L’idoletto di Arnesano fa parte del corredo funerario della sepoltura trovata in una tomba a grotticella posta a circa 50 centimetri di profondità dal piano di campagna, dotata di un pozzetto di accesso di circa 1 metro di diametro e di una piccola camera a volta (di altezza massima 1.10 metri) a pianta ellittica (di circa 1.50 x 1.20 metri) chiusa da un lastrone calcareo verticale (di circa 1,10 x 1.00 metro e spessore 20 cm.); un disegno di Antonio Duma, collaboratore della Soprintendenza dell’epoca ne evidenzia le caratteristiche in planimetria e sezione. La sepoltura era adagiata in posizione rannicchiata con il cranio rivolto ad est, nella direzione delle suppellettili funerarie. Quest’ultime erano costituite da n. 2 ollette ed una tazza di color grigio brunastro attribuibili alla cultura di Diana e l’idoletto in pietra leccese (calcare tenero molto facile alla lavorazione) che richiama esemplari egei. In particolare, l’idoletto antropomorfo a forma di “tappo”, detto anche a “T” o a “civetta”, ha notevoli somiglianze con quelli rinvenuti a Cipro e nella tholos di Aghia Triada a Creta. Le modalità di recupero d’urgenza della tomba di Arnesano hanno creato numerosi dubbi sull’effettiva tipologia della struttura ipogeica, in quanto potrebbe trattarsi non di tombe appositamente realizzate ma di strutture esistenti utilizzate per altri scopi, successivamente defunzionalizzate e poi riutilizzate per i seppellimenti (Anna Maria Tunzi Sisto e Mariangela Lo Zupone, 2010). L’idoletto è rappresentato schematicamente nel corpo, di forma cilindrica leggermente appiattita in modo da offrire una sezione trasversale ellittica, rastremato verso il basso senza alcun accenno agli arti inferiori o alle braccia. La testa è invece rappresentata con maggiori dettagli, arrotondata e con le due arcate sopracciliari che si raccordano al naso disegnando una sorta di “T”. Una breve tacca segna la bocca e al di sotto tre solchi per lato (interpretati come collane) si uniscono sotto il mento e segnano un profilo triangolare. Marija Gimbutas, nel suo Linguaggio della Dea riferisce: “…Ad Arnesano, vicino Lecce, una statuetta in pietra con una maschera di civetta, uno chevron immediatamente sotto e la parte inferiore del corpo ridotta a un troncone era disposta rispetto allo scheletro ripiegato secondo la stessa relazione rilevata a Cuccuru S’Arriu (…la statuetta veniva collocata davanti alla persona morta, che giaceva in posizione ripiegata, fetale…). Vicino alla statua erano poggiati vasi rossi monocromi, stupendamente bruniti, nello stile Diana-Bellavista, tipico dell’Italia del sud e della Sicilia intorno al 4.000 A.C…” (M. Gimbutas, 2008).
Note storiche
L’idoletto è stato ritrovato nell’agosto del 1968, insieme ad altro materiale del corredo funerario, all’interno di una sepoltura neolitica venuta alla luce a seguito di alcuni lavori di scavo per l’apertura di un pozzo per la raccolta dei liquami nel cortile di un’abitazione privata di proprietà della signora Maria dell’Anna in Barba, sita nel Rione Riesci del paese di Arnesano, in provincia di Lecce, esattamente in Via Dante n. 38. Del ritrovamento è stata subito allertata la locale Soprintendenza che recatasi sul luogo ha potuto constatare che i lavori avevano semidistrutto la tomba che risultava, a quel punto, incorporata nel pozzetto.
Già nel 1887 Cosimo De Giorgi, noto medico locale appassionato di archeologia e paleontologia, aveva individuato nel Rione Riesci un villaggio Neolitico, con il ritrovamento di numerosi reperti, tra cui utensili in selce ed ossidiana e varie ceramiche, materiale confluito nel Museo Archeologico Provinciale Sigismondo Castromediano di Lecce. Una relazione del Soprintendente alle antichità della Puglia di Taranto, Felice Gino Lo Porto, pubblicato nella Rivista di Scienze Preistoriche n. XXVII del 1972, riporta quanto segue nella nota n. 3: “Sfortunatamente e a nostra insaputa le ossa di questa deposizione, verosimilmente singola, sono state raccolte in una scatola e consegnate a tale Argimino, spazzino comunale di Arnesano, che l’ha fatto deporre nell’ossario del locale cimitero. Da quanto ci è stato recentemente riferito sul luogo, il recupero di tali reperti, seppure laborioso per evidenti ragioni, non appare impossibile. Con l’appoggio delle autorità municipali se ne tenterà l’impresa nel prossimo futuro. Una fotografia, eseguita dai rinvenitori su queste ossa, rivela la presenza di due femori e di frammenti delle tibie, nonché i resti di una calotta cranica e di un mascellare inferiore. Un premolare, consegnatoci dalla proprietaria del suolo, sembra indicare che si tratti di un adulto giovane” (F. G. Lo Porto, 1972). Ad oggi non ci sono notizie del recupero delle ossa dell’inumato e/o di ulteriori approfondimenti, pertanto le informazioni sono quelle dell’epoca e soprattutto non si è potuto appurare se il corpo fosse maschile o femminile.
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