Si tratta di una statuina femminile a tutto tondo senza volto, con testa a forma conica, a punta che riprende la forma delle gambe, quest’ultime unite senza accenno dei piedi; i seni prosperosi sono cadenti, con le braccia appena accennate che sembrano ripiegarsi sul petto; la pancia ed i glutei sono rotondi. L’insieme della statuina ha un aspetto fusiforme, realizzata in serpentino presenta una leggera patina giallastra dovuta presumibilmente ad una ossidazione superficiale per infiltrazioni argilloso-ferruginose del suolo; tracce di fabbricazione e di manipolazione sono visibili in vari punti come effetto di lavori di sgrossatura di materiale, di picchiettatura, di levigatura e lucidatura; sul lato sinistro e sul braccio destro sono presenti tracce di ocra rossa. Non sono evidenti decorazioni, ma solo una doppia incisione longitudinale e bilaterale di cui una prosegue sulla faccia anteriore ad indicare la vulva e l’altra sul lato dorsale ad indicare i glutei.
Note storiche
Rinvenuta nel 1925 dal manovale Olindo Zambelli nel Podere Cà di Prà Martein, in località Mulino di Savignano sul Panaro, in provincia di Modena, a circa 2,5 km a nord est di Savignano, nella valle del Panaro, un affluente del Po. Il Podere si trova lungo la strada provinciale tra Bologna e Vignola, ad una quota di circa 106 metri s.l.m.
La statuina è stata ritrovata durante i lavori di scavo delle fondamenta di una stalla, alla profondità di circa 1 metro sotto la quota di calpestio, sotto un grosso blocco di pietra poggiata su uno strato argilloso. Il manufatto venne inizialmente interpretato come un’antica arma per la sua forma appuntita. Lo scultore Giuseppe Graziosi, venuto a conoscenza del ritrovamento ottenne il reperto in cambio di due quintali di uva; quindi, chiese un consulto a Roma presso Ugo Antonielli, allora direttore del Reale Museo Nazionale preistorico Etnografico di Roma scoprendone l’importanza internazionale come uno dei ritrovamenti italiani di arte preistorica più prestigiosi, e ne fece dono all’istituzione romana, dove è ancora oggi conservata. L’area è stata oggetto di successivi scavi nel 1926 ma nel rapporto non viene segnalata la presenza di alcun reperto preistorico, nonostante sia stato raccolto un ciottolo di selce; viene sottolineata l’assenza di cenere o tracce di combustione. Gli scavi sono stati organizzati e diretti da G.C. Montanari, in sostituzione dell’ispettore della Soprintendenza Augusto Negrioli; il suo operato ha suscitato perplessità nel mondo accademico, per quanto scrupoloso era solo un “custode straordinario”, da poco assunto in Soprintendenza, della cui specifica competenza ed esperienza nulla è dato sapere. Non sono mai state effettuate ulteriori indagini.
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