Si tratta probabilmente della più antica rappresentazione antropomorfa rinvenuta in Sardegna, anche se la sua datazione è incerta. L’incertezza è anche dovuta all’unicità della figurina che non è associabile ad altri reperti.
È una statuetta realizzata su un ciottolo di roccia lavica (basalto o andesite) in stile non finito, steatopigia, ovvero con i glutei adiposi, nuda con le gambe unite che vanno a terminare in una massa conoidale. La figura è senza braccia e presenta una sola mammella sul lato sinistro di forma conica molto regolare. Il profilo della testa non è umano, è zoomorfo, come se la figura indossasse una maschera animale. Presenta un muso acuto a sagoma sub-piramidale e due corte e larghe appendici che parrebbero orecchie sormontanti il capo. Gli occhi sono laterali. È stata associata (Mussi) alla rappresentazione della testa del prolagus sardus, un roditore estinto che era presente in Sardegna, in Corsica e altre isole minori a partire dal Pleistocene inferiore sino all’Olocene. Il prolagus era un animale molto prolifico, quindi non è azzardato pensare che venisse rappresentato per indicare la fertilità. La combinazione degli elementi umano e animale troverebbe la sua spiegazione nell’ambito delle pratiche sciamaniche.
Note storiche
La statuina è stata rinvenuta alla fine degli anni ’40 del XX secolo a seguito di uno scavo clandestino all’interno della grotta nota come Riparo S’Adde, che si apre nelle rocce basaltiche alle sponde del rio S’Adde, praticamente dentro l’abitato di Macomer. Sembra che questa “fu trovata non nell’ammasso degli altri manufatti, ma imprigionata in un masso di breccia ossifera, formatosi per deposito all’interno della grotta” (Pesce, 1949, p. 124). All’epoca del ritrovamento della statuetta di Macomer, nel 1949, Felice Cherchi Paba, il rinvenitore, gridò alla scoperta eccezionale di una venere paleolitica, ma la datazione suscitò molte discussioni. Quasi tutti gli studiosi dell’epoca attribuirono la statuetta al Neolitico.
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