I miti dipinti nelle grotte

I miti dipinti nelle grotte

di Alessandra de Nardis

André Leroi-Gourhan (1911-1986), considerato uno dei più grandi specialisti mondiali di preistoria, ipotizzò che gli animali facevano parte di un sistema simbolico del mondo vivente mantenuto con piccole variazioni per tutta la durata dell’arte paleolitica. Questo sistema simbolico implicava una distribuzione delle specie animali in due gruppi distinti e riconducibili alla divisione del mondo umano tra uomo e donna: all’uomo corrispondevano cavalli, cervi, stambecchi, leoni, cani e rinoceronti, alle donne il bisonte, l’uro o il bue selvatico. Leroi-Gourhan basò questa ipotesi in particolare sulla sessualizzazione delle figure su un pannello isolato di Pech-Merle, dove sagome rosse evocano donne e bisonti schematici con passaggio graduale da un tema all’altro.

Les femmes-bisons de Pech-Merle
Il bisonte a sinistra proviene da altre parti della grotta e la femmina a destra si trova nella stessa camera della grotta delle femmes-bison, ma in realtà si trova sul soffitto chiamato Plafond des Hiéroglyphes. Solo i due centrali provengono effettivamente dal Panneau des Femmes-Bisons. Foto e testo: Leroi-Gourhan (1992)
Particolare del pannello di Pech-Merle con la raffigurazione delle donne bisonte

Più recentemente la ricerca di un altro francese, Julien D’Huy specializzato in filogenetica dei miti con un dottorato in storia all’ Institute of African Worlds, ipotizza che le donne-bisonte di Pech-Merle sono invece l’illustrazione di un mito che ha cercato di ricostruire nella sua ricerca, Le motif de la femme-bison. Essai d’interprétation d’un un mythe préhistorique par Julien D’HUY (Bullettine Mythologie Française n ° 242 mars 2011- Société de Mythologie Française).

Per scovare il “racconto primo” che potesse fornire la matrice originale, D’Huy ha raccolto e analizzato decine e decine di miti e leggende definiti “zoemi”- animali dotati di funzione semantica – provenienti da tutto il mondo. Prendendo in prestito dai biologi evoluzionisti gli alberi filogenetici come metodi statistici di classificazione delle specie viventi ha scoperto un nucleo in cui pare celarsi lo stesso mito di una donna-animale.

Il mito è riassunto come segue:

Un uomo ruba la pelle di cui si è spogliata un animale femmina per fare il bagno; l’uomo la nasconde o la brucia, la donna è costretta a sposarlo. Il resto è variabile. Se l’uomo non ha distrutto la pelle la donna finisce per ritrovarla e fugge nella sua forma animale; l’uomo quindi va alla ricerca della moglie scomparsa superando molte prove. Per lo studioso questo mito esisteva già durante la preistoria, anzi è ciò che ha fornito le basi per il nascere di tutti quei miti sparsi ancora oggi per tutti i continenti e che in fondo parlano tutti della stessa cosa. Le conclusioni a cui arriva non ci soddisfano, ma la sua raccolta di narrazioni è effettivamente la prova di un racconto primigenio dal profondissimo significato, bisogna solo avere occhi diversi dai nostri per poterlo leggere.

Julien D’Huy ritiene questo mito universale facilmente identificabile e trova sorprendente quanto poco il tempo e le distanze lo abbiano influenzato. In tutta una serie di miti indoeuropei e asiatici una donna-uccello per fare il bagno deposita il suo vestito di piume che le viene rubato dal futuro sposo. Nelle Isole Faroe e in Scozia l’uccello è sostituito da foche, in Micronesia da focene e nell’Artico da una volpe. In Croazia abbiamo un lupo mentre la gente dei Balcani racconta di una capra che, nata da una donna sterile che desidera a tutti i costi un figlio anche se fosse un animale, lascia la sua pelle per andare ad attingere acqua e viene sorpresa da un principe che la sposa. Dopo il matrimonio appare a volte nella sua forma umana, a volte nella sua forma animale finché alla fine suo marito le toglie l’incantesimo bruciandogli la pelle. In Camerun una storia racconta come un cacciatore riesce a sposare una donna-bufalo la cui pelle aveva rubato sulla riva mentre nuotava con i suoi compagni: hanno molti figli, ma quando ritrova la pelle che suo marito aveva nascosto, lo lascia portandosi via i figli. Un mito simile si trova in Ciad dove il cacciatore e la donna bufalo hanno un figlio. In Africa la donna soprannaturale può anche essere costretta a sposarsi da un cacciatore che le ruba la pelle d’asino o elefante. In Mesoamerica in un mito molto diffuso, ad esempio tra i Tlapanec, i Tepecano e i Totonac, la pelle della donna-animale è quella di un cane rubata dall’unico sopravvissuto all’alluvione; altrove è una tartaruga il cui guscio è stato rubato.

Poiché la fauna varia a seconda dei climi e dei luoghi, il ricercatore ha dedotto che per preservare la sua essenza il racconto originale trova di volta in volta animali da adattare che gli consentono di mantenere invariata la forma base.

I popoli che con successive migrazioni hanno occupato le diverse regioni del mondo hanno identificato diverse specie animali capaci di sostituire quelle che mancavano per ricreare il mito. Il fatto che il mito della donna-animale si trovi in Africa, Eurasia, Americhe e persino in Australia proverebbe una arcaicità storica molto grande, esso è apparso senza dubbio prima del popolamento dell’America, poiché la credenza sarebbe passata dall’Eurasia a questo continente quando era ancora possibile, cioè prima dell’Olocene. È quindi probabile che questo mito risalga almeno al Paleolitico superiore europeo, e che potesse essere noto agli artisti di Pech-Merle.

Inoltre, nella grotta c’è il particolare di un rivolo d’acqua che scorre in un orifizio situato esattamente sotto il pannello dove sono state rappresentate donne e bisonti disposti in modo da guardare il ruscello che scompare sottoterra a meno di un metro sotto di loro. Questa stretta associazione, nel punto di assorbimento delle acque della cavità, ricorda il motivo della donna-animale che si toglie sempre la pelle quando va a fare il bagno e costituisce un ulteriore indizio a favore dell’ipotesi interpretativa del ricercatore.

Ma che significato ha questa storia?

Per D’Huy il racconto della donna quadrupede è metafora di un iper-sessualità e/o iper-fecondità della donna che va tenuta sempre sotto controllo e l’unione forzata con l’uomo cacciatore è necessaria per una “cultura civilizzata”. Quanto alla scelta degli zoemi quadrupedi – selvatici o domestici – secondo il ricercatore, dipende dal tipo di società che lo ha adottato a seconda che sia più del tipo cacciatore o coltivatore.

A Pech-Merle il particolare sul soffitto dove ciascuna delle tre donne è disegnata con un unico segno è coperto da una doppia linea, sovrapposizione che suggerisce allo studioso un accoppiamento, sarebbe stato quindi un modo per enfatizzare la natura sessuale e fertile.

Ma è l’unico modo di interpretare queste immagini?

Entrambe le ipotesi si basano sullo stesso presupposto, nel quale la sessualità femminile è il centro di una narrazione che si conclude con la presa di controllo su di essa. Forse queste teorie hanno il difetto dell’osservatore: chi ha enunciato queste ipotesi ha guardato le donne-bisonte di Peche-Merle con occhi maschili e una storiografia maschile.

Ma se ciò che è rappresentato su uno dei soffitti della grotta di Peche-Merle fosse invece una danza? Se lo considerassimo come la rappresentazione di gesti atti a ricreare le movenze del bisonte? Donne che muovono il corpo nudo, rivestito con la pelle dell’animale in una danza sacra: dopo aver lavato via la parte umana e indossata la pelle, diventare il bisonte e tutte insieme la mandria e poter interagire con gli umani per trovare un accordo di sopravvivenza? Non sarebbe certo una novità utilizzare maschere e travestimenti grazie ai quali perdere l’identità e assumere quella dell’animale o dello spirito con cui interagire.

Esiste una leggenda degli indiani Lakota-Sioux che racconta di una femmina di bufalo bianco che insegnò ai Lakota-Sioux come sopravvivere sulle loro terre usando gli animali offerti dalla natura e di come l’esistenza di milioni di bisonti significasse abbondanza infinita; quando andò via avvertì che sarebbe tornata per ristabilire l’armonia sul pianeta. Queste leggende antichissime portano l’eco di quando gli esseri umani dipendevano così tanto dagli animali da dover parlare con essi. Anzi, erano gli animali a dare informazioni essenziali agli umani. Passare da uno stato ad un altro: donna-bisonte-donna, un mezzo per entrare in totale sintonia e accedere così a quel connubio indispensabile che avrebbe permesso la sopravvivenza.

E’ opinione diffusa quella secondo la quale gli artisti delle grotte paleolitiche fossero sciamani (Jean Clottes, Les Chamanes de la Préhistoire: Transe et Magie dans les Grottes Ornées) che entravano in trance per connettersi con il mondo degli spiriti e si è ipotizzato recentemente (Dean Snow, Pennsylvania State University, studi pubblicati sulla rivista American Antiquity) che moltissimi di questi artisti fossero donne e dunque, perché non vedere in queste immagini una sequenza di danza sacra dipinta da chi l’avrebbe dovuta rappresentare? Umane capaci di entrare in totale sintonia con il corpo di un animale femmina portatore di vita, fecondità e abbondanza. Certamente non tutti potevano rappresentare quella danza, la pelle dell’animale infatti può prendere possesso di chi la indossa e il rischio è restarci intrappolati dentro. Se le sciamane avessero voluto rappresentare il rito da compiere come insegnamento alle iniziate? Nella grotta, come luogo della memoria, delle antenate, di chi prima di loro aveva dato vita a quel rito sacro, quella danza poteva essere rappresentata in una dimensione altrettanto sacra e forse inaccessibile ai più.

Simulare l’andamento di un quadrupede: i movimenti del corpo più di ogni altra cosa rendevano l’essere incredibilmente e paurosamente simile all’animale, più si conoscevano più era realistico

Per concludere, il sospetto che l’interpretazione dello zoema scovato dal D’Huy sia sovraccarico di significati estranei a quelli di allora è, a mio avviso, confermato dal finale del racconto che vede l’uomo rubare la pelliccia alla donna-animale per poi costringerla a essere una moglie umana = sottomessa. Un finale che ricorda il tempo in cui l’uomo prese possesso dell’arte del travestimento sciamanico, reclamando solo per sé il ruolo ed escludendo le donne dalla dimensione di mediatrici del sacro, ruolo che se non fosse stato interrotto più di ogni altro avrebbe permesso realtà diverse da quella in cui siamo intrappolati ora.

Ci sarebbe ancora moltissimo da dire sulle donne bisonte di Peche-Merle ed è certo che meriterebbe uno studio approfondito da parte di studiose con la capacità di scavalcare la barriera culturale creata dalla storia ufficiale. La maschera è una investitura e chissà se prima o poi una donna si recherà a Peche-Merle investita dal dono che fu delle sue antenate.

Molte delle maschere ancestrali sarde ancora utilizzate in riti che si perdono nella notte dei tempi sembrano androgine, non rivelano se sono femminili o maschili, unite da un’unica valenza simbolica quella dell’annullamento dell’identità umana
Molte delle maschere ancestrali sarde ancora utilizzate in riti che si perdono nella notte dei tempi sembrano androgine, non rivelano se sono femminili o maschili, unite da un’unica valenza simbolica quella dell’annullamento dell’identità umana
Il corpo dei bisonti è ricoperto nella metà superiore, muso compreso, da una folta pelliccia mentre nella parte inferiore pare quasi che abbia il corpo nudo. D’estate poi la pelliccia cade a pezzi con il cambio di stagione
Nel 2020 è nato un bisonte bianco, da non confondere con albino. Evento rarissimo che ancora oggi gli indiani considerano un segno portatore di cambiamento positivo
Danze sacre sciamaniche sono presenti in tutte le culture della Terra; esse si eseguono “indossando” l’animale di cui si vuole assumere le caratteristiche utili ad affrontare il viaggio. La sua pelle diventa una investitura

Alessandra de Nardis – 23 Aprile 2021

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