Grotta Romanelli è un importante giacimento archeologico e fossilifero del Paleolitico italiano in quanto conserva tracce del passaggio dell’uomo preistorico dal 120.000 a circa l’8.000 a.C. attraverso numerosi reperti archeologici, paleontologici, sepolture umane, arte parietale e mobiliare. Situata in un’insenatura della costa salentina, vicino a Castro in provincia di Lecce, a circa 7 metri sul livello del mare, è composta da un’unica sala larga 16 metri, profonda 35 con un cunicolo di 8 metri di lunghezza, rivolta ad est sull’Adriatico, con la volta parzialmente crollata in epoca imprecisata.
Lo strato che ha offerto maggiori testimonianze è quello delle cosiddette “terre brune”, datato al Paleolitico Superiore, con i resti di 2 scheletri di fanciulli ed alcune mandibole, materiali conservati al Museo di Antropologia dell’Università Federico II di Napoli.
Inoltre, è proprio in questo strato che sono stati trovati circa 200 reperti di arte mobiliare su pezzi di osso di equide e su blocchi di calcare, con segni e figurazioni varie che rimandano ad una produzione di tipo simbolica. Solo 111 di questi sono catalogati, un solo frammento è dipinto in ocra con un motivo a forma di pettine, mentre tutti gli altri 110 sono incisi, alcuni con tratti più profondi e più larghi ed altri con tratti più sottili e superficiali. Sono stati raggruppati in tre categorie principali: figure zoomorfe (9 immagini, tra cui due bovini, un cervo, un felino, un cinghiale e 4 immagini di quadrupedi di difficile interpretazione), figure geometriche ed altre con disegni astratti non esattamente identificabili. I disegni sono più o meno complessi, con linee parallele di varia larghezza, ad andamento spezzato o che si sovrappongono l’una all’altra, con motivi a reticolato, a zig-zag o con decorazione a meandri, serpentiformi o nastriformi.
Sempre allo stesso strato sono riferibili circa 10.000 manufatti litici (grattatoi, bulini, lame, lamelle con ritocco) con caratteristiche tipiche locali che hanno determinato la definizione di “Romanelliano”, industria tipica della fine del Paleolitico Superiore (Epigravettiano finale).
Ma di particolare rilievo sono le incisioni parietali, molte delle quali scoperte nel 1905, in un periodo di particolare fermento per il Paleolitico Superiore in Europa, quando vennero alla luce molte grotte con incisioni rupestri in Francia e Spagna.
Tra queste, degna di nota è la figura bovina posta sulla parete nord della grotta, che a detta di Gian Alberto Blanc “… analogamente a quanto così frequentemente si osserva nei graffiti aurignaziani delle caverne dell’Europa sud occidentale, è limitata ad una parte, e precisamente a quella anterosuperiore. È abbozzata con grande sicurezza e notevole naturalismo. La forma del capo e delle corna ricorda l’Uro o Bos Primigenius, i cui resti abbondano negli strati a terra bruna della Grotta. La figura è attraversata, dall’alto in basso, al garrese, da un lungo tratto rettilineo dentato all’estremità inferiore, che ricorda i cosiddetti arponi che così frequentemente compaiono sulle figure di animali dei giacimenti paleolitici dell’Europa occidentale…” (G. A. Blanc, 1928).
Un altro importante graffito è quello del “cervide ritrovato”; a seguito di un rilievo fotografico realizzato con una particolare tecnica di ripresa (eseguita nel 2000 da Ninì Ciccarese del Gruppo Speleologico Salentino) è emersa l’immagine sovrapposta di un bovide graffito precedentemente inedito, di pregevole fattura.
Molti altri graffiti sono stati individuati sulle pareti di Grotta Romanelli, soprattutto nell’area vicino all’ingresso, alcuni metri al di sopra del livello del suolo moderno; sono modelli lineari e fusiformi, alcuni dei quali a rappresentare probabilmente vulve ed antropomorfi. In particolare c’è una figura che è stata identificata con una silhouette in stile Gonnersdorf. Si tratta di un pannello inciso sito in una zona della grotta buia, difficilmente raggiunta dai raggi del sole, posta dopo l’ingresso della grotta a destra; il pannello comprende alcuni bovidi insieme a segni schematici che devono ancora essere interpretati. Al di sopra di una figura bovina c’è una piccola sagoma antropomorfa posta di profilo, di circa 2 cm. di altezza, con la parte superiore del corpo suggerita dalla forma naturale della roccia, mentre la parte inferiore è incisa in maniera accurata. La figura presenta i glutei sporgenti all’indietro e le gambe ed il busto protesi in avanti; le gambe sono prive di ginocchia e terminano a punta mentre gli arti superiori sono totalmente assenti. Questa figura è stata confrontata con le note rappresentazioni femminili di tipo Lalinde-Gonnersdorf, diffuse in diversi siti dell’Europa occidentale e centrale del Paleolitico finale, dalla Cantabria alla Moravia, Ucraina e Polonia, in reperti di arte mobiliare e parietale, in rappresentazioni singole o multiple, sotto forma di figurine a tutto tondo o anche di pendagli.
Sono state individuate maggiori analogie con le incisioni scoperte in alcuni siti del sud ovest della Francia come Lalinde, Le Courbet (anche questa è incisa su parete), Fontales e Pestillac. La nuova scoperta rafforza l’ipotesi avanzata da Margherita Mussi e Daniela Zampetti sulla presenza di altre incisioni antropomorfe di circa 20 cm. di altezza, situate all’ingresso della grotta che richiamano fortemente lo stile Gonnersdorf.
Ad ottobre 2021 sono state pubblicate sulla rivista “Antiquity” i risultati delle indagini all’interno di Grotta Romanelli, con il ritrovamento di nuove incisioni parietali, circa 31 nuove unità grafiche, tra cui la figura di un bovide, di una rara raffigurazione di pinguino boreale ed alcuni segni geometrici e lineari, emerse durante la recente campagna di scavo iniziata nel 2016 e coordinata dal professore Raffaele Sardella del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università della Sapienza di Roma. Il lavoro sul campo si è concentrato nella camera interna della grotta, in due aree mai precedentemente indagate, etichettate con GRP002 e GRP005.
L’area GRP002 presenta un unico pannello di arte incisa, denominato A, delle dimensioni di 58 cm. per 61 di altezza, posto a circa 4.20 ml sopra il livello zero, ossia sopra il punto più basso del pavimento della grotta (a circa 7 ml slm); il pannello presenta un motivo reticolato simile ad una griglia.
Nell’area GRP005 sono invece stati individuati circa 10 pannelli, di cui solo 3 (i pannelli E, F ed H) presentano una ricca concentrazione di segni grafici di arte parietale, circa 30 singole figure con motivi zoomorfi e geometrici. In particolare, il pannello F è quello più interessante, con la raffigurazione della testa e del dorso di un bovide con le corna protese in avanti e con la rappresentazione di una figura ornitomorfa, il pinguino boreale, con la testa, il becco ed un occhio; entrambe le immagini sono attraversate da linee incise di diverso andamento. Da notare che la particolare conformazione della roccia nei pressi del bovide crea un effetto tridimensionale a delineare il corpo dell’animale. Questi nuovi ritrovamenti a Romanelli mostrano probabili connessioni stilistiche con altri esempi dell’arte paleolitica dell’area franco cantabrica (Niaux, Lascaux, Font-de-Gaume, Cosquer, El Pendo Cave), a dimostrazione dell’alta mobilità durante il Paleolitico Superiore in un’ampia zona dell’Eurasia.
Sul pannello denominato E è di particolare rilievo una figura serpeggiante che si sviluppa attorno ad un asse verticale (figura già individuata nelle grotte francesi) ed una fusiforme che rimanda ad altre simili ritrovate già all’interno della grotta (vedi la silhouette fusiforme femminile incisa sulla parete sud della grotta). Le indagini effettuate hanno permesso di riscontrare l’uso di quattro diverse tecniche di incisione e segni di applicazione direttamente con le dita sulla roccia di un pigmento naturale noto come “latte di luna”.
Sempre durante queste recenti attività di scavo si sono ricavati nuovi dati cronologici attraverso analisi al radiocarbonio dei sedimenti, con la conferma dell’occupazione umana della grotta tra 11.000 e 14.000 anni fa, durante il quale è stato realizzato “un palinsesto grafico che registra diversi episodi artistici e la possibilità di cronologie più antiche” (D. Sigari ed altri, 2021), queste ultime ancora da indagare.
Note storiche
Il ritrovamento di Grotta Romanelli è legato all’azione indiretta del toscano Ulderigo Botti il quale, appassionato di geologia salentina, dopo un’escursione a Capo di Leuca nel 1869 ed a seguito di ritrovamenti fossili vi ipotizzò la presenza dell’uomo preistorico sin da epoche remote. Ma solo nei primi del 900 iniziarono ricerche sistematiche che portarono alla scoperta della grotta: era il 1904 quando un apprezzato pittore salentino, Paolo Emilio Stasi, affascinato dai ritrovamenti di Botti, cominciò a perlustrare la zona insieme ad Ettore Regalia, paleontologo e antropologo, fino al ritrovamento di fossili, oggetti in osso inciso ed il graffito di un bovide (bos primigenius) sulla parete nord della grotta, tutti elementi che permisero di riconoscere per la prima volta in Italia il Paleolitico Superiore. L’eco di questi ritrovamenti suscitò un acceso dibattito in Italia, soprattutto perché Luigi Pigorini, noto archeologo paleontologo italiano, si mostrò scettico con questa datazione, attribuendo il sito al più recente neolitico, nonostante tra i ritrovamenti non ci fossero tracce di cocci di ceramica tipici delle stazioni neolitiche; lui concluse il dibattito scrivendo che “…nulla di paleolitico era uscito dalla Grotta Romanelli…”. Fortunatamente nel 1914 la Sovrintendenza agli scavi in Puglia diede l’incarico al Barone Gian Alberto Blanc, pioniere degli studi paleontologici in Italia, di procedere ad un’esplorazione sistematica del sito di Romanelli, cosa che lui fece, nonostante l’interruzione delle due guerre, raccogliendo ed analizzando tutti i dati presenti nel deposito fino a stabilire che la Grotta, contrariamente all’asserzione di Pigorini, era un sito di straordinaria importanza per lo studio del paleolitico nel nostro paese. Blanc ricostruì, attraverso una complessa stratigrafia, le diverse fasi della vita umana all’interno della grotta, rappresentando, ai primi del 900, la prima testimonianza italiana accertata di Paleolitico Superiore e di arte rupestre nell’area dell’Europa mediterranea. La stratigrafia del sito è stata così suddivisa:
- uno strato superiore denominato “terre brune” con 5 livelli composti da una ricca fauna e circa 10000 reperti di industria litica del Paleolitico Superiore (livelli A-E per un’altezza complessiva di oltre ml 3,50) attribuiti al cosiddetto Romanelliano (stile che prende il nome dalla grotta, riferito all’Epigravettiano finale) e datati tra il 12.000 e l’8.000 a.C. Ai livelli C e D fanno parte i reperti di arte parietale e mobiliare trattati nella presente scheda;
- un sottile strato stalagmitico definito livello F (di circa 5 cm.) che corrisponde al passaggio, alquanto repentino, tra la fauna calda e la fauna fredda, datato a circa 40.000 anni fa; questo strato rappresenta il passaggio tra due mondi distinti, quello inferiore caratterizzato dalla presenza dell’Uomo di Neanderthal e da una fauna tipica di clima caldo e umido e quello superiore caratterizzato dalla presenza dell’Uomo Sapiens e da una fauna tipica di clima freddo ed arido;
- un complesso inferiore denominato “terre rosse” (strato G di circa 60-80 cm.) con circa 1100 manufatti in pietra calcarea e fauna riferibile al Paleolitico medio (Musteriano), ossia ad un periodo cronologico che va dal 67.000 al 40.000 a.C.; in questo strato sono stati ritrovate numerose tracce di attività umana e di focolari con carboni e ceneri oltre a fossili di grandi vertebrati come lupi, rinoceronti, cervidi, ippopotami ed elefanti;
- un secondo strato stalagmitico (livello H di circa 20 cm.), datato a circa 69.000 anni fa;
- uno strato di breccia ossifera (livello I di circa 1 metro); in questo strato è stato trovato un ciottolo di ocra rossa insieme ad alcuni strumenti in pietra calcarea e tracce di focolari che tutti insieme rappresentano l’indicazione della prima occupazione della grotta da parte dell’uomo;
- un deposito di spiaggia tirreniana (livello K di circa 60 cm.).
Dopo decenni di ricerche approfondite coordinate da Blanc, con il contributo di eminenti ricercatori quali l’abate Henri Breuil, Hugo Obermaier, Alberto Carlo Blanc (figlio di Gian Alberto che proseguì gli scavi fino agli anni 60), Paolo Graziosi e Paolo Cassoli, negli anni 60 le attività di scavo furono affidate ad altri eminenti studiosi, tra cui L. Cardini dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana (IsIPU) con il supporto del Gruppo Speleologico Salentino e la partecipazione di Marcello Piperno, Italo Biddittu, Gianluigi Carancini, Francesco Cassoli e Mariella Taschini, indagini che si protrassero fino ai primi anni 70 quando cessarono tutte le attività di ricerca all’interno della grotta. Dopo circa 40 anni di inattività, nel 2015 ripresero le attività di ricerca coordinate dall’Università degli Studi di Roma La Sapienza, con l’autorizzazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia. I nuovi studi, effettuati da un team multidisciplinare composto da ricercatori archeologici preistorici, paleontologi e geologi, hanno indagato gli strati già individuati in precedenza con un approccio più moderno ed attraverso l’uso di nuove tecnologie tali da consentire una datazione più precisa ed approfondita; in particolare sono stati indagati i livelli delle “terre rosse” che hanno retrodatato l’intervallo cronologico del deposito della grotta a più di centomila anni. Inoltre, dal 2015 è stato effettuato un rilievo topografico completo della grotta, con la produzione di un modello grafico 3D di tutta la morfologia, compreso i dettagli cromatici delle aree di scavo e delle incisioni rupestri. Ed è con questi studi che si è giunti al ritrovamento di importanti reperti di pregevole fattura che hanno fatto sì che la Grotta Romanelli balzasse alle cronache come sito chiave del Paleolitico in Europa.
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