Le spirali nei portelli delle tombe di Castelluccio (Sicilia)

Le spirali nei portelli delle tombe di Castelluccio (Sicilia)
Spirali del Portello tombale della cultura di Castelluccio

di Anna Polo

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

L’oggetto di studio è costituito dalle spirali che decorano i portelli di chiusura di alcune tombe a grotticella della civiltà di Castelluccio, nel siracusano, con l’interesse di scoprirne il significato e la funzione. Tale interesse si inquadra nella ricerca di connessione con altri spazi e altri tempi, entrando in contatto con i luoghi sacri di un’antica civiltà e “assorbendo” per questa via profonda ed emotiva insegnamenti antichissimi utili alla ricerca spirituale attuale.

La civiltà (o cultura) castellucciana si può definire la più ricca e articolata delle civiltà preistoriche della Sicilia. Esiste tra gli studiosi una certa discordanza sulla sua datazione: secondo alcuni risale a un periodo tra il 3000 e il 2500 P.E.C., mentre altri la situano in periodi che vanno dal 2200 al 1250 P.E.C. In generale però tutti concordano nell’attribuirla all’Antica Età del Bronzo, un’epoca in cui la lega metallica era ancora poco diffusa. Il nome deriva dal sito omonimo nell’entroterra di Noto.
Nonostante la cultura di Castelluccio conoscesse l’uso dei metalli, la sua spiritualità era ancora basata sul culto della Dea Madre e sul ruolo centrale della fertilità e presentava quindi punti di contatto con le civiltà agricole neolitiche. Innumerevoli tombe a grotticella costellavano le pareti rocciose degli insediamenti castellucciani: nella necropoli più vasta se ne contano 176. La grande quantità di scheletri ammucchiati nelle tombe conferma l’usanza di sepolture collettive. Gli spazi esterni e le facciate elaborate suggeriscono un aspetto pubblico e l’importanza di cerimonie dedicate ai vivi, probabilmente quando le tombe venivano riaperte per altre sepolture.
La conformazione delle tombe rappresenterebbe secondo molti studiosi il ventre materno, con un chiaro collegamento al culto della Madre Terra diffuso presso tutte le popolazioni dell’area europea e anatolica. I corpi venivano posti probabilmente in posizione fetale all’interno della cella ovoidale, a simboleggiare il ritorno dell’uomo nel grembo materno della Dea. Un fenomeno isolato ma significativo all’interno della civiltà castellucciana riguarda i portelli ornati da decorazioni particolari, con spirali simili a quelle del tempio di Tarxien e dell’ipogeo di Hal Saflieni a Malta e a quelle della maestosa tomba a corridoio di Newgrange in Irlanda. È probabile che un’analoga esperienza ed esigenza spirituale abbia guidato la mano degli artigiani di Tarxien e di Castelluccio, portandoli a realizzazioni simili, il cui primato cronologico spetta ai maltesi.

Il fatto che le lastre decorate di spirali fossero nascoste alla vista, perché coperte da altre lastre o rivolte all’interno, fa pensare che non fossero elementi decorativi, ma raffigurazioni simboliche con una funzione propiziatoria e devozionale. Una sorta di “messaggio” per i morti là sepolti, un richiamo alla vita, un’allusione alla rigenerazione dopo la morte e dunque al ritorno della vita e al suo trionfo sulla morte, tutti elementi tipici della spiritualità dell’epoca.
La forza dinamica, simmetrica e armoniosa che la spirale manifesta è “l’energia della dea” che influisce sulla generazione e la crescita di uomini e animali, di alberi e piante, combatte la stasi e incoraggia la continuità e il rinnovamento incessante del ciclo cosmico. Una Dea Madre che genera, riassorbe e accoglie, che dà la vita e la toglie, in un continuo ciclo periodico di ruoli complementari.
Il ruolo centrale della fertilità, rappresentata attraverso la raffigurazione dell’atto sessuale, cui fa pensare la stele della tomba n.31, rispecchia la devozione alla divinità che sovrintendeva alle forze rigeneratrici insite nella natura e negli umani.
L’atto sessuale, nel pieno del suo svolgimento, costituiva l’acme del processo riproduttivo. Rappresentarlo significava enfatizzare l’attaccamento e la devozione a chi sovrintendeva a questo fenomeno e costituiva una sorta di correttivo rispetto alla morte presente nel sepolcro, come magica restaurazione della vita. Non a caso i sepolcri sotterranei o scavati nella roccia indicano un forte attaccamento all’elemento terra.

Trovare un simile elemento vitale in una tomba, ossia un luogo dedicato alla morte, mi ha colpito fin dalla prima volta che ho visto una raffigurazione di questa stele. Quell’immagine mi è sembrata frutto di un atto intenzionale, espressione della volontà di creare un ambito dove sperimentare la trascendenza e la rinascita dopo la morte del corpo. Per la mentalità attuale tutto questo può apparire assurdo e incomprensibile, ma per una civiltà che considerava la vita e la morte come due stadi uniti e non contrapposti di uno stesso, eterno ciclo, un messaggio come quello rappresentato dalle spirali di Castelluccio acquista un senso preciso e profondo: lasciare a chi ha abbandonato il proprio corpo un segno tangibile del momento culminante della vita, l’atto sessuale che crea un nuovo essere, celebrare l’energia vitale e ricordare ai vivi e ai morti che essa non ha mai fine.
Le tombe scavate nella parete rocciosa si trovavano in una posizione elevata: il luogo sacro dominava tutto il paesaggio e si vedeva da lontano, dando la sensazione che i morti proteggessero i vivi e vegliassero su di loro.

La ricerca su Castelluccio qui sintetizzata fa parte di un più ampio studio sulle spirali nei luoghi sacri dell’Europa neolitica e dell’Età del Bronzo, che mi ha portato a visitare i templi neolitici di Malta e Gozo e le tombe a corridoio della valle del Boyne in Irlanda. Letture, approfondimenti e conversazioni con esperti, tra cui Miriam Dexter, collaboratrice e amica di Marija Gimbutas, mi hanno aiutato a inquadrare l’interesse più generale di questo studio, ossia quello di ricostruire parti del processo umano, gettando un ponte tra il presente e il patrimonio di saggezza ed esperienza accumulato nel passato da civiltà antiche spesso cancellate, dimenticate o comunque poco conosciute. Non si tratta di un semplice interesse storico o “archeologico”: il recupero e l’interpretazione di tale patrimonio può infatti dare un grande contributo alla ricerca spirituale attuale, fornendo ispirazione, spunti, stimoli e insegnamenti. La scoperta inoltre dell’avanzato grado di spiritualità raggiunto da civiltà che potrebbero apparire “primitive” da un punto di vista tecnologico può cambiare l’immagine convenzionale e diffusa che si ha di periodi molto lontani nel tempo, ma molto vicini al presente per la loro sensibilità.

Lo studio completo si può scaricare a questo link: https://www.parcocasagiorgi.org/produzioni-maestri-casa-giorgi/

Anna Polo

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

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