di Giulia Goggi
Fossa è un sito in provincia de L’Aquila, generalmente riferito alla popolazione sabellica dei Vestini, le cui prime testimonianze si hanno nella metà del III secolo a. C. grazie ad una legenda monetale in cui compare VES in una serie di aes grave adottata anche in altri centri del versante adriatico[1]. La necropoli si trova nella conca aquilana sulle rive settentrionali del fiume Aterno, una pianura alluvionale che ha portato, nel corso degli anni, alla formazione di un interro spesso più di tre metri tale da consentire un perfetto mantenimento delle sepolture. Le prime tracce di frequentazione risalgono all’età del Bronzo (1700-1350): a questo periodo sono attribuiti diversi frammenti di vasellame in impasto rinvenuto sporadicamente nell’area di scavo.
L’insediamento a cui va riferita la necropoli, in uso durante l’età del Ferro, si trova a Monte del Cerro[2]. Si sono riscontrate diverse tipologie tombali: tombe a circolo con crepidine (ossia basamenti) di pietre; tombe a tumulo di pietra senza delimitazione o solamente abbozzata; tombe a fossa poco profonda con o senza pietre; tombe a fossa infantili con protezione lignea, con deposizione del defunto in coppi; fosse semplici, fosse bordate di pietre, oppure con cassone.
Per comprendere il costume delle donne di Fossa nel periodo chiamato Orientalizzante (tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del VI a.C.), i corredi provenienti dalle sepolture sono delle testimonianze importanti: essendo le tombe dei contesti “chiusi” (i corredi non vengono più maneggiati una volta chiusa la camera sepolcrale) a meno di eventuali e (purtroppo) piuttosto frequenti violazioni nelle epoche successive, grazie a questi oggetti siamo in grado di comprendere o almeno immaginare quale poteva essere il modo di decorare il proprio corpo delle donne di ceto medio-alto o altissimo di Fossa in quel periodo.
Vaghi (grani) e pendenti sono indicatori della presenza di collane, spesso in bronzo ma anche esemplari in ambra (tombe 198, 36, 47), in pasta vitrea (tomba 141), in ferro (tomba 373); in alcuni casi sono stati trovati anche dei chiodini in ferro attribuiti al fissaggio o alla decorazione del pendaglio (tomba 47). Osservando la datazione (fine VIII secolo per le tombe 198 e 141; prima metà del VII e fine VII-inizio VI secolo rispettivamente per le tombe 36 e 47 e 373), si potrebbe pensare ad una preferenza per i materiali più semplici per le epoche più recenti, ma non si può trascurare l’eventualità di scelte personali.
Queste sepolture risultano abbastanza ricche di materiali, ad eccezione della tomba 36 che però presenta una certa quantità di vaghi in bronzo e in ambra di diverse forme[3]; inoltre qui, sotto il cranio della defunta, sono state trovate una spirale ferma-trecce in ferro e un elemento in ferro a sezione appiattita: quest’ultimo potrebbe essere interpretato come ciò che resta di un diadema, secondo un costume riconosciuto per la tomba 9 della vicina Loreto Aprutino datata tra fine VII-inizio VI secolo a. C.[4].
É attestata anche una certa varietà nelle fibule: quelle trovate all’altezza del femore o tra le lombari potevano forse drappeggiare o fissare la gonna o la sua decorazione all’abito, quelle trovate in corrispondenza delle spalle fissavano probabilmente un mantello, quelle rinvenute sul petto oltre a chiudere l’abito e la scollatura potevano sostenere un gioiello (come dimostrerebbero i resti di ageminatura in bronzo dell’esemplare della tomba 36).
E anche resti di cinture e cinturoni: generalmente placche a pallottole o ganci ad omega: questi ultimi (insieme a dei chiodini) erano funzionali al fissaggio di cuoio o stoffa che costituivano la base dell’accessorio. Dalle tombe 47, 139, 334, 373 provengono cinturoni a pallottole riportate; nel caso della tomba 198 si è in presenza di un cinturone a lamina rettangolare decorata a sbalzo, nella tomba 387 si trova, invece, un cinturone a lamina decorata a sbalzo[5]. Secondo le ricerche[6] l’uso dei cinturoni a Fossa inizia dalla metà VIII secolo a. C. ma si consolida in Età Orientalizzante. Il tipo di cinturone rinvenuto nella tomba 198 è definito da Raffaella Papi “a placche snodate”[7]. Il cinturone “a pallottole riportate”, altrimenti detto “tipo Capena”, è costituito da una fascia rettangolare di cuoio con bullette ornamentali applicate e placche terminali di bronzo traforate o piene; il nome stesso indica una provenienza tirrenica, interpretata come una produzione d’ispirazione capenate.
Sono presenti alcune armille (bracciali) e anelli in bronzo o in ferro, entrambi di fattura semplice o con i capi sovrapposti; la tomba 141 (infantile) restituisce alcuni anelli digitali con spirali a tre avvolgimenti di cui uno decorato a trattini incisi (questa sepoltura è piuttosto singolare perché presenta un corredo abbastanza ricco con al suo interno vaghi in pasta vitrea). Il rinvenimento di un anello di sospensione, del diametro di circa 3 cm, in corrispondenza del bacino dalla tomba 139[8] (che apparteneva ad una donna tra i 20 e i 30 anni) datata tra fine VII-inizi VI secolo a. C. può far pensare ad un suo utilizzo per appendere al corpo un elemento decorativo a delle fibule, forse dei pendagli o un collegamento tra una fibula all’altezza del petto o del diaframma e il cinturone posto sul bacino.
È possibile che i vaghi, pendenti e spiralette in metallo rinvenuti all’altezza delle gambe impreziosissero gli abiti essendo probabilmente cuciti alla stoffa.
Le spirali ferma-trecce in prossimità del capo possono far ipotizzare che l’abitudine fosse quella di raccogliere i capelli in una lunga treccia, o due trecce – se ci ispiriamo alla già citata ricostruzione della tomba 9 di Loreto Aprutino.
Un’importante documentazione iconografica è data dalla “Dama di Capestrano”: un frammento di torso femminile scolpito nel calcare e rinvenuto sotto la testa del Guerriero di Capestrano, con il quale condivide verosimilmente la datazione al VI secolo a. C. Nonostante la frammentarietà della statua, gli archeologi e le archeologhe sono riusciti ad ipotizzare che avesse il braccio sinistro sollevato verso il corpo nell’atto di stringere fra le dita il pendaglio della collana, mentre il braccio destro era verosimilmente lasciato cadere fino a piegarsi in corrispondenza della vita[9].
La donna raffigurata nella statua indossava una veste probabilmente leggera, seno busto e braccia erano coperte da un corpetto dalle maniche lunghe e lungo fino alla vita. Il corpetto era decorato nella parte superiore e in quella inferiore e sui bordi delle maniche da una banda in rilievo probabilmente di colore rosso; questa è ripresa anche nelle spalline che ancorano il corpetto e alle quali sono fissate due grandi fibule ad arco serpeggiante decorate da pendagli trapezoidali anch’essi rossi; rosso è anche l’ornamento che la dama porta al collo, forse un riferimento all’uso dell’ambra.
In corrispondenza delle scapole il corpetto è coperto da un elemento quadrangolare sul quale sembra ricadere una lunga treccia. Anche se gli arti inferiori sono mancanti, in questo caso è stato ipotizzato che fossero coperti da una lunga gonna di cui è stato individuato il lembo superiore sulla schiena. I capelli erano raccolti e coperti da un velo che si allargava sulle spalle.
Le ipotesi fatte sull’abito della Dama di Capestrano sono archeologicamente dimostrate dai rinvenimenti della necropoli di Farina-Cardito di Loreto Aprutino, in particolare dalla tomba 9. Per il costume di questa sepoltura è stato ipotizzato un costume composto da un velo sormontato da un diadema in ferro decorato da 13 castoni in ambra. Probabilmente gli abiti indossati erano quelli da parata, impreziositi dall’intera parure di gioielli che la defunta possedeva, a testimonianza della ricchezza della donna e della sua famiglia.
Perché è utile comprendere la moda di Fossa in età Orientalizzante? Ci aiuta a capire molto sullo stile di vita di queste donne e sul loro ipotetico status. In ambiente vestino il corredo ceramico non sembra essere particolarmente articolato. Si è supposto che il motivo di questo fenomeno fosse dovuto al fatto che il ruolo delle donne era più chiuso e umile e che non ricoprissero ruoli sociali di spicco come invece avveniva nelle altre aree[10]. In Etruria, ad esempio, nel periodo orientalizzante si ritiene che la donna ricoprisse il ruolo di “capostipite e garante della continuità del gruppo e della stirpe, nell’ambito di un probabile sistema di discendenza bilineare, per alcune donne dell’aristocrazia depositarie di particolari poteri e prerogative”[11], in spazi che vanno ben al di là del solo ambiente domestico e che riguardano il sacro e i culti.
Anna Maria Bietti Sestrieri in un suo contributo uscito nel 2009 valorizza i ruoli di potere femminili in ambito sacrale e nella produzione della ceramica analizzando la necropoli di Osteria dell’Osa per il periodo laziale II (fine X-IX secolo a. C.), dove le ipotesi in campo archeologico sono state affiancate da un’attenta analisi antropologica. Secondo la studiosa, è possibile individuare una serie di prerogative come chiara manifestazione di potere: per esempio alcune specificità nel trattamento del corpo, la presenza nel corredo ceramico di oggetti con valenza rituale o di attributi come il coltello da carne (strumento connesso al sacrificio e all’offerta alla divinità oltre che ovviamente alla divisione delle carni). Questo ha permesso di ipotizzare che le donne deposte in queste sepolture fossero delle sacerdotesse[12]. Un’importanza sociale attribuita alle donne sembra essere riconosciuta anche in Omero, come afferma anche Momolina Marconi: “Così la vita sociale in Omero, e mi richiamo agli studi preziosi del Patroni, continua per consuetudine a riconoscere la superiorità della donna, anche della Donna con la maiuscola […]”[13]. Non è presumibilmente un riferimento alle Amazzoni, dato che non sembra che esistessero comunità di sole donne dedite alla guerra[14].
Sembra quindi difficile pensare ad un ruolo più marginale per le donne di Fossa alla luce di quanto appena detto, e dei contatti e delle influenze culturali che avvenivano tra le varie comunità in quei secoli; anche se non bisogna dimenticare che ogni gruppo aveva le sue abitudine e le sue tradizioni, le proprie prassi e regole in termini di socialità.
Note
[1] Ezio Mattiocco – Centri fortificati vestini – Teramo 1986 – p. 9.
[2] Vincenzo D’Ercole – “La Protostoria nella Piana de’ L’Aquila alla luce delle ultime scoperte” – in Vincenzo D’Ercole, Roberta Cairoli (a cura di) – Archeologia in Abruzzo. Storia di un metanodotto tra industria e cultura – Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo – Tarquinia 1998 – pp. 13-22.
[3] Vincenzo D’Ercole e Enrico Benelli – La necropoli di Fossa. I corredi orientalizzanti e arcaici – Celano 2004 – p. 20.
[4] Nuccia Negroni Catacchio – “Le vesti suntuose” – in AA. VV. – Scripta Praehistorica in honorem Biba Teržan, Ljubljana – 2007 – p. 545; Andrea Staffa – “Vestini Trasmontani” – in Luisa Franchi Dall’Orto (a cura di) – Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini – Chieti 2010 – p. 17.
[5] Vincenzo D’Ercole e Enrico Benelli – La necropoli di Fossa. I corredi orientalizzanti e arcaici – Celano 2004 – p.160.
[6] Vincenzo D’Ercole, Serena Cosentino e Gianfranco Mieli – La necropoli di Fossa. Le testimonianze più antiche – Celano – 2001.
[7] Raffaella Papi – “Villanoviano in Abruzzo? Nota preliminare sui cinturoni femminili abruzzesi di bronzo laminato” – in Domenico Caiazza (a cura di) – Safinim. Studi in onore di Adriano La Regina – Pedimonte Matese 2004 – pp. 95.
[8] Vincenzo D’Ercole e Enrico Benelli – La necropoli di Fossa. I corredi orientalizzanti e arcaici – Celano 2004 – p. 55;
[9] Nuccia Negroni Catacchio – “Le vesti suntuose” – in AA. VV. – Scripta Praehistorica in honorem Biba Teržan, Ljubljana – 2007 – pp. 539-540.
[10] Nuccia Negroni Catacchio – “Le suntuose coscienziose” – in AA. VV. – Scripta Praehistorica in honorem Biba Teržan, Ljubljana – 2007 – p. 545.
[11] Mariassunta Cuozzo e Alessandro Guidi – Archeologia delle identità e delle differenze – Roma 2013 – p. 87.
[12] Anna Maria Bietti Sestieri – “Domi mansit, lanam fecit: Era tutto? Status sociale e ruoli delle donne nelle prime comunità laziali (IIth-9th B.C.)” – in Journal of Mediterranean Archaeology – 21 – I – 2009 – pp. 133-159.
[13] Momolina Marconi – “Da Circe a Morgana” – in Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e lettere 1940-41 – raccolto in A. De Nardis (a cura di) – Da Circe a Morgana. Scritti di Momolina Marconi – Roma 2009.
[14] Jeannine Davis-Kimball – Donne Guerriere. Le sciamane della via della seta – prima ed. 2002 – Roma 2009.
Giulia Goggi – 2022
Bibliografia
- Vincenzo D’Ercole (a cura di) – I Vestini tra L’Aquila e Onna – L’Aquila 2013;
- Ezio Mattiocco – Centri fortificati vestini – Teramo 1986;
- Vincenzo D’Ercole – “La Protostoria nella Piana de’ L’Aquila alla luce delle ultime scoperte” – in Vincenzo D’Ercole, Roberta Cairoli (a cura di) – Archeologia in Abruzzo. Storia di un metanodotto tra industria e cultura –Soprintendenza Archeologica dell’Abruzzo – Tarquinia 1998;
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- Raffaella Papi – “Villanoviano in Abruzzo? Nota preliminare sui cinturoni femminili abruzzesi di bronzo laminato” – in Domenico Caiazza (a cura di) – Safinim. Studi in onore di Adriano La Regina – Pedimonte Matese 2004
- Nuccia Negroni Catacchio – “Le suntuose coscienziose” – in AA. VV. – Scripta Praehistorica e honorem Biba Teržan – Lubiana 2007;
- Mariassunta Cuozzo e Alessandro Guidi – Archeologia delle identità e delle differenze – Roma 2013;
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- Jeannine Davis-Kimball – Donne Guerriere. Le sciamane della via della seta – Roma 2009.