Il sito è considerato uno dei più importanti giacimenti italiani, contiene infatti una delle più antiche testimonianze dell’arte preistorica in Italia ed una delle più importanti a livello europeo. L’importanza è legata non solo alla presenza di arte rupestre ma anche alle sepolture (9 individui in tutto) ed ai numerosissimi reperti litici e faunistici; questi ultimi coprono un arco temporale compreso tra 23.000 e 10.000 anni fa ed hanno consentito la ricostruzione delle abitudini alimentari, della vita sociale e dell’ambiente sia del cosiddetto “uomo del Romito” – probabilmente del tipo di Cro-Magnon, che non allevava ancora gli animali né praticava l’agricoltura e la lavorazione della ceramica, ma era dedito esclusivamente alla caccia degli animali selvatici e alla raccolta di vegetali spontanei utilizzando soprattutto la selce per fabbricare utensili – sia dell’Homo Sapiens, di cui sono rimaste appunto testimonianze negli strumenti litici e ossei, nel graffito del Bos primigenius e nei resti delle sepolture.
La grotta è composta di due parti ben distinte: la grotta vera e propria di circa venti metri ed il riparo che si estende per altri trentaquattro metri.
Su gran parte dell’area non sono stati rilevati materiali o tracce di attività come comunemente si rilevano nelle zone d’uso deputate ad attività funzionali, mancano prodotti di scheggiatura come pure resti di ossa che potrebbero rimandare alle attività alimentari; mancano inoltre tracce di carboni presenti di solito negli strati spessi. Questo rende probabile l’interpretazione di questa struttura secondo un uso non funzionale ma cerimoniale, considerando anche la sua frequentazione durante un arco di tempo lunghissimo.
Infatti, già Paolo Graziosi durante gli scavi tra il 1961-1968 aveva messo in luce sei inumati (Fig.1): una sepoltura con due defunti (Romito 1-2) nel deposito del riparo, due sepolture singole (Romito 3-4) all’interno della grotta, un’altra sepoltura doppia (Romito 5-6) anch’essa nel riparo. In tempi più recenti, grazie ai nuovi scavi a partire dagli anni 2000, sono state scoperte altre tre inumazioni singole (Romito 7-8-9).
Gli scheletri degli individui da Romito 1 a 8 sono tutti in buono stato di conservazione, sono individui adulti o subadulti, sia femmine (Romito 1, 4 e 5) che maschi (Romito 3, 6, 7, 8). Romito 2 è probabilmente un maschio. Considerando le collocazioni degli inumati, le loro modalità di deposizione e le caratteristiche anatomiche si possono individuare due gruppi: del primo, il più antico, fanno parte le sepolture singole, posizionate all’interno della grotta, ben allineate una accanto all’altra e riguardano individui dalla costituzione robusta deposti nelle fosse con la testa orientata a sud; nel secondo gruppo, quello delle sepolture bisome posizionate nel riparo, rientrano individui di costituzione più fragile (malformazione congenita o sopravvissute a pesanti traumi fisici), che dimostrano la cura da parte del gruppo umano rivolta anche a persone con problematiche fisiche.
Inoltre sono state condotte analisi relative all’archeologia biomolecolare, in particolare sul DNA antico, per ricostruire l’identità genetica, la provenienza geografica, il sesso, i rapporti di parentela e le abitudini delle popolazioni; in particolare, le analisi molecolari hanno indicato, ad esempio, che gli umani di Romito 5 e 6, sepolti insieme nella medesima fossa, erano imparentati per via materna, cioè con la mamma o la nonna in comune, facendo crollare l’ipotesi dell’inumazione “coniugale”, a meno che non si ammetta un matrimonio tra consanguinei e rendendo invece più probabile e logica la valorizzazione del clan matrilineare.
Romito 1-2 (Fig. 2 e 3): Questa sepoltura era localizzata alla distanza di circa due metri dal masso con l’incisione del Bos primigenius. Negli appunti di scavo di Graziosi è descritta una fossa ovale (profondità cm 30, lunghezza cm 140, larghezza cm 50) al cui interno erano deposti una donna adulta e un probabile maschio di 15-20 anni, in posizione supina, accostati; la donna copriva in parte la spalla sinistra dell’uomo e la sua nuca poggiava sulla guancia del compagno, l’uomo a sua volta le copriva le spalle col braccio sinistro, mentre il braccio destro era disteso lungo il corpo. I due individui, di 15-20 anni di età, sono ambedue di statura molto piccola e con malformazioni/patologie: 1,40 m il maschio, probabilmente affetto da nanismo, 85 cm la femmina, che tra l’altro presenta il femore e l’omero affetti da un forte dismorfismo e da osteoporosi. Tra le gambe degli inumati era collocato un corno di Bos primigenius e un altro frammento più piccolo era sulla spalla destra della donna, considerati da Graziosi elementi del corredo funerario.
Romito 3-4 (Fig.4): Si tratta di due sepolture singole, vicine, situate all’interno della grotta, ciascuna posizionata in una fossa, di dimensioni simili (ca 145 cmx50 cm) e con i defunti – di statura intorno ai 160-170 cm – distesi supini, con le braccia lungo i fianchi e ricoperti da grandi blocchi calcarei. In particolare, lo scheletro Romito 3 di maschio adulto non era completo – infatti mancavano, al momento dello scavo, il cranio, parte delle costole e delle braccia – probabilmente a causa di uno scavo di ignoti avvenuto in periodo precedente all’arrivo di Graziosi nel 1961. Lo scheletro Romito 4, una giovane donna di 18-20 anni, è invece quasi completo.
Romito 5-6 (Fig.5): Si tratta della seconda sepoltura bisoma emersa nel riparo. I due scheletri, di statura di circa 155 cm e di età di circa 30 anni, furono deposti in un’unica fossa, orientati Nord Ovest-Sud Est, in posizione supina e con le gambe piegate e, come descrive Graziosi, la sepoltura era circondata da pietre; altre pietre più piccole si trovavano sul petto e sulle gambe dei due individui. Da segnalare il fatto che una parte dello scheletro Romito 6 al momento della scoperta era scomposto, in quanto la sepoltura doppia è avvenuta in due periodi diversi: prima è documentato il seppellimento di Romito 6, in seguito, dopo la decomposizione delle sue parti molli, è stato inumato Romito 5, determinando quindi lo spostamento di parte dello scheletro già presente. Oltre a ricollegarsi all’uso prolungato della grotta come luogo di sepoltura/culto, i risultati delle analisi molecolari hanno tra l’altro, anche in questo caso, dimostrato una parentela per via materna dei due inumati.
Romito 7 (Fig.6): Questa sepoltura è stata scoperta nel 2001 ed è di un giovane di sesso maschile, morto all’età di circa 18-20 anni, deposto in una fossa stretta e profonda e poi ricoperto da una costruzione ben strutturata di grandi pietre, disposte ordinatamente su tre ordini sovrapposti; in posizione leggermente obliqua dal bacino verso la testa, furono ritrovate due pietre più grandi delle altre e di forma abbastanza piatta, quasi a creare una specie di “camera di protezione” del bacino stesso e del torace; le mani erano incrociate all’altezza del pube. In questo caso non sono stati rinvenuti elementi di corredo funerario, tranne una punta in selce deposta lungo il fianco destro; a contatto con le mani si trovava un altro oggetto in pietra, di cui però resta dubbia la valenza di offerta rituale. Sul bacino è stata evidenziata una certa quantità di ocra rossa, un pigmento spesso utilizzato per ricoprire, in parte o totalmente, i corpi dei defunti (cfr. Thea – Grotta San Teodoro).
Romito 8 (Fig.7): Anche questa sepoltura, scoperta nel 2002, ripropone le medesime procedure accennate per Romito 7; il corpo deposto in una fossa stretta e profonda è ricoperto da numerose pietre, in assenza di elementi di corredo funerario. Le analisi sui resti hanno messo in evidenza un trauma subito da questo individuo – di cui restano tracce evidenti sull’omero e sul cranio – che aveva lesionato il plesso nervoso radiale provocando la conseguente paralisi del braccio sinistro. Questa menomazione fisica impediva all’individuo di svolgere molte delle più intense attività fisiche dell’epoca paleolitica, ma l’eccezionale usura delle superfici occlusali dei denti, probabilmente usati come “utensili”, quindi per scopi non alimentari (ad esempio lavorazione di legno tenero o di pellame o di altro materiale semiduro), indica che, nonostante la sua disabilità fisica partecipava ad altre attività contribuendo così in altri modi alla vita della comunità.
Romito 9 (Fig.8): scoperta alla fine del 2011, è la sepoltura più antica rinvenuta nel sito ed è stata datata a circa 14.000 anni fa. Si tratta di un giovane maschio, di 11-12 anni di età, sepolto con un ricco corredo funerario (Fig. 9); il cadavere infatti è stato deposto nella fossa adagiato su un letto di ocra rossa e coperto da una specie di “sudario”, ornato e decorato con più di mille conchiglie forate. Altra ocra rossa ricopriva anche il corpo, intorno al quale, sempre all’interno della fossa, sono stati rinvenuti circa un centinaio di canini atrofici di cervo forati, di cui la maggior parte formava due bracciali che ornavano l’avanbraccio sinistro e il polso destro del giovane. Nonostante la manomissione della sepoltura, avvenuta sempre in epoca preistorica, buona parte dello scheletro è rimasta in situ, consentendo di capire le modalità del rituale funerario.
Il recente studio di Martini-Lo Vetro, “Atti rituali e spazi cerimoniali paleolitici nell’ambiente di grotta”, mettendo in relazione i diversi elementi presenti nel sito, tenta di ricostruire e dare conto del possibile universo simbolico legato alla grotta come luogo di culto/rituale: infatti, viene evidenziata una possibile correlazione tra il masso con l’incisione di Bos primigenius, le strutture (fossa e fossette) e le inumazioni (le quattro singole nella grotta e le due bisome nel riparo) e la delimitazione fisica stessa dell’area del riparo. Gli autori infatti utilizzano come parametro primario interpretativo la cosiddetta “ripetizione dell’atto simbolico” in quanto codice condiviso all’interno di un sistema culturale. In questo senso la Grotta del Romito fornisce numerose evidenze che senza dubbio rientrano nell’ambito del rituale: il grande masso del Bos primigenius, localizzato quasi al centro del sito, all’entrata della grotta, sprigiona una “notevole forza iconica” quasi a delimitare il confine tra il riparo esterno e lo spazio interno, buio della grotta – considerando anche che in età antichissima i due spazi non erano separati come avvenne successivamente ed era invece solo una parte più bassa e rocciosa del soffitto a fungere da limite a livello di percezione dello spazio. Fungendo da protettore totemico del clan, rappresenta “una sorta di omphalos che cattura la percezione di chi si muove in quello spazio, un punto di riferimento spaziale che mette ordine e diviene un punto gravitazionale”. L’importanza del valore simbolico del Bos è confermata anche dal fatto che frammenti di corno sono presenti a corredo di alcune delle sepolture (Romito 1-2) e quindi, “dove marca simbolicamente lo spazio sotterraneo della fossa destinato a tramandare la memoria della conservazione e della custodia dei defunti, nello stesso tempo marca anche lo spazio all’aperto dove si svolge la vita quotidiana e attorno alla sua immagine ruotano azioni utilitaristiche e simboliche, funzionali e rituali. Ne deriva che l’imponenza numinosa dell’animale, direttamente illuminata dalla luce del sole in alcune ore del giorno, e la ripetitività della sua presenza metaforica in relazione alle sepolture paiono conferir[gli] un significato totemico” (Martini-Lo Vetro, 2012). Tra l’altro, anche il ritrovamento di resti faunistici senza ulteriori tracce che facciano pensare ad un loro uso quotidiano o alimentare, e anzi considerati di tipo non ordinario, come il cervo, fanno propendere per l’uso strettamente rituale: la presenza del palco di cervo (Fig. 9) si dimostra cioè coerente con il codice simbolico in cui si inserisce il Bos primigenius, ampliando quindi il mondo simbolico zoomorfo di riferimento della comunità. E poi, la presenza di piccoli blocchi calcarei di proporzioni simili tra loro, senza tracce di intervento umano e recanti una fessurazione naturale che richiama il segno vulvare (Fig. 10), entra in relazione simbolica con “il grande tema della fertilità femminile, primario al pari della caccia e del mondo animale nel repertorio concettuale, simbolico e figurativo”, proprio perché, nonostante quella simbolica potrebbe non essere l’unica chiave di lettura delle tre fossette, il loro eventuale uso funzionale non è stato chiarito.
Da evidenziare, infine, il tema della memoria: il fatto che per molti secoli questo stesso spazio sia stato utilizzato nel medesimo scopo simbolico-rituale, mantenendo il ricordo della presenza e della localizzazione esatta delle tombe precedenti, “sottolinea e amplifica la valenza cerimoniale di questo piccolo spazio della memoria adibito al rito funerario per oltre un millennio”. Il masso, come limite dell’area, “attribuisce allo spazio medesimo il significato di temenos, di ‘centro’ sacrale entro il quale si stabilisce un rapporto con il non-reale mediante la pratica cerimoniale e rituale”. E in senso analogo, all’interno della grotta, la creazione degli spazi ipogei delle fosse o di strutture, come la massicciata, è destinata a comportamenti simbolici. Si creano cioè “nello spazio funzionale del sito dei riferimenti metaforici- totemici? – figurativi presi dal mondo animale […] Tutto ciò conferisce alla pratica simbolica una forte valenza sociale e collettiva nella quale può costruirsi l’identità del gruppo”.
Note storiche
La Calabria è stata abitata sin dalle fasi più antiche della Preistoria: già i Neanderthal hanno lasciato diverse testimonianze in alcune grotte costiere ma è soprattutto della specie Homo Sapiens, comparsa in Europa attorno a 40 mila anni fa, che si ricava il maggior numero di informazioni. La Grotta del Romito è stata frequentata durante la fase più recente di riduzione dell’ultima glaciazione, periodo in cui si verificò quindi un miglioramento climatico, cioè quella coincidente col Paleolitico superiore (tra 40.000 e 10.000 anni a.C.); per quanto riguarda invece i ritrovamenti e la frequentazione umana si attestano in un periodo che va dal 18.000 a.C. È soprattutto da circa 11.000 anni fa che la grotta acquista un significato particolare, visto l’alto numero di sepolture e questo induce a pensare ad una sorta di “santuario” del rito funebre che riguarda sia la parte interna che l’area esterna, il cosiddetto riparo. Infatti, anche grazie alla sua posizione, durante il neolitico – col passaggio da un’attività prevalente di caccia e raccolta a quella di produzione (coltivazione, allevamento, creazione della ceramica e scambi) – la Grotta del Romito diventa un punto di transito per il commercio dell’ossidiana, e quindi un luogo particolarmente importante e frequentato.
In tempi recenti, intorno all’anno 1000, la grotta è frequentata dai monaci del vicino monastero di Sant’Elia che la utilizzano come eremo, da cui il nome di Grotta del Romito. Durante gli scavi, effettuati dal 1963 al 1967 e condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria e dall’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria sotto la direzione del Prof. Paolo Graziosi, vennero alla luce le prime sepolture e numerosi reperti litici ed ossei, un potente deposito archeologico di oltre 8 metri di spessore, che dimostrava una lunga fase di frequentazione della caverna. La seconda stagione di indagini, avviata nel 2000 dall’Università di Firenze e dal Museo Fiorentino di Preistoria per conto della Soprintendenza Archeologica della Calabria, attualmente ancora in corso, ha dato un nuovo impulso alle ricerche in questo sito, in quanto con la morte del Prof. Graziosi non erano stati portati a compimento tutti i progetti di studio da lui avviati. Attualmente, grazie alla formazione di un’equipe interdisciplinare (di cui fanno parte geologi, paleontologi, paleobotanici e paletnologici di varie Università italiane e straniere, e anche di giovani studiosi) e all’avanzamento dei metodi di ricerca archeologica, è possibile integrare le conoscenze già acquisite con le altre derivanti dalla scoperta di nuovi reperti e può proseguire ed ampliarsi la ricostruzione archeologica e ambientale del sito. Sono infatti proprio le ultime sepolture rinvenute (Romito 7-8-9) a contribuire ad ampliare le conoscenze sul rito funerario e le ipotesi sull’universo simbolico di quelle comunità umane.
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