Le vaste necropoli di Molino della Badia e di contrada Madonna del Piano (Grammichele, Catania), risalenti ad un periodo tra la fine dell’Età del Bronzo e l’inizio dell’Età del Ferro siciliane (XI-IX sec. a.C.), differiscono da tutte le altre necropoli della stessa facies (vedi Fig. 1): Bernabò Brea le definisce uno dei complessi più singolari e “abnormi” riportati alla luce.
Colpiscono prima di tutto i rituali funerari, differenti da quelli presenti in Sicilia in questa fase storica: troviamo infatti numerose sepolture a enchytrismòs (cioè situle fittili o grandi anfore in cui erano contenuti, in posizione rannicchiata, rispettivamente scheletri infantili e di adulti) accanto a decine di inumazioni entro semplici fosse scavate nella nuda terra (vedi Fig. 2). Queste ultime, poco profonde, hanno i lati foderati di lastre litiche che in alcuni casi proteggevano solo cranio e cassa toracica, e ospitavano corpi distesi supini coperti da sottili lastre di arenaria. Sotto i crani era spesso posta una pietra come capezzale.
L’uso di sepolture individuali, a differenza delle deposizioni multiple entro grotticella artificiale caratteristiche dell’eneolitico siciliano, denotano “una struttura propria di società ad assetto tribale” (Albanese Procelli, 1992 pag. 44).
L’inumazione rannicchiata a enchytrismòs – entro contenitore fittile – è una prassi sepolcrale limitata a poche aree della Sicilia nord-orientale e orientale almeno per tutta l’età del Bronzo antico; sembra avere origini anatoliche e probabilmente viene recepita dalle comunità locali tramite la mediazione delle comunità dell’Egeo.
Non abbiamo invece nessun riscontro per le inumazioni supine in terra nuda nella Sicilia di Età del Bronzo e del Ferro, se non qui a Molino della Badia – Madonna del Piano: questo tipo di deposizione in fossa sembra propria delle culture dell’Italia centro-meridionale della prima età del Ferro, con i riscontri più puntuali dall’area calabra.
Si tratta dunque di necropoli a rito misto: da un lato mostrano una chiara influenza della facies Ausonia di diretta provenienza da Lipari (lo suggerisce la compresenza dell’uso dell’enchytrismòs associato all’uso del vaso situliforme); dall’altro la compresenza dell’incinerazione (il rito più antico, caratterizzato però qui dall’uso di anfore e urne quali cinerari, e della inumazione in fossa) indica l’influenza di comunità italiane. Un incontro di popolazioni che dà vita a una nuova facies, denominata da Albanese Procelli “del Mulino della Badia”. Il suo primo impianto viene collocato alla fine del Bronzo finale 2, vale a dire in pieno Ausonio II (vedi Fig. 3).
Altro elemento notevole di questa necropoli è però il corredo delle tombe, in cui un particolarissimo set di oggetti è stato selezionato per rappresentare l’identità sociale dei/lle defuntə.
Poco varie sono le forme ceramiche, quasi tutte a decorazione piumata o monocroma tipicamente “siciliana”; è attestato invece nel corredo di QUASI TUTTE le tombe almeno un oggetto metallico (soprattutto bronzi, in forma di elementi di ornamento personale o dell’abbigliamento, ovvero utensili), che in alcuni casi sembra richiamare ulteriori collegamenti con la penisola, mentre in altri riporta invece alla facies siciliana di Cassibile (vedi note storiche) e – come per le sepolture a enchytrismòs – a Lipari.
Tra le circa 350 inumazioni ritrovate, diverse tombe femminili risultano essere particolarmente ricche. La combinazione più semplice ritrovata nei corredi comprende una fibula, un coltello e una fuseruola: un oggetto ornamentale e due strumenti di lavoro.
La fuseruola è un oggetto tipicamente femminile legato alle attività di filatura e tessitura, mentre i coltelli sono un oggetto meno usuale nel corredo muliebre. Ne sono stati trovati diverse decine in bronzo (e in due casi – tombe 146b e 229 – in ferro), in differenti tipologie: “a fiamma” (originari dell’ambiente egeo) o “a foglia d’ulivo” (caratteristici della fase di Cassibile) e di solito appesi alla cintura; alcuni esemplari sono di ottima qualità e di notevole fattura, con lame decorate da linee incise o con manici in osso o avorio.
Più in generale sono stati ritrovati numerosissimi ornamenti in bronzo: accanto a diverse decine di fibule decorate o incise in modalità differenti, abbiamo borchiette, anelli piccoli e grandi, cavigliere o collane a spirale cilindrica, orecchini, pendagli in forma di spiraline doppie, una armilla (bracciale in metallo), dischetti concavo-convessi forati al centro e delle asticelle in bronzo con estremità opposte forate (vedi Fig. 4) che, secondo l’ipotesi di Orsi, dovevano essere utensili di lavoro per filare in quanto «(…) attraverso i fori veniva fatta passare la fibra tessile per ottenere un filo di grossezza costante» (citato da Bernabò Brea et alii, 1969 pag. 238).
Ad arricchire ulteriormente i corredi funerari femminili sono presenti anche altri oggetti per la filatura e la tessitura: fuseruole fittili a spirale (8), rocchetti di varie dimensioni (5), numerosi aghi (11) e pesi da telaio oltre a pettini in osso e avorio, cilindri cavi in osso: oggetti tipici delle tombe più riccamente dotate. Uno tra i corredi più ricchi e complessi è quello, ad esempio, presente nella tomba 150b, in cui risaltano anche uno spillone in osso, una collana con vaghi di ambra e pasta vitrea, un pendaglio zoomorfo e – soprattutto – uno strumento musicale.
Infatti, oltre a testimoniare una evidente ricchezza verosimilmente legata a uno specifico rango sociale e a un ruolo di prestigio (oggetti in materiali pregiati come bronzo, vetro, ambra, avorio sono tipici delle tombe di personaggi elitari), ci interessa qui segnalare alcuni particolari reperti in bronzo in forma di pettorali metallici, presenti in almeno una dozzina di tombe di donne adulte: si tratta di una forma rudimentale di calcofono (ovvero un idiofono – strumento musicale il cui suono è prodotto mediante la messa in vibrazione o la percussione del materiale da cui è costituito – in questo caso il bronzo); questi strumenti, denominati genericamente “tintinnabula” (“piccole campanelle”), sono formati da campanelle tubolari in forma di cilindretti o tubi in lamina metallica appesi sotto a una barra perforata e sospesa a una catena di anelli bronzei (vedi Fig. 5): erano probabilmente indossati come pettorali appesi al collo tramite la catena di anelli, a una estremità della quale è stato ritrovato in alcuni casi un campanellino, in altri un pendaglio zoomorfo a forma di bovide (sepolcri 150b, 197 e 251); tali strumenti sono talvolta associati con sonagliere metalliche e con asticelle cilindriche ossee o in avorio (con anima in bronzo), forse usate come percussori; in almeno un caso, insieme a un paio di cavigliere a spirale.
Qualche parte dello strumento doveva essere costruita in materiale deperibile, come suggeriscono alcuni frammenti lignei o di fibre tessili all’interno delle borchie o delle bobine metalliche.
I tintinnabula siciliani ritrovati a Molino della Badia sono datati alla seconda metà del X sec. a.C. e sembrano essere i precursori o prototipi di altri esemplari di strumenti metallici più elaborati nel sud Italia, di almeno mezzo secolo più recenti.
I calcofoni erano costruiti con uno scopo sonoro e ritmico, e venivano suonati in maniera differente a seconda del modello di costruzione: i modelli siciliani – tra i più antichi – sembrano pensati per produrre suoni in associazione con i movimenti del corpo della donna che li indossava.
Il bronzo è una lega composta principalmente da rame arricchito con stagno in percentuali variabili – di solito fino all’8-9% – a seconda delle caratteristiche che si vogliono ottenere; a volte può essere legato anche ad altri metalli per ottenere maggiore durezza, facilità di lavorazione plastica, una colorazione differente o altre caratteristiche ancora.
Tra i calcofoni ritrovati, alcuni degli esemplari sono formati da cilindri di differenti misure con lo scopo di produrre dunque suoni di tonalità differenti (come le moderne campane a vento o come i campanacci per le greggi). Analisi di archeometallurgia sui reperti di Molino della Badia rilevano che nel metallo che compone i tintinnabula è presente una percentuale di stagno tra l’11 e il 15%, insolitamente elevata per le leghe a base di rame.
Come Saltini Semerari fa notare, “un’alta percentuale di stagno in una lega rende l’oggetto più fragile, ma ne migliora anche il suono rendendolo più ‘sonoro e squillante’ e meno sordo”; dunque chi lavorava il metallo a Molino della Badia tra l’Età del Bronzo e l’Età del Ferro possedeva competenze di alto livello, che permettevano di poter calibrare le percentuali metalliche all’interno di una lega a seconda della funzione che l’oggetto doveva avere e del suono che si voleva ottenere. L’aspetto della patina dei reperti suggerisce che i tubuli venissero anche lucidati con cura.
Altri manufatti in bronzo particolarmente suggestivi ritrovati a Molino della Badia sono alcuni ornamenti in forma di rotelle a raggi, identificati (per la loro posizione all’interno delle inumazioni, o per comparazione con altri contesti funerari del sud Italia) come pendagli da cintura; questi manufatti dalla forma di anelli piatti (singoli o concentrici) con croci interne o esterne (vedi Fig. 6) sono stati ritrovati in alcune tombe (oltre che in ritrovamenti erratici), e in almeno due casi in associazione con i tintinnabula; si tratta di oggetti che sembrano avere allo stesso tempo sia una funzione ornamentale che sonora, che sembrano essere stati sia amuleti apotropaici che status symbol.
Gli ornamenti da cintura “a ruota” hanno un tenore di stagno ancora più alto dei tintinnabula, arrivando fino al 17%: la più alta percentuale ritrovata tra i manufatti della necropoli. Oggetti in bronzo di questo tipo, se battuti uno contro l’altro, emettono un suono cristallino; in periodo romano leghe di questo tipo saranno impiegate per la produzione di campanelli e sonagli.
I tintinnabula e gli ornamenti da cintura rappresentano dunque oggetti peculiari per le loro caratteristiche metallurgiche; essere i manufatti della necropoli con il più alto tenore di stagno li rendeva estremamente preziosi a causa delle maggiori difficoltà di rifornimento del metallo – che in Sicilia doveva essere importato – e ai suoi costi elevati rispetto al piombo di produzione locale. Gli/le artigianə del bronzo di Madonna del Piano, dove senza dubbio esisteva una importante officina, hanno operato precise scelte nella loro realizzazione, calibrandole deliberatamente per ottenere specifiche caratteristiche (oltre al suono, anche un particolare colore argenteo o dorato).
Questi oggetti dovevano però essere importanti anche per il loro carattere simbolico, richiamando l’attenzione delle persone presenti alle cerimonie sia sulla presenza fisica che sulla presenza sonora della portatrice: questi elaborati oggetti, prodotti con estrema cura, dovevano possedere un particolare significato ed una funzione cerimoniale, rituale e forse apotropaica.
La questione per noi interessante è che sia gli ornamenti “a ruota” che i calcofoni sono sempre associati con sepolture femminili, di donne adulte di alto rango e di grande ricchezza, accompagnate dai beni e dagli oggetti propri delle élite dell’Età del Bronzo e del Ferro.
«Il complesso degli oggetti rinvenuti [nelle tombe di Molino della Badia], alcuni dei quali veri e propri “gioielli sonori”, concorre a far avanzare l’ipotesi che, attraverso il movimento e la danza, tali strumenti dovessero far assumere a chi li indossava l’aspetto di «donna-sonaglio» (Bellia).
Possiamo dunque ipotizzare che la produzione di suono durante la danza fosse una pratica esercitata da un selezionato gruppo di donne della comunità di Molino della Badia; possiamo ancora assumere che le performance di danza accompagnate da strumenti ritmici dovevano essere un momento chiave della vita comunitaria.
I calcofoni erano uno strumento musicale ma anche simbolico: l’espressione materiale di una relazione talmente profonda tra strumento e suonatrice da portare a seppellirlo insieme alla proprietaria, per non essere più suonato da altri se non da lei (in un contesto in cui gli oggetti di prezioso metallo non più utilizzati erano solitamente riciclati e fusi in nuove forme).
La presenza di più oggetti sonori permette di sostenere la possibilità che le donne che li detenevano fossero suonatrici o danzatrici in pubbliche festività o cerimonie rituali, se non sacerdotesse, cui erano affidati gli oggetti di culto. Restano ignoti il genere di musica e di danza e le occasioni in cui avevano luogo, cerimonie delle quali purtroppo ci sfuggono le caratteristiche.
Qui di seguito il corredo funerario di alcuni sepolcri femminili all’interno della Necropoli.
SEPOLCRO FEMMINILE N. T5, ad enchytrismòs (vedi Fig. 7 e 8); il pithos che ospitava lo scheletro era circondato da pietre e con bocca ad E-SE. Il corpo è deposto all’interno del pithos in decubito semi-dorsale inferiore. Il sepolcro conteneva come corredo:
- un anello digitale bimetallico in ferro e bronzo;
- un orecchino in filo di bronzo;
- una fibula con arco a gomito;
- un coltello con lama a fiamma e manico ad anello;
- un rocchetto bronzeo con ornamentazione a denti di lupo incisi;
- un ago bronzeo, mancante della cruna;
- una fettuccia bronzea (vedi Fig. 9) con estremità appuntite e piegate a z con 16 fori allineati (lunghezza cm. 11, larghezza cm 1,3);
- 16 campane tubolari (vedi Fig. 10) in lamina bronzea (lunghezza cm. 9);
- 36 anelli in filo di bronzo;
- un campanellino bronzeo;
- 26 borchiette concavo-convesse con anellino interno, recante traccia in un caso di fibra vegetale;
- frammenti di pettine in avorio con cerchietti concentrici graffiti;
- un boccale frammentario;
- una fuseruola biconica in argilla.
“Presso la mano destra, [si trovava] una specie di strumento musicale formato da un fascetto di 16 tubetti, a nord dei quali era una striscia di bronzo con 16 fori; iniziava indi una teoria di anelli che giungeva sino alla base delle costole ove formavano un cerchio (diam. cm. 20) presso cui era un campanellino, mentre altri anelli arrivavano sino all’altezza della clavicola. Sembra quindi che lo strumento sia stato sospeso ad una catenella all’estremità della quale era il campanellino. Tra la tibia ed i tubetti è un’area trapezoidale (cm. 6 base maggiore; cm. 4 base minore; alt. cm. 14) in cui erano disposte ordinatamente delle borchiette” (L. Bernabò Brea, E. Militello e S. La Piana, 1969, p. 253).
SEPOLCRO FEMMINILE N. T6, ad enchytrismòs (vedi Fig. 11 e 12), protetto da pietre e con bocca ad Est. Il corpo è in decubito dorsale inferiore con arti in estensione. La segnalazione di frammenti del cranio all’altezza del bacino e la localizzazione delle due fibule ai lati del cranio parlano di una flessione all’altezza del plesso solare. Il corredo era composto da:
- un anello digitale bronzeo alla mano destra, presso il ginocchio;
- una fibula con arco semplice e una con arco a gomito a destra e sinistra del cranio;
- un rocchetto con accanto un anello di fil di bronzo ritorto sul femore dx;
- un coltello a fiamma con manico piatto rivestito in avorio;
- un ago bronzeo;
- un gruppo di campane tubolari accartocciate in lamina di bronzo (lunghezza media cm. 11), con 13 anelli in fil di bronzo;
- un pendaglio da cintura bronzeo formato da due cerchi concentrici uniti da quattro raggi a croce (diametro cm. 7);
- frammenti di un pettine d’avorio decorato con gruppi di cinque o tre cerchietti concentrici incisi presso il femore dx;
- una asticella cilindrica d’avorio con anima in bronzo presso il braccio dx (diametro cm. 1, lunghezza cm. 12,6);
- 47 borchiette bronzee con anellino interno, e con tracce di filo di lino a tre capi;
- un boccale in argilla accanto al ginocchio sx.
SEPOLCRO FEMMINILE N. T39, inumato in pithos (alt. 140 cm, diametro max. 95 cm) chiuso da una olla situliforme con bocca ad E-SE, con scheletro rannicchiato su fianco sinistro, con arti in flessione di circa 45° e la testa verso la bocca del vaso (vedi Fig. 13). Il sepolcro (conservato al Museo di Lentini) conteneva come corredo:
- una collana di spirali cilindriche in filo di bronzo in corrispondenza del collo;
- un anello digitale con fettuccia bronzea a sezione triangolare;
- un orecchino ad anello;
- una fibula bronzea con arco semplice quadrangolare;
- una fibula bronzea con arco semplice filettato;
- un rocchetto con anello in bronzo poco sotto il bacino;
- 15 campane tubolari in lamina di bronzo;
- una striscia bronzea con fori ed estremità appuntite piegate a z;
- 21 anelli di filo di bronzo;
- 19 borchiette concavo-convesse con anellino interno;
- 4 coppie di spirali in filo di bronzo;
- verga bronzea a sezione quadrata (lunghezza cm. 10);
- manico cilindrico di avorio con anima in bronzo a sezione quadrata (lunghezza cm. 11);
- una fuseruola fittile biconica presso al ginocchio;
- una oinochoe sferoidale (altezza cm. 20, diametro max cm. 13).
Note Storiche
Nel 1897 Paolo Orsi pubblica il resoconto di una lunga serie di esplorazioni effettuate nel territorio di Grammichele (la medievale Occhiolà, in provincia di Catania), dove era stato attirato dal frequente verificarsi di notevoli scoperte fortuite. I risultati delle indagini di Orsi riguardano l’individuazione dei resti di un vasto abitato d’età ellenistica e romana sulle colline di Terravecchia, la localizzazione di gruppi di sepolcri nelle vallate che dividono i rilievi ed infine, la scoperta di un santuario, probabilmente extra-urbano, di età arcaica e classica, sul Poggio dell’Aquila ad est dell’acropoli. In questo luogo, nel corso di lavori agricoli, erano venuti alla luce ammassi di materiale fittile, soprattutto terrecotte, deposti all’interno di ingrottature aperte orizzontalmente negli strati di arenaria friabile lungo il margine sud della collina. Fra il materiale rinvenuto, oggi conservato al Museo di Siracusa, una grande statua fittile di divinità seduta, di fattura indigena (VI – V sec. a.C.), denominata la “dea di Grammichele”.
Fu nel 1905 che Orsi diede notizia della singolare necropoli preistorica scoperta qualche anno prima vicino a Grammichele, in una località da lui denominata Molino della Badia; qualche anno dopo vennero rinvenute da contadini altre tombe nella vicina contrada Madonna del Piano, una terrazza naturale alle falde settentrionali delle colline di Terravecchia dove oggi sorge il santuario dedicato alla omonima Madonna del Piano: qui sono state ritrovate inumazioni con bronzi dello stesso tipo della Badia. La massima parte delle tombe di Molino della Badia (almeno 25) fu manomessa e saccheggiata; solo alcune di esse (2 inumazioni in fossa, 11 in cista e 1 ad enchytrismòs) furono sistematicamente scavate dall’Orsi, che recuperò parte dei bronzi trafugati pagando un compenso ai locali che li avevano ritrovati e tenuti per sé.
«A furia di indagare, appurai che da anni ed anni i villani s’imbattevano in belli oggetti siculi di bronzo, più di rado in vasellame rustico, che accompagnava scheletri inumati in nuda terra; tutto ciò era stato trascurato, ridotto a pezzi, venduto per metallo da fondere o fatto balocco ai bambini, finché, data da me la voce, si cominciò a raccogliere (…)» (P. Orsi, 1905, pag. 100). Gli scavi nella zona furono ripresi soltanto nel 1959, per insistenza della studiosa grammichelese Scolastica Umana-La Piana, a cui Bernabò-Brea (allora Soprintendente alle Antichità della Sicilia Orientale) affidò lo scavo, in collaborazione con Elio Militello. L’identificazione del sito indicato dall’Orsi, tuttavia, presentò inizialmente qualche difficoltà a causa delle trasformazioni della toponomastica da lui utilizzata. Nel marzo del 1959 fu scoperta in contrada Madonna del Piano la prima di 47 nuove tombe che saranno poi esplorate nell’area (40 enchytrismòi e 7 inumazioni in fossa, più la cosiddetta Tomba del Pozzo).
Nel 1970 e 1971 altri scavi nella necropoli del Mulino della Badia hanno portato all’esplorazione di 276 nuove sepolture, in cui furono trovati altri 10 tintinnabula. Albanese Procelli riporta che «(…) nei casi in cui è stato possibile accertarla, la giacitura dell’inumato all’interno del contenitore è in posizione rannicchiata, con le ginocchia ripiegate. Solitamente il cranio è verso la bocca del contenitore, quindi per lo più verso Est». Tra le tombe studiate, solo due di esse (tt. 26 e 34) sembrano pertinenti a “guerrieri”, e vengono riconosciute come tra le più antiche del sepolcreto, e attribuite all’XI sec. a.C.; secondo Albanese Procelli, l’inumato della t. 26 potrebbe essere uno dei primi immigrati giunti a dare avvio all’insediamento locale (R. M. Albanese Procelli, 1992, pag. 35 e 51); una unica deposizione nell’intera necropoli è entro sarcofago (t. 174); 12 nuove tombe furono studiate nel 1974. Le tombe fino adesso ritrovate sono circa 350.
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