Le donne invisibili della Preistoria – Judi Foster

Le donne invisibili della Preistoria – Judi Foster

Judy Foster – Le donne invisibili della Preistoria
Tre milioni di anni di pace, seimila anni di guerra
Venexia Editrice, Le Civette – I Saggi 2019


di Beppe Pavan

Luciana Percovich e Le Civette di Venexia: che meraviglia! Ogni nuovo volume della Collana è un contributo alla ricerca di risposte convincenti e incoraggianti a domande come: perché la guerra? perché gli Stati si combattono tra loro? è mai esistita una società senza violenza?
La risposta la riassume Marlene Derlet, che ha collaborato con Judy Foster alla realizzazione di questo progetto editoriale: “Sì, le prove archeologiche, antropologiche e linguistiche mostrano che prima dell’invasione indoeuropea esistevano società pacifiche, alla cui cultura la guerra e la vittoria, con i suoi eroi maschili, erano estranee; invece, il femminile era celebrato e le donne avevano lo stesso status degli uomini. La loro lingua non conteneva parole per identificare armi distruttive; le donne non erano streghe, ma guaritrici, educatrici e figure simili, che onoravano la nascita, la vita, la morte e la rigenerazione”.
Il progetto ha richiesto 12 anni di lavoro: ricerche cominciate intorno alle popolazioni indigene australiane e proseguite con lo studio di una “pila di altri testi utili”, ispirate dal lavoro straordinario e rivoluzionario di Marija Gimbutas. Rivoluzionario perché “fino a non molto tempo fa era radicato tra studiosi e ricercatori un pregiudizio diffuso contro la preistoria e le società indigene, oltre che contro ogni comunità che non fosse all’altezza del cosiddetto modello civile (occidentale)” (p 329). Pregiudizi radicati in quella che Mary Daly in Quintessenza chiama “accademenzia” (l’accademia degli intellettuali che ignorano o disprezzano il lavoro delle donne).
Gimbutas ha indagato i mondi preistorici dell’Europa Antica e possiamo leggere i risultati delle sue ricerche nel testo fondamentale Il linguaggio della Dea. Foster e Derlet hanno esteso la ricerca ai “mondi nascosti” e ai “mondi nuovi”, cioè al resto del pianeta, sulla cui preistoria continuava a dominare una sovrana ignoranza (accademenzia).
Scopriamo così che in Estremo Oriente (Thailandia, Cina, Giappone, Corea), Indonesia, Oceania, Africa, America del Nord, del Centro e del Sud, donne e uomini hanno cominciato a indagare, ricercare, scrivere… e il capitolo conclusivo del nostro libro ci offre la sintesi di tutto questo lavoro, raggruppandolo in “9 fili” di un tessuto femminile di cui l’ordito è rappresentato dal lavoro pionieristico di Gimbutas e la trama è costituita dalla ricerca in tutte le aree del pianeta. Il risultato finora raggiungo permette alle due autore di dire che “abbiamo forti motivi per credere che Marija Gimbutas e chi la sostiene siano sulla strada giusta per quanto riguarda la realtà della posizione delle donne nella preistoria” (p. 327).
Vi presento brevemente questi nove fili che le hanno condotte “sulle tracce delle donne invisibili nella preistoria”, cercando di “scoprirne i ruoli e riscriverne la storia”, leggendo e interpretando la documentazione archeologica e della tradizione orale relative a quel tempo. Le tabelle cronologiche riportate nel testo datano l’inizio di questa storia a 7 milioni di anni fa, epoca a cui viene fatta risalire la “prima scimmia antropomorfa/uomo finora rinvenuto” in Etiopia nel 1999. La nota in calce ci avverte che “queste date non sono fisse, dal momento che continuano a emergere nuove scoperte” e, quindi, si rendono necessari “frequenti aggiornamenti”. Le scoperte continuano perché, ovviamente, continuano le ricerche; e la nostra gratitudine incondizionata deve andare – la mia di sicuro – alle donne che portano alla luce le loro madri e sorelle rimaste invisibili, nascoste dalla storiografia patriarcale.
I nove fili, dunque… (pp. 318-325).

Il primo è quello del “mito, la prova immateriale. L’analisi accurata dei simboli e delle immagini che decorano ceramiche, tessuti, pareti di caverne, ecc. – soprattutto quando questa analisi è condotta da donne indigene, discendenti dei lignaggi matrilineari di quei luoghi – dimostra “come il mondo sia pieno di miti incredibilmente simili. (…) E che ricchezza di informazioni ci perdiamo se li ignoriamo…! I simboli di base sono quelli: ripetuti nel tempo e nello spazio, avranno sempre un senso contemporaneo”. Pensiamo ai miti dei primi libri della Bibbia ebraica…

Il secondo filo è il pregiudizio. Di quello nei confronti delle donne ho già detto. L’altro “pregiudizio persistente dei ricercatori contemporanei” è la convinzione che i popoli preistorici fossero brutali, violenti e ignoranti. “Le prove suggeriscono il contrario: in quelle società vigeva il senso di mutua cooperazione e la tutela dei diversamente abili”; le donne conoscevano e coltivavano piante medicinali per curare le malattie e non ci sono testimonianze di presunte attività violente. Sull’ignoranza, poi… l’arte rupestre incisa, dipinta e disegnata, attesta “la grande abilità e il talento di quei primi artisti”.

Terzo filo: le invenzioni preistoriche. Molte delle tecnologie preistoriche sono state creazioni femminili, “pensate per scopi pratici nella vita di tutti i giorni: l’uso di corde o fili (per la filatura, la tessitura, la trama delle stoffe, le stuoie e le ceste, le reti da pesca, ecc.); la ceramica (per la cucina, la conservazione e il trasporto); forme di contabilità e scrittura (vedi i gettoni di argilla cotta incisi); la medicina e le pratiche di guarigione; l’agricoltura; e i metodi per la conservazione di risorse naturali”. E gli indumenti: dalla cucitura di pelli di animali alla tessitura…

Quarto filo: il matrilignaggio. Quasi tutte le “figurine” dipinte o le statuette in argilla cruda, ceramica, pietra o legno, che emergono dagli scavi, sono rappresentazioni femminili e “parlano di divinità/spiriti/esseri ancestrali femminili di tutto il mondo, risalenti alla preistoria”. Abbiamo ben presente il lavoro formidabile fatto da Heide Goettner-Abendroth, che ci documenta, esattamente come questo testo, che “le società matrilineari erano diffuse ben prima che emergesse il patriarcato e ne esistono tutt’oggi, nonostante le pressioni delle colonizzazioni. Le comunità preistoriche erano incentrate sulle donne, che erano rispettate e condividevano con gli uomini status e responsabilità”. Patriarcato=dominio; matriarcato=condivisione: “Alla luce di questo passato, l’umanità può tornare a vivere in società armoniche. Come il patriarcato cominciò con l’avvento della storia, così può terminare con l’inizio di una nuova era”.

Il quinto filo è l’agricoltura: “probabilmente un’invenzione delle donne, dal momento che erano loro a raccogliere le risorse vegetali (…) e avevano sviluppato metodi di conservazione e cura di cereali, erbe, frutti e altre piante selvatiche per uso commestibile (a seconda della loro disponibilità), raccogliendo solo ciò che era necessario”. L’agricoltura è comparsa per la prima volta non in Europa, ma in Africa, nel Vicino Oriente e in Papua Nuova Guinea.

Sesto filo: la casa. Anche le diverse forme di edilizia erano diffuse in tutto il mondo: dopo le grotte, le capanne stagionali e quelle permanenti su palafitte. Era un lavoro molto duro e bisognava tener conto di diversi fattori, tra cui “le circostanze climatiche e sociali, la disponibilità di materiali, la durata dell’occupazione, il numero di persone da proteggere”.

Settimo filo: i linguaggi simbolici delle donne. “Anche le lingue segrete delle donne erano diffuse ovunque. (…) le donne tradizionalmente comunicavano attraverso il contenuto e/o la configurazione di immagini su ceramiche, stuoie, ceste e così via, o tramite i motivi presenti sulle stoffe intessute con il telaio. Entrambi i rituali implicavano la realizzazione di oggetti e le immagini incorporate trasmettevano informazioni ad altre donne, un sapere tramandato dalle nonne alle madri alle figlie”. Siccome questi compiti erano di loro competenza, “è possibile che solo loro comprendessero il significato di almeno alcuni disegni incisi su questi oggetti”.

Ottavo filo: la scrittura. La maggior parte dei ricercatori di sesso maschile non ne parla mai, ma sono diverse le prove dell’invenzione femminile di prime forme di scrittura: gettoni e sigilli d’argilla risalenti a 10 mila anni fa in Medio Oriente, che riportano segni speciali che verosimilmente servivano a registrare quantità e contenuto di vasi e contenitori per lo stoccaggio e la conservazione di prodotti alimentari; il “nü shu”, scrittura segreta elaborata dalle donne di un’area della Cina; “la prima scrittrice in cuneiforme fu la poetessa sumera Enheduanna, i cui inni e poesie erano molto famosi”. (in Inanna. Signora dal Cuore Immenso, Venexia 2009, gli inni scritti da Enheduanna).

Nono filo: gli effetti della colonizzazione. Qui parliamo della colonizzazione indoeuropea, che ha avuto “effetti drammatici sui popoli dei mondi nascosti e dei mondi nuovi, soprattutto sulle donne”. Le donne “si prendevano cura del paese”, non solo delle famiglie e dei loro piccoli clan, ma anche del benessere delle foreste, del territorio, dei fiumi, dei laghi e delle coste… provvedevano al cibo e ai medicinali, inventavano strumenti utili alle necessità quotidiane… La colonizzazione patriarcale ha fatto perdere loro quasi tutte queste competenze, riducendole in “povertà e sottomissione o schiavitù”.

Il libro termina consegnandoci un messaggio di fiducia e speranza, com’è giusto e inevitabile parlando delle donne, la metà più forte e tosta dell’umanità: il patriarcato non ha potuto cancellare definitivamente il tessuto resistente e colorato che le donne preistoriche hanno iniziato e che le donne femministe di oggi stanno riprendendo a tessere “affinché la nostra eredità preistorica diventi nota a tutte e a tutti. (…) Le donne possono rivelare di nuovo una divinità femminile, la dea – il principio femminile – e ricostruire quell’esistenza pacifica e dinamica. Poi, quando l’intricato motivo intessuto sarà stato completamente spiegato, le immagini dai colori brillanti mostreranno un nuovo, armonico insieme, un mondo di uguaglianza e di pace”.

Beppe Pavan – gennaio 2020