Messaggi femminili dalla preistoria dell’arte. Le artiste di Grotta Chauvet e Grotta dei Cervi

Messaggi femminili dalla preistoria dell’arte. Le artiste di Grotta Chauvet e Grotta dei Cervi
Grotta Chauvet impronte di mani

di Maria Laura Leone

Tratto da Marija Gimbutas  Vent’anni di studio sulla Dea – Atti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

Cosa deduciamo quando l’arte e le forme delle pareti di due imponenti santuari preistorici, come grotta Chauvet nell’Ardeche in Francia e Grotta dei Cervi a Porto Badisco in Italia, richiamano in larga misura fra gli altri, simbolismi femminili? Certamente che l’universo femminile è stato per lungo tempo interconnesso ai dispositivi sacri delle caverne ornate, e forse che tali simbolismi furono diretta espressione di donne artiste ed esponenti della compagine spirituale di allora. A suggerirlo non sono solo alcuni studi sulle impronte delle mani ma anche i risultati delle indagini che qui espongo nel confronto tra Chauvet e Grotta dei Cervi. I due sistemi artistici, pur se agli antipodi dell’epopea delle caverne ornate, nascondono importanti testimonianze della simbologia in esame.

Gli studi sulle impronte delle mani

Accade che, dopo oltre un secolo di ricerche sull’arte preistorica, prendono piede ricostruzioni di ampia veduta sul ruolo femminile nel Paleolitico e che tra gli artisti delle caverne ci siano state anche delle donne. Nel dicembre del 2012, presso il Museo Archeologico di Madrid, è stata inaugurata una mostra intitolata “Arte sin Artistas. Una mirada al Paleolìtico”: la locandina e la copertina del catalogo riportavano l’immagine di una pittrice intenta a realizzare i superbi bisonti di Altamira. Una donna-artista, dunque, protagonista unica di quell’evento “ancestrale” che ha prodotto alcune tra le più belle pitture dell’umanità. Ma la giovane pittrice è anche madre, infatti è accompagnata da  una bambina e stringe al petto un neonato nel porte-bébé. Tale ambientazione è una novità che anticipa una visione diversa sull’arte dei primordi e, se pur vagamente New Age o addirittura sessista, apre uno squarcio su una realtà prossima al vero, specie se saranno confermati e affinati gli studi sulle impronte delle mani. Dal 2004, infatti, è iniziata una nuova fase di ricerche sulle impronte di mani lasciate in negativo (dette stencil) sui muri delle caverne, grazie ad un parametro identificativo stabilito alcuni anni prima dal biologo britannico John Manning. Quest’ultimo, con altri ricercatori, ha fatto scoperte sull’incidenza degli ormoni nei primi mesi di vita fetale, da cui risulta come il testosterone influenzi la lunghezza dell’anulare e gli estrogeni agiscano sullo sviluppo dell’indice. Oltre a ciò, Manning ha effettuato una lunga serie di misurazioni di mani e trovato un rapporto ricorrente tra la lunghezza dell’indice e dell’anulare su uomini e donne tra Europa e Caucaso. Su questi dati ha concluso che tendenzialmente nelle donne l’indice e l’anulare hanno lunghezze simili, mentre negli uomini l’anulare è solitamente più lungo dell’indice.

Nel 2004 Kevin Sharpe e Leslie Van Gelder, specialisti di tracciati digitali paleolitici, sono stati i primi a fare ricerche in tal senso, seguiti da Jean-Michel Chazin (ricercatore francese del CRNS) e da Dean Snow (docente della Pennsylvania State University). Da questi studi è emersa una significativa incidenza di mani femminili nelle caverne di Gargas, Peche-Merle El Castillo (esaminate da Dean Snow) e Gua Masri II nel Borneo (esaminate da Chazin). Se si considera che le impronte siano state anche “marchi di fabbrica”, firme di artisti e di coloro che ebbero un legame simbolico con le immagini sulle pareti, si può dedurre che l’arte delle caverne sia stata eseguita non solo anche da donne ma forse in prevalenza da queste. In particolare Chazin ha messo a punto un software, Kalimain, in collaborazione con Arnaud Noury, proprio basandolo sul rapporto 2Digital (indice) :4Digital (anulare) abbreviato 2D:4D o anche indice di Manning. Nel 2006, Nelson, Manning e Sinclair hanno pubblicato un articolo nel quale considerano positivi e promettenti i risultati degli studi sulle impronte paleolitiche ma aggiungono che il metodo 2D:4D, pur se utile, resta probabilistico e adatto essenzialmente alla misurazione delle mani, dalle cui grandezze si può trarre una statistica d’ordine sessuale.

Il metodo delle mani è una via da percorrere, almeno per risalire alla taglia e all’incidenza tipologica delle impronte ma resta, finora, un procedimento in più da associare ai risultati delle altre discipline, quali: paletnologia, etnologia, archeo-mitologia, archeo-psicologia, sociologia, ecc. Lo sforzo congiunto di queste produrrà risultati e identikit sempre più attendibili. Gli studi di etnologia e di sociologia, per esempio, stanno ricostruendo quei meccanismi sociali che potrebbero anche risalire ai Cro-Magnon. Ruoli, competenze, pratiche della contemplazione e della trascendenza che vedono le donne pienamente protagoniste nella vita sociale dei Clan con posizioni di rilievo come sciamane, curandere, artiste, cacciatrici, esperte di erbe, donne dell’incanto e altro. Non è impossibile che ciò sia avvenuto anche tra i Cro-Magnon, quando l’asilo era gratis e senza orari e le faccende quotidiane erano ben lontane dal tedio della nostra economia domestica.

L’ausilio delle scienze esatte come la statistica, la chimica e la fisica, lo studio del DNA invece stanno fornendo notevoli dettagli sulle datazioni e sulle inumazioni confermando un numero prevalente di donne sepolte in grotte e riparti con arte (Cap Blanc, Coussac, Balzi Rossi, Paglicci, Grotta delle Veneri, S. Maria di Agnano), seguite dai bambini, adolescenti e ragazzi (Coussac, La Madelaine, Balzi Rossi, Paglicci) e poi dagli uomini (Coussac, Villabruna, Arene Candide, Balzi Rossi). La grotta di Coussac è, in tal senso, la più interessante, scoperta nel 2000 è ancora protetta nella sua integrità paletnologica e, finora, ha restituito almeno sette sepolture datate a 25.000 anni fa. Le deposizioni furono effettuate dentro le cucce degli orsi spelei e l’esame del DNA ha rivelato i corpi di almeno un paio di neonati e un adolescente.
La frequentazione di giovanissimi individui è spesso attestata nelle caverne ornate, lo sappiamo sia dalle impronte delle manine che dalle orme dei piedi e proprio le due grotte qui in esame ne sono degne rappresentanti. Grotta dei Cervi contiene un centinaio di manine in positivo di bimbi di circa quattro anni, mentre a Grotta Chauvet si contano una ventina di orme di piedi di un bambino di otto anni (Graziosi P. 1980; AAVV 2010).

Grotta Chauvet e Grotta dei Cervi

Si può dire che Grotta Chauvet e Grotta dei Cervi a Porto Badisco racchiudano, cronologicamente, l’intero ciclo delle caverne ornate d’Europa, la prima risale a 34.000 anni P.E.C. e la seconda a 6.000 P.E.C. Ventottomila anni separano la loro arte, il loro culto, la loro liturgia.
Le pitture naturalistiche di Chauvet sono prevalentemente dedicate agli animali con un bestiario straordinario, ricco di felini e rinoceronti, bisonti, mammut, cavalli, megaceri e segni astratti (tra cui due pseudo-farfalle e un insettiforme, come avviene anche a Badisco), con impronte di  mani sia maschili che femminili.
Grotta dei Cervi, invece, ha una grafica astratto-geometrica di origine psichedelica, ermetica, confusa, enigmatica. Ciononostante, secondo la mia analisi, un analogo impianto ideativo e metafisico le accomuna. In entrambe, le pitture sono collocate in stretta relazione con le conformazioni rocciose, vale a dire presso muri con ondulazioni d’effetto che riproducono esseri umanoidi e fessure simili a genitali femminili. Se si esclude lo stile dell’arte, vari elementi simbolici risultano affini. Le due cavità sarebbero, pertanto, campioni di una concettualità preistorica ancora da approfondire, di due epoche diverse ma, evidentemente, connesse fra loro e appartenenti a universi oscuri, umidi e rocciosi, mai più sfruttati nella stessa misura artistica dopo la fine del Neolitico.
Quando ho studiato l’arte di Grotta dei Cervi è emerso che il punto più sacro e venerabile del sotterraneo, concentrato in fondo al corridoio centrale in due ambienti attigui (zona VIII e zona IX), è dedicato alla sfera del femminile (Leone, 2001, 2009). In questo punto aleggia non solo la pittura di una spiritella danzante, la stessa che continua a magnetizzare l’attenzione di chi la osserva (definita erroneamente lo stregone di Badisco), ma si trovano le uniche impronte di manine infantili e la presenza di incisioni pubiche. Oltre a ciò, l’unico pannello descrittivo qui presente, sembra evocare tematiche delle origini: due amanti che si baciano, un simbolo di accoppiamento (lingam-yoni), una farfalla antropomorfa, un’idoliforme che partorisce, una donna con un bucranio nella mano destra, due figure astrali. Vicinissimo a questo pannello, su una protuberanza rocciosa, ho individuato la presenza di due incisioni pubiche di tipo paleolitico. In questa Zona VIII manca il tema ricorrente del resto della grotta, un cacciatore itifallico intento a cacciare un cervo sacro conduttore di ierofanie. Non entro nello specifico di questa metafora, ma non va tralasciato che essa trattiene uno dei codici interpretativi dell’arte del sotterraneo (Leone, 2009). Le indicazioni femminili di questa sorta di gineceo continuano nella sala attigua, la Zona IX. Qui vi sono ben due, e forse tre, indicazioni pubiche dipinte ed una scena in cui un cacciatore punta la sua freccia su un cervo antropomorfo in stretta relazione semantica con una donna che sta per svettare verso l’alto. I riferimenti femminili di Grotta dei Cervi non terminano qui ma è il caso di passare in esame le peculiarità muliebri di Grotta Chauvet.
Inizialmente, mi sono interessata a Grotta Chauvet per l’eccezionalità della sua produzione artistica ma poi determinati suoi aspetti mi hanno fatto riscontrare insospettabili analogie con Grotta dei Cervi (Leone M. L. 2010 a-b, 2011). Anche qui, in fondo ad un ramo laterale della grotta, chiamata Sala del Fondo, è custodito un “gineceo”, insieme a un’impressionante parete dipinta.

Grotta di Chauvet

Qui sono concentrati i cinque triangoli pubici di tutta la grotta, compreso una singolarissima “venere” dipinta su un pendente. È deducibile che la grande parete abbia visto anche la mano artistica di una donna, sia per alcune sue tematiche, sia perché nel sotterraneo è realmente attestata l’impronta di una mano femminile. L’identificazione di questa mano e di un’altra di genere maschile, non è scaturita dall’applicazione dell’indice di Manning ma dalla taglia dei personaggi, dedotta anche dai gesti che avrebbero compiuto nel decorare un paio di pannelli col palmo delle loro mani (Baffier D. Feruglio V. 1998; AAVV  2010).
Tra le ondulazioni naturali della grande parete dipinta si possono ammirare leoni, bisonti, rinoceronti, cavalli e mammut che corrono dal fondo della grotta verso l’entrata, mentre sono stati associati alle suggestive forme della roccia. Insisto sulla questione delle forme della roccia poiché non si dà ancora la giusta importanza alla sua incidenza sul processo creativo dell’artista, un parametro che ritengo imprescindibile per la lettura dell’arte e che mi ha dato risultati sorprendenti nello studio di Grotta dei Cervi. Sulla sinistra della parete in questione, in prossimità dell’elenco dei rinoceronti multipli, il muro ha una strana plasticità e una particolare rientranza a forma di “M”, nella quale è dipinto un cavallo. Affianco, dopo un bisonte e un elefante, il muro forma un paio di occhi simili a quelli di un gufo (volatile inciso nella Sala Hillaire, precedente alla Sala del Fondo) più, verso il basso, una specie di bocca formata da una nicchia naturale con dentro il disegno di un rinoceronte. Più a destra la parete forma una grande rientranza triangolare con al centro un cavità oblunga simile ad una vagina. Ancora più a destra, la conformazione rocciosa delinea una gigantesca testa antropomorfa vista di profilo, con la fronte, la linea della testa (fornita di capigliatura o di un cappuccio), l’occhio (forse evidenziato con la stessa sostanza bruna che macchia una parte dei muri) il naso e il mento. Questa impressionante testa naturale è sul punto di passaggio verso la cosiddetta Sacrestia, la zona più recondita di tutto il sotterraneo. Altre conformazioni antropomorfe e umanoidi del tutto naturali e abbinate a dei pannelli pittorici sono presenti dentro Grotta dei Cervi (Leone M. L. 2009).

Grotta di Chauvet

La cosa interessante è che le pitture non invadono mai casualmente le forme naturali appena descritte, bensì le assecondano, le incorniciano o le sfruttano. Infatti il mento della testa gigantesca, formato da un pendente roccioso denominato (anche qui erroneamente) pannello dello Stregone, ospita il disegno di un essere composito formato da una venere, un bisonte e un felino o una leonessa (la taglia delle figure è prossima al vero).
Yanik Le Guillou ha studiato il pendente con un’attrezzatura telescopica che ha restituito la visione totale dello stesso. Da ciò ha scoperto che la venere era inizialmente isolata e solo successivamente, attraverso alcune cancellazioni, è stata connessa col felino e il bisonte. Quest’ultimo, grazie ad alcuni particolari poco leggibili, sarebbe di sesso maschile.
Della venere si vedono il bacino, il triangolo pubico e le gambe, del bisonte è presente la testa, la spalla e una zampa che, allo stesso tempo, è la gamba sinistra della donna. La leonessa, rappresentata solo con la testa e parte del collo, costituisce un prolungamento della donna-bisonte verso sinistra e mi sembra sia lo stesso felino antropomorfo dipinto nella vicina Sala Hillaire. Qui, infatti, esattamente nell’Alcova dei Leoni, c’è una leonessa che fuoriesce da un taglio nella roccia e in basso c’è una fessura di tipo vaginale dalla quale esce dell’acqua durante le piogge. Tutta l’alcova ha una forma che sembra richiamare un ventre materno. Non a caso questo punto è già stato dichiarato dagli studiosi come uno dei più sacri del sotterraneo, senza però rapportarlo alla simbologia qui esposta. È un punto certamente significativo che va ad anticipare la Galleria dei Megaceri, dove tre triangoli pubici annunciano lo spettacolo della teoria dei leoni e della venere-bisonte nel fondo. Un impianto ideativo topografico non dissimile da certi dispositivi simbolici che ritroviamo dentro Grotta dei Cervi.

Conclusioni

L’arte preistorica, tutta, ha profondi significati e notevole potere espressivo, ma quella prodotta in seno alle caverne è speciale, persino sconcertante, perché talvolta riporta espressioni impensate. Ed ha valori aggiunti rispetto a quella dedicata agli oggetti d’uso quotidiano. È più viscerale e strettamente connessa al luogo, al suo calore, alla sua umidità, alle forme delle pareti come anche alle sepolture ivi deposte e ai resti scheletrici. A tal proposito va evidenziato un aspetto poco chiaro del rapporto arte e sepolture. Non si capisce, infatti, in quale forma e misura siano esse legate. Questi luoghi, evidentemente, dovettero essere ultime dimore di personaggi speciali: sciamane, sacerdoti, curandere, accoliti, vittime di olocausti e magari anche di genitori speciali. Come la mamma di Ostuni, una gestante sepolta nella grotta di S. Maria di Agnano in Puglia, deposta con una mano sul ventre che trattiene ancora un bimbo mai nato. Fu trovata così, nella sua antica dimora, dopo venticinquemila anni, addormentata nella casa-grotta ora consacrata alla Madonna. Queste incidenze muliebri, impronte di mani, sepolture, forme pubiche, sono riprova della presenza diretta di protagoniste femminili. Evidentemente autrici, ideatrici, promotrici di un universo religioso ancora da ricostruire. Con questi dati non possiamo esclude che la donna abbia avuto un ruolo diretto con gli enunciati arcani delle caverne, con i miti, gli animali e l’ultraterreno. Che essa stessa fu autrice di quel prototipo che chiamiamo “veneri”; i simulacri della regina, della madre, della Signora pingue di bellezza, di un anello di congiunzione tra umani e fiere. Ciononostante, per anni, tutto ciò è stato considerato pura ideazione maschile ma se si continua con questa univocità non aggiungeremo null’altro alla vastità dell’ideazione della nostra specie, che invece è sempre stata fervente in entrambi i sessi.

Maria Laura Leone

Tratto da Marija Gimbutas  Vent’anni di studio sulla Dea – Atti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino


Bibliografia

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