di Alessandra de Nardis
Vlakno è una piccola grotta ubicata nella zona centrale dell’isola di Dugi otok (Isola Lunga) in Croazia; posizionata tra gli insediamenti di Luka e Savarcon, nella parte più stretta dell’isola ad una altezza di ca. 50 metri sul livello del mare, si presenta come una piccola sala di appena 40mq di superficie abitabile, un ingresso rivolto sul lato assolato di sud-est e una sorgente d’acqua che era presente in passato; le caratteristiche di questo luogo lo rendavano probabilamente adatto ad una frequentazione per tutto l’anno ad un ristretto gruppo di cacciatori-raccoglitori durante il Paleolitico superiore e il Mesolitico.
La continua attività chiaramente riscontrabile dalla stratigrafia può essere fatta risalire a 19.500 anni fa, il che rende Vlakno un luogo prezioso per studiare la transizione dal Pleistocene all’Olocene e gli adattamenti delle comunità epigravettiane dell’Adriatico orientale ai grandi cambiamenti climatici e ambientali. I ritovamenti mostrano la graduale transizione verso la cultura mesolitica con una tradizione epigravettiana fortemente espressa.
I ricercatori del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Zara, con l’aiuto di un ampio team in cui si sono alternati studenti di archeologia e studiosi di varie istituzioni europee, hanno condotto nella grotta 15 campagne di scavo, raggiungendo gli strati più antichi posti a 5 metri di profondità ed è qui che hanno trovato i reperti databili fino a 19.500 anni fa.
L’isola è stata abitata fin dai tempi remoti, ne testimoniano le scoperte archeologiche del campo di Krševanje, di Veli Rat e appunto della grotta di Vlakno dove nel 2011 è stato rinvenuto uno scheletro appartenente a un individuo rinominato dagli archeologi Šime, che presentava una corporatura robusta, una altezza di circa 165 cm e con un’età approssimativa di 30 – 40 anni. Šime pare che morì in modo non violento; le sue ossa sono state datate al primo mesolitico (11 mila anni fa); sull’isola si trovano anche i resti delle dimore illiriche (Omišenjak, Koženjak, Veli Brčastac), con o senza le caratteristiche delle fortificazioni (Vrtlaci), numerosi tumuli (Gominjak, il campo di Čuh) e un cimetero in pianura (Dugo polje).
Nella grotta sono stati rinvenuti anche ciottoli incisi che hanno offerto l’opportunità di comprendere il simbolismo delle comunità preistoriche che abitavano tutta l’area adriatica.
Attualmente la ricerca si è focalizzata sugli strati del Paleolitico Superiore, poco prima della grande eruzione vulcanica dei Campi Flegrei nel Golfo di Napoli, avvenuta 14.900 anni fa, e che ha lasciato il segno in quest’area nella forma di uno strato di cenere vulcanica che nella grotta è spesso dieci centimetri.
Alcuni oggetti emersi nell’ultima campagna di scavo: la statuetta femminile chiamata Lili, ciottoli dipinti in ocra rossa, frammento d’osso decorato e frammento di ceramica incisa. (ph. Dario Vujević, Emanuela Cristiani)
Questo è il momento immediatamente successivo al picco dell’ultima era glaciale, il periodo più freddo della storia del clima recente, quando l’intera area adriatica appariva significativamente diversa da oggi. A causa della ritenzione idrica nei ghiacciai dell’emisfero settentrionale, il livello del mare scese di oltre 100 metri.
Il mare Adriatico era ridotto ad un bacino semichiuso mentre la parte settentrionale del mare odierno era una vasta valle del fiume Po. La grotta si trovava in alto sopra l’area circostante, e l’intera Dugi otok aveva la forma di una cresta alta da 100 a 400 metri sopra le valli di allora. Nonostante le fredde condizioni dell’era glaciale, il vasto paesaggio circondato dalle catene montuose delle Alpi e delle Dinaridi e imbevuto delle acque del fiume Po era una zona protetta e un’area adatta per piante e animali, oltre che per le comunità di cacciatori raccoglitrici del Paleolitico.
Numerosi ritrovamenti di ossa di grandi animali, come cervi, cavalli selvaggi e bovini selvatici, suggeriscono che la caccia fosse la principale fonte di cibo e le abilità venatorie degli abitanti paleolitici della grotta, oltre ai resti del loro pescato, sono testimoniate anche da numerosi resti di armi da caccia e strumenti per la lavorazione della preda catturata con il ritrovamento di piccole e grandi punte di frecce in selce rinvenuti tra migliaia di frammenti di selce.
Un posto speciale nell’inventario della caccia di queste comunità è occupato da due arpioni in osso, che rappresentano un reperto eccezionale. Nell’Europa meridionale e sudorientale, gli arpioni sono estremamente rari fino al Mesolitico. In Croazia sono stati trovati nel sito di Šandalja II vicino a Pola (10.800 anni fa), e gli arpioni delle fasi più recenti del sito di Badanj vicino a Stolac in BiH (da 12.500 a 10.500 anni prima dell’attuale) provengono dalla fine del Paleolitico superiore. Oltre alla rarità di tali reperti, l’età degli arpioni della grotta di Vlakno datati a 15.000 anni ne fa gli esempi più antichi di questo tipo di attrezzo nella più ampia area adriatica.
Ritrovati anche ornamenti personali negli strati mesolitici realizzati con conchiglie di mare forate, e da denti di cervo che seguono i metodi ornamentali simbolici comune a molte popolazioni di cacciatori-raccoglitori.
Nell’intera gamma dei reperti ha il suo significato pienamente simbolico la statuetta femminile ribattezzata dagli scopritori Lili, realizzata in osso, su cui spiccano decorazioni a tratteggi e forata probabilmente per essere indossata come ciondolo.
Fonte: Dario Vujevic, ZaraUniversity of Zadar, Department of Archaeology, Zadar, Croatia – https://vlakno.net/
Alessandra de Nardis, 24 maggio 2023