di Alessandra de Nardis
Tempo fa sui canali di divulgazione del web è apparso un articolo della dottoressa Izzy Wisher ricercatrice presso il dipartimento di Archeologia della Durham University nel Regno Unito, l’articolo tratta di un interessante ritrovamento avvenuto a Saint-Germain-La-Rivière nella Francia sud-occidentale dove è stata rinvenuta una sepoltura relativa al Medio Magdaleniano (link all’articolo).
Scoperta nel 1934 la tomba ospitava lo scheletro di una donna sulla trentina, deposta in posizione fetale, riccamente adornata e completamente rivestita di ocra rossa. Lo scheletro è stato solo recentemente datato e risulta risalire a 15.780 ± 200 anni fa.
Questa donna sepolta con grande onore dai membri della sua comunità è adornata con una collana composta da 72 canini di cervo rosso, appartenenti a circa 63 capi differenti, perforati per essere usati come perline; vi sono incisi 32 segni e nei solchi ancora tracce di ocra; non c’è un segno uguale all’altro.
Guardando queste incisioni, realizzate con grande cura non si riesce a trattenere l’emozione: cosa rappresentano quei simboli? Sono dei nomi? Un’invocazione? Un calendario? Certamente significati comprensibili a tutto il gruppo a cui questa donna apparteneva. Siamo nel paleolitico non esistono decorazioni fine a se stesse e anche le forme geometriche hanno un significato simbolico; per fare un confronto con la scrittura sumera, la più antica che conosciamo la parola che indica “divinità” è rappresentata da linee che si incrociano fino a formare un asterisco.
Scrive Dorothy Cameron nel suo Simboli di vita e di morte recentemente pubblicato dalla collana Le Civette Saggi:
“Nel nostro tempo segnato dal razionalismo non è immediato accettare che una semplice forma geometrica possa racchiudere chissà quali significati, ma è importante ricordare che ci troviamo davanti a una cultura che vedeva relazioni palpabili tra tutte le espressioni dei fenomeni naturali e per la quale tutta l’arte era sacra.”
Meglio dire che non vi era differenza di significato tra arte, sacro e mondo reale. Questo è un tempo in cui gli animali che popolano la Terra e che forniscono cibo, protezione e materia prima per la creazione di utensili, ma anche pericolo e morte impersonificano la Dea in ogni sua manifestazione; essi animano i sui poteri di vita, morte e rinascita trascendendoli per essere comprensibili agli esseri umani. Il cervo è da migliaia di anni icona fra le più ricorrenti in ambito spirituale, essa incarna molti significati ancestrali e, per continuare a citare Dorothy Cameron:
“i simboli si rafforzano se contengono più significati.”
Il cervo è un animale che modifica molto il suo aspetto in funzione delle stagioni e il mantello estivo si presenta con una tonalità bruno-rossiccio piuttosto uniforme, come se l’animale si ricoprisse di ocra, colore che era associato al sangue e alla vita dalle popolazioni di umani che lo rappresentavano con grande attenzione di particolari. Altra sua caratteristica è la perdita dei palchi che come rami vecchi cadono per ricrescere più grandi e più forti man mano che l’animale cresce.
Il cervo doveva apparire capace di rigenerazione, in grado di risorgere più forte ad ogni stagione estiva. Una magia a cui gli esseri umani guardavano probabilmente con grande venerazione e desiderio di trasmutazione.
Studi recenti dimostrano che nel Magdaleniano, a causa dell’ambiente steppico freddo e secco, i cervi sono rari, addirittura assenti nella Francia sud-occidentale. I denti devono essere stati acquisiti attraverso scambi o durante lunghi viaggi e dunque avevano un grande valore.
Sappiamo che la storia è considerata tale a partire dalla nascita della scrittura delle prime grandi civiltà e certamente questo oggetto non porta con sé una vera e propria scrittura ma senz’altro è una prova della capacità di coesione, aggregazione e cooperazione, di desiderio di interagire, insomma di comunicare; saper creare rapporti sociali significativi è un segnale potente di civiltà.
Ogni grafema presente sui denti di cervo è differente dall’altro, in altre parole questi segni non sono semplici scarabocchi astratti; certamente non sono un linguaggio così come lo intendiamo noi oggi ma un sistema per codificare e trasmettere informazioni, dunque un primo passo nello sviluppo della scrittura.
Detto questo decifrare il messaggio sarà probabilmente impossibile se non conosciamo il significato simbolico attribuito ai grafemi e soprattutto se non conosciamo il significato attribuito da questo gruppo umano agli animali. Che questo codice è su denti di cervo infatti non può essere casuale se pensiamo a quanto questo animale è rappresentato nelle pitture delle grotte appartenenti allo stesso periodo; Altamira, Tito Bustillo, Font-de-Gaume, Lascaux, Niaux, Chauvet: tutta la grande arte rupestre lo rappresenta. Nel monile c’è lo stesso uso di segni che ritroviamo in queste grotte. Nelle pitture rupestri, anche quelle più astratte questo maestoso animale è facilmente riconoscibile in tutte le sue varianti di specie grazie ai suoi palchi di corna, quando queste addirittura adornano la testa di sciamane e sciamani.
Parliamo di un animale sacro per eccellenza, potente e maestosa entità spirituale che popola le grotte paleolitiche. I miti legati al cervo sono arrivati fino a noi e lo collegano all’espressione della regalità, al rinnovamento ciclico della vita, alla rinascita e anche all’iniziazione; un culto la cui prima versione si perde nella notte dei tempi fino a arrivare all’immaginario della cerva che appare nella letteratura e nell’arte medioevale, dal ciclo bretone e quello legato al Graal, dove per tre secoli il cervo, o la cerva, compaiono come segni di Cristo o della Chiesa, alle tradizioni di sant’Eustachio e di sant’Uberto, fino a collegarsi alle ultime tracce della mitologia di Diana, fino alla simbologia dell’alchimia, in cui il cervo appare come segno del Mercurio sfuggente.
Difficile credere che gli esseri umani che hanno saputo dipingere le grandi grotte del Paleolitico si limitassero a semplici incisioni su dei canini di cervo per puro ornamento. Che non abbiano invece voluto rendere evidente con un messaggio comprensibile a tutti ciò che quella donna era (noi oggi diremmo rappresentava) per il gruppo umano a cui essa apparteneva?
Alessandra de Nardis, dicembre 2020