le incisioni lineari, su un lieve aggetto orizzontale che si trova alcuni centimetri sopra il piano di calpestio a formare una sorta di sedile lungo tutta la parete, “riscontriamo una anomalia rispetto alla maggioranza delle incisioni lineari siciliane, ovvero la presenza di triangoli isosceli e soprattutto, più che altrove, coppie di linee convergenti verso il basso che talvolta giungono ad intersecarsi formando figure triangoliformi”, ritenute figure vulvari (Mannino, 2017).

Rappresentazioni simboliche del pube femminile in forma di V, di triangolo o chevron si sono cristallizzate fin dal Paleolitico superiore, incise in grotte o intagliate su oggetti in osso o avorio.

Nel riparo B/Riportella, affiancato al precedente, ad altezza umana la roccia è ricoperta da uno strato di concrezione calcarea “a buccia d’arancia” sulla quale, in senso verticale, si osserva un alone rossastro con tratti bruni e rosso più vivo. Si tratta probabilmente di un’immagine in bicromia, bruno e rosso ocra, resa evanescente per l’esposizione agli agenti atmosferici: accanto a figure antropomorfe stilizzate in rosso, troviamo “figure alberiformi a catenella” dal significato dubbio.

Le manifestazioni figurative dei ripari A e B sembrano risalire ad epoche diverse e avere finalità differenti.

Un paio di metri più in basso troviamo la grotta di San Giovanni, il cui ingresso è chiuso da un muretto a secco. L’ambiente interno ha forma quasi circolare (circa 12 metri di diametro e 4 metri in altezza), con una rigogliosa vegetazione alimentata da una piccola polla d’acqua scaturente dal fondo della grotta. Secondo il Mannino, sulla parete sono scavate alcune piccole nicchie, probabilmente usate per votivi o per lucerne. L’ambiente umido ha impedito un uso abitativo stabile, ma verosimilmente non un utilizzo rituale.

Nell’areale circostante ai ripari sembra sia stata recuperata abbondante industria litica tra cui bulini, grattatoi discoidali, lame a dorso, geometrici e microbulini che riportano ad aspetti dell’Epigravettiano evoluto-finale, e diversi ciottoli con graffite rappresentazioni zoomorfe (equidi, bovidi, cervidi, suidi, capri ovini e forse un coniglio), in alcuni casi in scene forse riferibili alla caccia; in uno dei ciottoli graffiti si troverebbero incisioni “catalogabili nell’ambito della simbologia vulvare” (Riportella).

A breve distanza dal sito, verso sud, sono stati rilevati resti di capanne e ceramica sparsa neolitica. Tale dato riveste grande importanza soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione topografica: il complesso rupestre, sulla sinistra idrografica del vallone, potrebbe essere considerato non solo un luogo di incontro comunitario di tipo sacrale (Buccellato et al. ipotizzano che il riparo potesse essere meta di “pellegrinaggio”, in cui parte del rituale potesse comprendere tracciare una linea sulla parete “sacra”), ma anche sede di un importante atelier per la produzione di industria litica, come l’enorme quantità di nuclei di selce sembra indicare.

Le incisioni lineari, ritrovate in numerosi siti archeologici, hanno ancora oggi un significato enigmatico: sono state interpretate come modalità di computo o promemoria in una forma analoga alle marques de chasse (segni di caccia), o come prodotto di rituali di propiziazione per la caccia; come segni per un calendario; come estrema stilizzazione simbolica della figura umana: le ipotesi sono ancora aperte.

Secondo Leroi-Gourhan, le serie incise di questo tipo potrebbero anche rappresentare l’intenzione di una ripetizione e, di conseguenza, un ritmo: queste prime testimonianze umane di espressione ritmica si trovano in frammenti d’osso o di pietra, con incisioni a intervalli regolari ed equidistanti che recano la testimonianza dell’origine stessa della figurazione. Esse sarebbero le prove delle più antiche manifestazioni ritmiche che siano state espresse, prima ancora delle forme, comparse contemporaneamente ai coloranti (ocra e manganese) e ai primi oggetti ornamentali.

Un gesto ritmico è sia il gesto performativo (danzato o percussivo), che il gesto per la produzione di utensili (amigdale, chopper o altri oggetti che nascono proprio dal percuotere, segare, martellare o raschiare pietra o legno per trasformarne la forma) o – in questo caso – per la produzione di segni.

Fin dall’inizio le tecniche di fabbricazione si collocano in un ambiente di ritmi, a un tempo muscolari, uditivi e visivi, derivati dalla ripetizione di gesti […]. Allo scalpiccio, che costituisce il quadro ritmico della marcia, si aggiunge, nell’essere umano, l’animazione ritmica del braccio; mentre lo scalpiccio regola l’integrazione spaziotemporale e si trova all’origine dell’animazione nel campo sociale, il movimento ritmico del braccio apre un altro sbocco, quello di una integrazione dell’individuo in un sistema non più creatore di spazio e di tempo, ma di forme” come appunto le incisioni lineari o i segni calendariali (Leroi-Gourhan, 1977: 362). Secondo lo studioso, fin dalla loro prima comparsa le serie di tratti sono associate a simboli femminili. I segni ritmici sembrano anteriori alle figure nitide, che a loro si integrano per sovrapposizione, come se si trattasse di un solo contesto reso a poco a poco più chiaro dai simboli visivi. Le forme esplicite riscontrate nelle ricerche archeologiche sono dapprima ovali femminili o simboli vulvari (le donne rappresentate in modo completo verranno dopo) che possono essere associate a teste o parti anteriori di animali informi. In tutti gli insiemi ben conservati le figure sono raggruppate sistematicamente: segni ritmici-vulva-animale.

La presenza della risorgiva d’acqua e delle nicchie sulla parete della grotta di San Giovanni ci porta però a aggiungere ulteriori considerazioni. Il culto legato alla sacralità delle acque è tra i più antichi in assoluto, e si trova sempre associato a entità sacre femminili; la Gimbutas ritiene che l’associazione tra sacro femminile e acque sia esistita fin dal Paleolitico; molti santuari paleolitici e neolitici erano collocati in grotte presso cui si trovavano fonti d’acqua (sia minerali che termali). “Corsi d’acqua a forma di comete, o linee parallele in diagonale, verticali o a bande di meandri, sono motivi frequenti nelle suppellettili e nell’arte del Paleolitico e del Mesolitico”. Secondo la studiosa, tali forme indicherebbero la presenza di una corrente d’acqua: corsi d’acqua in forma di linee e gruppi di linee parallele ricorrerebbero assai frequentemente nell’arte preistorica fino al neolitico.

La compresenza della fonte d’acqua con le nicchie votive e i simbolismi vulvari del riparo accanto alla grotta rendono verosimile questa ipotesi. Il culto del femminino sacro legato alle acque ha d’altronde, sul territorio siciliano, una lunghissima persistenza.

La Sicilia poi è una terra carsica e vulcanica, ha cioè una enorme quantità di cavità sotterranee scavate dall’acqua (fonti e risorgive, fiumi ingrottati o sotterranei, gole) ma anche modellate dal fuoco vulcanico. Nei punti in cui i due elementi (Nesti e Aidoneo) si incontrano, la loro unione fa nascere sorgenti di acque calde o sulfuree dalle differenti proprietà, o altri fenomeni extra-ordinari come i vulcanelli di fango, le maccalube etc.; le proprietà delle acque calde o sulfuree erano conosciute fin dall’antichità: proprietà curative ma anche psicotrope, quando non tossiche, il che conferiva loro un carattere sacro. Le aperture verso il sottosuolo da cui fuoriescono vapori o acque termali e sulfuree, e tutte le emergenze vulcaniche vere e proprie come Etna, Vulcano, Stromboli, sono tutte considerate porte dirette di accesso a un mondo altrimenti vietato ai viventi: l’Ade.

Luoghi altrettanto potenti sono le grotte da cui nascono sorgenti di acque perenni, essenza ctonia che proviene dal ventre di Gea, e i luoghi da cui esse sgorgano sono anch’essi punti di contatto tra il nostro e il mondo infero. L’acqua è un elemento sacro, ed è legato alla vita, alla morte, alla nascita e alla ri-nascita rituale.

Tutte/i noi, prima della nascita, trascorriamo nell’acqua i nove mesi liminali della gestazione. Come il ciclo mestruale è concretamente e simbolicamente legato con il ciclo della luna, la ‘rottura delle acque’ al momento del parto ha collegato simbolicamente il corpo femminile con il corpo della Terra, originando il culto legato alle acque sgorganti da grotta: le Ninfe, in quanto esseri che abitano – e che stanno a guardia di – questo confine acquoreo tra i Mondi, sono patrone di sorgenti e fonti (anche d’acque calde); le divinità ninfali presiedono dunque ai parti, sono assimilabili alle Maie, le ostetriche, e allo stesso tempo fanno da guide nei riti di passaggio femminili che prevedano una morte ed una rinascita reali o rituali (menarca, nozze, gravidanza, parto, morte). Se l’osservazione e lo studio dei ritmi di mestruazioni, gravidanza e parto sono stati alla radice delle nostre capacità di astrazione e simbolizzazione (come sembrano testimoniare i ritrovamenti archeologici paleolitici e neolitici), non stupisce ritrovare questa simbologia, sempre più complessa – indice di riflessioni e semantizzazioni di lunga durata – all’interno di metafore uterine (grotte, porte, passaggi tra i Mondi) anche in età storica” (Crescimanno, 2020).

Note storiche

La scoperta del sito fu effettuata nel 1986 da Rocco Riportella, su segnalazione di Vito Gandolfo, studioso del territorio, e venne presentata all’XI congresso UISPP a Magonza (Germania) nel 1987 da Gerlando Bianchini, presidente del Centro Siciliano di Studi Preistorici e Protostorici di Agrigento. Nella scheda, per distinguere le varie cavità del sito, si è utilizzato il criterio degli scopritori: il riparo A è considerato quello con graffiti, il riparo B quello con pitture e con la lettera C l’attigua grotta.

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SCHEDA

Nome

Riparo di San Giovanni – Sambuca di Sicilia (AG)

Oggetto

Pitture o graffiti rupestri

Cronologia

Il complesso di Sambuca, date le sue caratteristiche, non sembra aver avuto funzione abitativa, ma piuttosto un luogo adibito a funzioni simboliche di tipo sacrale, luogo di incontro per la comunità del comprensorio, nel periodo tra l’Epigravettiano e il Mesolitico.

Datazione

Paleolitico SuperioreMesolitico

Località del ritrovamento

Sambuca di Sicilia. – Provincia di Agrigento

Regione

Sicilia

Contesto ambientale

Ripari

Reperti esposti

Museo di Paleontologia Umana del Centro Siciliano di Studi Preistorici e Protostorici, via Acrone, 37 – 92100 – Agrigento (dato non confermato).

Stato di conservazione

Non conosciuto.

Condizione giuridica

Non conosciuta.

Bibliografia

  1. Rocco Riportella – Il complesso preistorico di San Giovanni a Sambuca di Sicilia – Archeoclub d’Italia – Sambuca di Sicilia (Ag) – 2002;
  2. Giovanni Mannino – L’arte rupestre preistorica in Sicilia – Edizioni di storia e studi sociali – Ragusa 2017;
  3. Sebastiano Tusa – Sicilia archeologica – Edizioni di storia e studi sociali – Scicli 2015;
  4. Cecilia Albana Buccellato, Rocco Riportella, Sebastiano Tusa – “La serie lineare incisa e le figure dipinte del Riparo di San Giovanni presso Sambuca di Sicilia”in Atti IIPP XLII – 2012 – pp. 77-82;
  5. André Leroi-Gourhan – Il gesto e la parola – Einaudi – Torino 1977;
  6. Barbara Crescimanno – Ninfe siceliote. Persistenze e trasformazioni – Palermo 2020 (in corso di pubblicazione);
  7. Giuseppina Battaglia – Alcune riflessioni sull’arte rupestre del Palermitano 2016.
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