Portelli di Castelluccio – Noto (SR)

La scheda è stata curata da Marina Leopizzi e Barbara Crescimanno

Portelli di Castelluccio – Noto (SR)

La scheda è stata curata da Marina Leopizzi e Barbara Crescimanno


I portelli tombali di Castelluccio, fin dal loro rinvenimento, sono oggetto di attento studio per decifrarne il significato sia iconografico che simbolico.

Essi fungevano da chiusura a tre delle 200 tombe, le nn. 31, 34 e 22 della necropoli rinvenuta sui fianchi rocciosi della Cava della Signora, nel villaggio di Castelluccio presso Noto (SR), sito che ha dato il nome alla più diffusa e ricca tra le culture della prima Età del Bronzo siciliano (2300-1700 a.C.).

I portelli delle tombe 31 e 34 sono formati da lastre litiche in cui una delle facce è scolpita con bassorilievi che raffigurano motivi geometrici antropomorfi a spirale, con un’elaborazione più complessa nel portello della tomba 31 (decorato con due spirali affiancate in alto che terminano in basso con una divaricazione nella quale si inserisce un elemento a forbice) e una schematizzazione estrema in quello della tomba 34.

I portelli della tomba 22, invece, presentano un elaborato sistema di chiusura costituito da due lastre: l’anteriore esterna, più piccola, ha la parte superiore con un incavo sagomato a ‘U’, fiancheggiato da due bugne mammelliformi simmetriche al di sotto dell’incavo e aggettanti verso l’esterno della tomba; nella lastra posteriore si trova invece una protuberanza ovale che si incastra nell’incavo della precedente.

Questi portelli costituiscono le uniche testimonianze di opere di scultura del periodo castellucciano.

Luigi Bernabò Brea fu il primo ad ipotizzare che i bassorilievi della tomba 31 e 34 potessero rappresentare la schematizzazione dell’atto sessuale; studi ulteriori invece concordano nell’affermare che le raffigurazioni esprimessero un significato decisamente simbolico connesso a culti propiziatori e devozionali di rigenerazione e/o di protezione e che le spirali accoppiate rappresentassero i seni o gli occhi.

Come rileva il prezioso lavoro di Marija Gimbutas, l’associazione pittorica degli occhi con i serpenti e la rappresentazione degli occhi attraverso spire di serpente erano fenomeni diffusi in tutta l’Europa antica fin dal Paleolitico.

Le spire di serpente, quale metafora degli Occhi della Dea, appaiono, singole o congiunte (in una doppia spirale), come motivo decorativo su ceramiche, templi e tombe dell’Europa antica in Francia, Spagna, Portogallo e Bretagna, spesso in associazione con i segni simbolici di chevron, zig-zag e linee parallele. A questi segni si aggiunge anche quello delle sopracciglia raffigurate con corna d’ariete stilizzate, animale sacro alla Dea in quanto le sue corna attorcigliate come un serpente sono simbolo di energia feconda. E proprio nei portelli di Castelluccio Gimbutas ritiene sia espressa, iconograficamente, la metafora oculi/serpente-spira/corna d’ariete.

Orsi e Bernabò Brea rilevarono fin da subito che il motivo della spirale presente nei portelli ha evidenti collegamenti con altre aree del Mediterraneo, sia da un punto di vista simbolico che iconografico. Ulteriori studi offrono confronti, tra i tanti possibili, con i templi megalitici maltesi della facies di Tarxien, e in particolare con l’ipogeo di Hal Saflieni, ove ricorrono spirali con senso di rotazione opposto come nel caso che ci occupa, e con la maestosa tomba a corridoio di Newgrange in Irlanda: entrambi condividono con Castelluccio la presenza di spirali serpentine singole, doppie e anche triple scolpite nei portali.

Troviamo la doppia spirale anche in Mesopotamia, come simbolo della dea sumera Ninhursaga, una delle dee più potenti del III millennio a.C., l’Unica dai Molti Nomi, tra i quali Nintur, Signora della nascita e del parto; è usata ancora oggi dalle donne egiziane come amuleto in forma di doppia spirale affiancata, con valore protettivo-apotropaico e di salvaguardia e cura della nascita. In Italia, la spirale semplice, doppia o con appendice a uncino appare in maniera ampia e diffusa in Sardegna nelle tombe a grotticelle artificiali del tipo a <domus de janas> della cultura di Ozieri, mentre in Puglia nella grotta di Porto Badisco sono state rinvenute pitture di figure zoomorfe i cui arti si concludono in spirali di serpente.

L’analisi dell’architettura delle tombe, cui i portelli fungevano da chiusura, offre ulteriori informazioni utili per esplorare le credenze religiose della popolazione castellucciana sui concetti di vita, di morte, di passaggio e di rinascita.

Scavate nelle ripide pareti rocciose dei vari insediamenti, sono nella maggior parte dei casi tombe a grotticelle artificiali semplici, spesso precedute da un’anticamera chiamata ‘anticella’ di forma generalmente ovoidale attraverso la quale, mediante una seconda apertura, si accede alla cella sepolcrale, con pianta circolare o ellittica e soffitto a cupola o a tronco conico.

Alcune tombe hanno un’architettura monumentale con facciate a pilastri o finti pilastri, con padiglioni a esedra contenenti una o più celle.

Le tombe a grotticella erano sepolcri comuni e potevano ospitare decine d’inumati, superando in alcuni casi anche il centinaio. Nella maggior parte dei casi essi venivano deposti in posizione fetale: ciò denota come già fin dal Neolitico i processi di morte e trapasso erano intesi come parti di un più grande processo ciclico in cui la nuova vita cresce sui resti di quella vecchia, e la nascita era parte di un ciclo che comprendeva la morte; l’utero della dea, fonte della nascita, è allo stesso modo scaturigine di morte: non mera morte, ma morte e rigenerazione.

In senso simbolico, afferma Gimbutas, l’individuo ritornava nel grembo della dea per rinascere, anche se non si conosce la forma che si immaginava assumesse questa rinascita. “Il grembo femminile […] costituisce uno dei più potenti motivi funerari, si può pensare al grembo come tomba (tomba as womb)”, con un chiaro collegamento al culto della Madre Terra diffuso presso tutte le popolazioni dell’Europa e dell’Anatolia. Grotte, crepe e caverne della Terra rappresentano le naturali manifestazioni dell’utero primordiale della Madre. Allo stesso modo, nell’Europa antica alcune costruzioni erano pensate per servire sia da tombe che da santuari ed avevano la forma di un corpo femminile. Anche a Castelluccio l’anticella, o il corridoio scavato nella roccia che talvolta portava alla cella, era probabilmente la rappresentazione architettonica del canale del parto.

Seppellire nell’utero rappresenta un atto analogo a quello di piantare un seme nella terra ed era quindi naturale che ci si aspettasse il sorgere di una nuova vita da quella vecchia.

Spesso le tombe non erano solo il luogo dove riposavano le persone defunte, ma ospitavano anche rituali di tipo iniziatico o curativo o di significato stagionale, in quanto nell’Europa antica, e per gran parte della preistoria, la religione e la vita quotidiana erano intimamente mescolate, il sacro non veniva separato dal profano, ogni attività era impregnata di una forza sacra.

Al di fuori delle tombe, presso il portello, veniva spesso posto un vaso che doveva fungere da collegamento fra il regno dei vivi e il regno dei morti come probabile contenitore di offerte periodiche da parte dei congiunti delle persone defunte.

Nella tomba 34 sono state trovate anche ossa di cervidi contenute in un orcio pluriansato: ciò fa pensare allo svolgimento di rituali magico-religiosi collettivi che servivano a promuovere simbolicamente il ciclo della vita e della rigenerazione.

Oltre agli oggetti già elencati nelle tombe castellucciane sono stati ritrovati numerosi vasi, amuleti in giadeite e pietre varie in forma di pendenti, minuscoli modellini litici come asce, perline, conchiglie forate, numerosi oggetti di terracotta a forma di corni o falli (da identificare con divinità protettrici del focolare domestico), e sette esemplari di <ossi a globuli > che a tutt’oggi rimangono un piccolo mistero dell’archeologia.

Forse uno studio più approfondito dei corredi funerari delle tombe castellucciane, con uno sguardo che tenga conto anche della interpretazione di Gimbutas, potrebbe rivelare sorprendenti aspetti di questa cultura, come lasciano supporre i decori geometrici a zig-zag, chevron e del segno M delle stesse tombe, o incisi nei manufatti rinvenuti in esse, e nei frammenti presenti negli scarichi del villaggio.

Note storiche

La campagna di scavo nel villaggio di Castelluccio, sui fianchi rocciosi della Cava della Signora, iniziò il 24 giugno del 1890 ad opera di Paolo Orsi, ispettore di 3° classe degli Scavi, Musei e Gallerie del regno.

Orsi fu innovatore non soltanto della metodologia di scavo ma soprattutto per l’adozione delle nuove tecniche scientifiche, in particolare le scienze naturali, la paletnologia e l’antropologia. Fino al 1888 in Sicilia la maggior parte degli scavi archeologici era stata condotta sulle necropoli greche mentre rimanevano assolutamente inesplorati, come egli stesso annota, i monumenti e le “reliquie archeologiche” della Sicilia pre-ellenica.

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SCHEDA

Nome

Portelli di Castelluccio – Noto (SR)

Oggetto

Stele

Cronologia

Il sito di Castelluccio ha dato il nome alla più diffusa e ricca tra le culture della prima Età del Bronzo siciliano (2300-1700 a.C.)

Località del ritrovamento

La necropoli di Castelluccio è nel territorio del comune di Noto – Provincia di Siracusa

Regione

Sicilia

Contesto ambientale

Sepolture

Reperti esposti

I portelli sono conservati presso il Museo Archeologico Paolo Orsi a Siracusa, Viale Teocrito 66, 96100 Siracusa, tel. 0931 489511

Stato di conservazione

Buono

Dimensioni

Portello tomba 22: 80×72-65×11 cm; Portello tomba 31: 100×60-70×10 cm; Portello tomba 34: 117x60x8 cm.

Condizione giuridica

Proprietà pubblica della Regione Sicilia

Bibliografia

  1. Luigi Bernabò Brea – La Sicilia prima dei Greci – Il Saggiatore – Milano 1982;
  2. Luigi Bernabò Brea – Eolie, Sicilia e Malta nell’età del bronzo – Kokalos 1976-1977;
  3. Paolo Orsi – “La necropoli sicula di Castelluccio (Siracusa)” in Bullettino di Paletnologia Italiana – 18 – 1-34 – 1892 – p. 67-84;
  4. Anita Crispino – “Paolo Orsi innovatore. Lo scavo di Castelluccio di Noto e la nuova metodologia negli studi preistorici in Sicilia” in XLVI Riunione Scientifica – 150 anni di preistoria e protostoria in Italia;
  5. Marija Gimbutas – Le dee viventi – Medusa, 2005;
  6. Marija Gimbutas – Il linguaggio della dea – Le Civette – Venexia – 2008.
  7. Università degli studi di Sassari – “L’ipogeismo nel Mediterraneo: origini, sviluppo, quadri culturali” – in Atti del Congresso Internazionale – Sassari-Oristano 23-28 maggio 1994;
  8. Sebastiano Tusa – La Sicilia nella preistoria – Sellerio editore – Palermo 1983;
  9. Sebastiano Tusa –Sicilia archeologica – Edizioni di storia e studi sociali – 2015;
  10. Sebastiano Tusa – The Megalith Builders and Sicily, Journal of Mediterranean Studies – Volume 1 – Number 2 – 1991 – pp. 267-285.
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