Pozzo sacro di Santa Vittoria di Serri (CA): culti e tradizioni popolari

La scheda è stata curata da Arianna Carta

Pozzo sacro di Santa Vittoria di Serri (CA): culti e tradizioni popolari

La scheda è stata curata da Arianna Carta


Il pozzo sacro di Santa Vittoria si trova all’interno di uno dei più importanti complessi cultuali della Sardegna nuragica che ospita diverse strutture, anche abitative, ed è situato nella zona di Serri, Sardegna. Il sito archeologico, costruito durante l’età del Bronzo, presenta ampie tracce di frequentazioni nei secoli successivi e prende il nome dalla chiesa dedicata alla martire Santa Vittoria, la cui festa si celebra l’11 settembre.

Il sito che presenta un’estensione di circa 22 ettari, si configura con:

  • il pozzo sacro/tempio a pozzo
  • un protonuraghe, successivamente inglobato in un nuraghe a tholos
  • due templi in antis, uno denominato “capanna o casa del sacerdote” e l’altro la “capanna o casa del capo”
  • un tempio ipetrale (senza copertura)
  • la cosiddetta “via sacra” che unisce il tempio a pozzo con il tempio ipetrale, ed è lunga 50 metri e larga 3-4 metri
  • una capanna delle riunioni o “Curia”
  • un recinto per celebrare le festività
  • diverse capanne abitative

Alla prima età del Bronzo risale il primo reperto ritrovato: un vaso tripode ed una sepoltura con ascia in giadeite e pugnaletto in rame, rinvenuto presso la cosiddetta “capanna del capo”.

Gli scavi hanno dimostrato che gli edifici subirono una violenta distruzione, durante il periodo romano, ad opera di un incendio.

Il pozzo sacro, in cui sono stati rinvenuti una serie di vasi, sembra appartenere al Bronzo recente, mentre all’età del Ferro appartengono diversi bronzi votivi che testimoniano i culti che dovevano svolgersi all’interno del santuario, costellato peraltro da betili. Sebbene il riuso del sito si attesti sino all’età medievale, durante il periodo romano e bizantino si è riscontrata una frequentazione di tipo militare, come testimoniano sepolture e relativi corredi. Il pozzo sacro è racchiuso da un recinto ellittico di filari di basalto (m 19 x 13), ha uno schema canonico di: atrio, scala e pozzo ed è orientato a N-E/S-O. L’atrio, è un quadrato di 2 metri x 2 con un pavimento lastricato su cui poggia un bancone-sedile ed un altare rettangolare che presenta una cavità e foro di scarico per far defluire i liquidi. La scala formata da 13 gradini presenta una copertura gradonata e si addentra nel pozzo cilindrico (di 2 metri di diametro) originariamente sormontato da una copertura a tholos. Si ritiene che il frontespizio del santuario fosse originariamente decorato da due protomi taurine in calcare ed un fregio a dentelli. Per le importanti valenze cultuali dei templi a pozzo si rimanda all’articolo sul sito di Santa Cristina di Paulilatino.

Tra i reperti più importanti si segnalano:

  • bronzetti antropomorfi (di cui due figure femminili che reggono tra le braccia un bambino (?) di sesso maschile e alcuni bronzetti maschili con armi)
  • bronzetti di animali e navicelle votive
  • modellini di nuraghe-altare
  • monete di varie epoche
  • protomi taurine
  • anelli, bracciali
  • vasi in ceramica
  • miniature di vasellame in bronzo

Di notevole interesse è anche la cosiddetta “capanna dell’ascia bipenne” di forma circolare con diametro: 6,95 m. e h: 2 m. che presenta il basamento di un altare e un piccolo pilastro con decorazioni. La capanna si trova all’interno del recinto delle feste e prende questo nome dal ritrovamento dell’omonima ascia che purtroppo non è visibile in nessun museo e di cui abbiamo solo il disegno e le descrizioni di Taramelli. L’ascia in bronzo, lunga 27 cm., è stata definita da Taramelli “sacra bipenne betilica”; secondo lo studioso era collegata al culto monoico della labrys. A conferma delle cerimonie svolte, in questo edificio, come in altri del sito, sono stati ritrovati abbondanti resti di pasti rituali, tra i quali ossa di ovini, suini, bovini, selvaggina e molluschi (cardium e mytilus).Che fine ha fatto l’ascia bipenne? È difficile comprendere come un reperto così significativo sia scomparso (probabilmente) sepolto in qualche magazzino museale. Ancora più difficile è capire il motivo per cui non ci siano pubblicazioni accademiche a riguardo. L’ascia bipenne, sia nella materialità dell’oggetto che come simbolo, assume, secondo diverse studiose, un’importanza fondamentale nei culti della Grande Madre in ambito minoico; altri archeologhi, pur riconoscendone la grande importanza, la indicano come simbolo delle divinità maschili. Malgrado queste divergenze, il simbolo della labrys è così significativo che uno studioso del calibro di Martin Nilsson ha dichiarato che non si può comprendere la religione minoico-micenea senza comprendere l’ascia bipenne. In generale, sembra che queste asce, dal chiaro significato simbolico e rituale, fossero anche strumenti che venivano effettivamente utilizzati durante i sacrifici rituali. Nel palazzo di Cnosso gli scavi hanno portato alla luce diversi esemplari. Attraverso opportune indagini, la presenza dell’ascia potrebbe gettare luce sia sui culti e rituali che si svolgevano nel sito di Santa Vittoria di Serri, sia dei legami tra le popolazioni autoctone sarde ed il mondo minoico-miceneo.

Note antropologiche a margine: sincretismo religioso o appropriazione indebita? Diversi/e studiosi/e fanno notare come la Chiesa si sia sovrapposta a culti pre-cristiani, derogativamente definiti pagani. In Sardegna questo fenomeno è avvenuto spesso all’interno di aree di culto pre-nuragico (leggi Neolitico) e Nuragico come per esempio i pozzi sacri, ma non solo. I culti e riti preesistenti, malgrado il tentativo di cancellazione attuato delle successive cerimonie cristiane, hanno mostrato una forza e persistenza tale da sopravvivere nei secoli o addirittura millenni. Nel caso dei pozzi sacri di Santa Cristina di Paulilatino, Santa Vittoria di Serri e Santa Anastasia di Sardara, si può osservare come a tutte queste strutture legate al culto dell’acqua, sia stata affiancata una chiesetta campestre dedicata ad una santa il cui culto, curiosamente, viene celebrato durante i mesi della stagione agro-pastorale (da maggio a settembre). Come nota l’antropologa Clara Gallini, questi sono proprio i mesi in cui tutte le comunità agropastorali, sin dall’antichità, si riunivano per celebrare eventi, sancire matrimoni ecc. festeggiando così la fase più importante del ciclo della vita. A riprova di questo, nel dialetto sardo il mese di settembre, in cui abbiamo visto si festeggia la santa del pozzo nuragico, prende il nome di Cabudanni o Capidanni (dal lat. caput anni), l’inizio dell’anno.

Archeologia e folklore: a proposito di tradizioni popolari, reperti archeologici e labrys, in Sardegna, vorrei citare un interessante documento orale, trascritto da Francesco Enna nel suo saggio intitolato Sos contos de foghile (in italiano: i racconti del focolare). Questo studioso, ripreso anche da Dolores Turchi, riporta una leggenda popolare raccontata da un’anziana donna di Macomer, Maddalena Deriu. Il testo presenta interessanti riferimenti al culto dell’acqua, ai pozzi sacri, alla labrys e anche ad una figura di fata, probabilmente una jana (le fate/streghe delle domus de janas). Ecco il testo nella traduzione in italiano (grassetti miei):

“A Macomer, quand’ero piccola mi raccontavano molte storie. Ne ricordo una che è in poesia. Forse era una canzone, ma io ricordo soltanto le parole. È la leggenda di Maria Giusta.  La storia è questa di Maria Giusta. Vestita di panno andò al dirupo, legna secca a cercare, legna per riscaldare. Un leccio vi trova coi rami d’argento. La pioggia incominciò, un fulmine calò. Cessato il temporale, il leccio era ridotto in cenere, in cenere era il leccio.

Dalla scure senza manico, viene fuori una fata, al colpo che ha dato.

È colomba il suo cuore, i capelli d’oro: d’oro i capelli, la scure a due fili.

“Va’ a cercare il pozzo che ora è asciutto. Il pozzo dell’acqua grande, senza secchio né porta; senza porta né secchio, gettaci la scure”. Trova quel pozzo, grande, secco e profondo, gettata vi ha la scure, beve senza secchio, dimentica ogni cosa. I giorni passano a frotte. Il fiume si è seccato nel mezzo dell’estate.

Tutti stan soffrendo, di sete stan morendo. S’accorge che suo figlio s’affloscia come un giglio. Ritorna al pozzo, fin sul fondo asciutto. Asciutta è l’acqua grande, né secchio né porta, né porta né secchio, non vi trova la scure. Poi udí una voce, una voce da molto lontano: “L’acqua non nasce se il sangue non la pasce”. Appena vi si getta, l’acqua fresca zampilla. La storia è questa di Maria Giusta. Per l’acqua si uccise, nel pozzo del dirupo.”

Tralasciando le innumerevoli letture ed interpretazioni sulla leggenda di Maria Giusta, in questo scritto mi limiterò a segnalare i riferimenti ed i collegamenti tra il culto dell’acqua (con relativo pozzo sacro) e la sfera del femminile nei suoi due personaggi principali: Maria Giusta e la fata/jana dai capelli d’oro. Personaggi che interagiscono con l’ascia bipenne, strumento sacro al mondo minoico-miceneo (ma evidentemente diffuso nell’area del Mediterraneo), che sembra garantire o negare l’accesso all’acqua. Ulteriore riferimento sembra essere quello dei sacrifici rituali, tanto che la protagonista, per ottenere nuovamente l’acqua, deve sacrificare la sua stessa vita. Acqua che, come fa notare Turchi, sembra essere quella dell’oblio in sardo “s’abba e’ s’irmentigu” (l’acqua della dimenticanza) di cui si parla nelle tradizioni popolari nei paesi dell’entroterra i cui abitanti perderebbero la memoria bevendo in determinate fonti. Queste leggende riprendono il mito greco-romano della fonte di Lete, legataai miti sulla reincarnazione delle anime? E’ probabile, così come è possibile che il pozzo di cui parla la ballata potrebbe alludere ai pozzi sacri i cui culti venivano celebrati in epoche preistoriche e la cui eco è giunta fino a noi attraverso la memoria popolare di linea femminile, tanto che a tramandarne la storia è una donna. Dolores Turchi, nella sua indagine su questo testo, aggiunge ulteriori elementi che completano un quadro dagli ampi riferimenti al sacro femminile: secondo la studiosa, infatti, la colomba di cui si parla nel testo farebbe riferimento alle sacerdotesse divinatrici del mondo classico, in particolare del tempio di Dodona che usavano l’ascia bipenne nei rituali legati all’acqua.

Altro elemento che permette di ipotizzare un legame tra i culti precristiani legati all’ascia bipenne, il culto dell’acqua e le tradizioni popolari successive, è la processione che si teneva a Nuoro per scongiurare i momenti di grave siccità. Secondo Turchi, una schiera di donne con bambini si recavano in processione verso il fiume portando in mano “sas ruchittas” ovvero dei bastoni fatti di canne incrociate con una forma che sembra ricordare l’ascia bipenne. Il testo della tradizione orale trascritto da Enna e gli studi di Turchi diventano dunque una preziosa fonte che permette di collegare reperti archeologici, folklore e storia (spesso dimenticata) del potere sacro femminile in un’isola ricca di leggende e reperti archeologici privi di fonti scritte dirette.

Note storiche

I primi scavi nell’area di Santa Vittoria di Serri furono effettuati dall’archeologo Antonio Taramelli (accompagnato dallo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni) e risalgono agli anni 1909-1931. A questi sono seguiti altre campagne di scavi negli anni ’60 (Contu e Muzzetto) negli anni ‘80/90 (Murru, Campus e Puddu) per finire con gli scavi degli anni dal 2007 al 2015 (Fadda, Mancini e Saba).

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SCHEDA

Nome

Pozzo sacro di Santa Vittoria di Serri (CA): culti e tradizioni popolari

Oggetto

CultiManufatti

Cronologia

Sulla base dei dati finora conosciuti è stata proposta una cronologia nell’ambito del Bronzo Medio (II fase nuragica, 1500-1300 a.C.) ed una nel Bronzo Recente (III fase nuragica, 1300 a.C.)

Località del ritrovamento

Serri – Provincia di Cagliari

Regione

Sardegna

Contesto ambientale

Area EsternaPozzi

Reperti esposti

Il pozzo si trova all’interno del Santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri, Località Serri, 09063 (CA), gestito dalla cooperativa “L’acropoli nuragica”; tel. +393459991175, +393460669068; email: acropolinuragica@tiscali.it. Gli orari visite sono ogni giorno dalle 9 fino al tramonto.
I reperti rinvenuti nel sito sono invece conservati presso il Museo Archeologico di Cagliari, Cittadella dei Musei – piazza Arsenale, 1 – 09124 Cagliari (CA); tel: 070/655911. Orari di visita dalle 9 alle 19, chiuso il martedì

Stato di conservazione

Vario

Dimensioni

Varie

Condizione giuridica

Proprietà Stato

Bibliografia

  1. Antonio Taramelli – “Il tempio nuragico ed i monumenti primitivi di S. Vittoria di Serri (Cagliari)” – in Monumenti Antichi dei Lincei – XXIII – 1914;
  2. Antonio Taramelli – “Nuove ricerche nel santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri” – in Monumenti Antichi dei Lincei – XXXIV – 1931;
  3. Raimondo Zucca – Il santuario nuragico di Santa Vittoria di Serri – Carlo Delfino Editore – Sassari 1988;
  4. Giacomo Paglietti, Federico Porcedda, Enrico Trudu, Maily Serra e Riccardo Cicilloni – “Il santuario di Santa Vittoria di Serri (Sardegna, Italia) Storia di un luogo di culto dall’età del Bronzo all’età medioevale” – in Revista Santuários, Cultura, Arte, Romarias, Peregrinações, Paisagens e Pessoas – belas-artes ulisboa – Lisboa 2015;
  5. Alexander MacGillivray – “The Minoan Double Axe Goddess and Her Astral Realm” – in Athanasia. The Earthly, the Celestial and the Underworld in the Mediterranean from the Late Bronze and Early Iron Age – 2012, pp: 117-128;
  6. John Arthur Evans – Palace of Minos I-IV – London – Macmillan 1921-35;
  7. Nanno Marinatos – Minoan Kingship and the Solar Goddess: A Near Eastern Koine – University of Illinois Press – 2010;
  8. Clara Gallini – Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna – Ilisso – Nuoro 2003;
  9. Paola Mancini – “Il Santuario di Santa Vittoria di Serri. Campagna di scavo 2011″ – in The Journal of Fasti Online – 2013;
  10. Francesco Enna – Sos contos de foghile – Gallizzi – Sassari 1984;
  11. Dolores Turchi – Maschere, miti e feste della Sardegna. – Cagliari – Edizioni della Torre 1990.
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