Il reperto si presenta come un oggetto in argilla di forma conica, cavo all’interno, sulla cui estremità si evidenzia una prominenza caratterizzata da dei minuscoli fori non passanti; le superfici, sia quella interna che quella esterna, sono lisciate e i bordi sono arrotondati. La forma ricorda chiaramente un seno femminile, difficile dire se quest’oggetto avesse una funzione pratica o prettamente simbolica; l’ipotesi che fosse un piccolo contenitore sembra poco probabile, come anche quella che fosse un coperchio, data la scarsa funzionalità dell’estremità per la presa. Le analisi chimiche effettuate sul reperto non hanno rilevato la presenza di tracce organiche al suo interno, anche se bisogna sottolineare che la superficie si presentava molto alterata dalla matrice calcarea del deposito in cui è stato rinvenuto.
Ad oggi non sono documentati oggetti simili in ambito italiano; in alcuni siti neolitici in Svizzera e in Germania sono stati ritrovati dei reperti similari, alcuni con dei motivi dipinti, ma di dimensioni maggiori e non cavi internamente.
Nel nostro caso, il contesto di rinvenimento del seno fittile apre un interessante scenario interpretativo: il reperto è infatti stato trovato sul livello di fondo di un forno, facente parte di un’area di circa 600 mq dove sono stati scoperti in totale 23 forni. Le strutture sono state realizzate scavando delle fosse di forma emisferica, con un diametro medio di circa 1,80 m., che venivano successivamente consolidate con il fuoco per renderle resistenti; sette forni sono stati rinvenuti integri, mentre i restanti sono stati danneggiati sia dall’erosione naturale che dalle attività antropiche. All’interno dei forni molto di rado è stato ritrovato del materiale archeologico, che invece è stato rinvenuto diffusamente nelle grandi fosse di fronte ai forni (resti litici, ossei e faunistici di varia natura). In alcuni casi, dentro i forni sono state rinvenute cariossidi di orzo carbonizzate, dato che suggerisce che lì venivano tostate o asciugate per poterle poi consumare o preparare al successivo stoccaggio. È molto probabile che i forni venissero adoperati anche per altri utilizzi come il trattamento e la cottura dei cibi, come pure l’essicazione della ceramica e il trattamento termico della selce.
All’interno di due forni sono state ritrovate tre sepolture di individui adulti, di cui due maschili; un’altra sepoltura, di una donna, è stata invece rinvenuta in una zona centrale del sito. Il cambio di destinazione d’uso è una pratica frequente nell’ambito delle culture neolitiche e, come in questo caso, probabilmente esprimeva il labile confine che doveva esistere tra sfera terrena e ultraterrena e la volontà di sancirne l’importanza e l’intima connessione. Come per le sepolture, anche la presenza del seno fittile all’interno di un forno sicuramente rispondeva ad una precisa simbologia: il seno incarna l’idea di fonte di nutrimento e la sua associazione ad un luogo trasformativo come il forno, dove venivano preparati e trattati elementi fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo (cereali, cibo, ceramica, selce), forse voleva sottolinearne l’intrinseca similarità e l’unione simbolica come fonti di vita. Un parallelo concettuale può essere fatto anche con l’usanza, riscontrata in molti degli stanziamenti neolitici europei, di porre statuine femminili in prossimità dei forni e dei luoghi dove si preparava il grano, a sottolineare il legame che doveva esistere, agli occhi delle comunità agricole, tra il grano e l’essere femminile, espressioni della ciclicità della natura, come anche tra il forno e l’essere femminile, a loro volta simboli del potere trasformativo e rigenerativo della natura.
Dagli scavi effettuati sino ad oggi non emerge la presenza di un abitato nelle immediate vicinanze del sito di Fosso Fontanaccia ma i numerosi ritrovamenti in superficie di materiali vari lungo tutta l’area, fa ipotizzare un’intensa frequentazione da parte di una o più comunità che vivevano nel circondario.
Note storiche
Il sito, individuato negli anni ’80 del secolo scorso, era stato oggetto di saggi di scavo da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche nel 1999 e nel 2006. Nel 2011 gli scavi sono stati ripresi dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma2, in regime di concessione MIBAC, e sono stati condotti in maniera estensiva fino al 2015.
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