Le Dee italiche eredi della Grande Dea mediterranea: Fortuna, Bona Dea, Mater Matuta, Feronia, Diana

Le Dee italiche eredi della Grande Dea mediterranea:  Fortuna, Bona Dea, Mater Matuta, Feronia, Diana

di Sarah Perini

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

Fortuna

Statuina di Fortuna italica, rinvenuta a Trieste, Bosco di Pontini

È protettrice della fecondità umana e dei parti, colei che porta felicemente a termine la gravidanza, colei che è ricca, feconda, gravida, la datrice di doni, spesso rappresentata con la cornucopia ricolma di fiori e frutti. La Dea Madre che sostiene o stringe i seni o che regge al petto i figli; vergine nel significato di libera da vincoli che si accoppia liberamente scegliendo i suoi compagni (Fortuna, Acca Larentia e Flora furono anche note per aver scelto come amanti principi romani).
Nella zona di Lazio ed Etruria, abitata sin dai tempi antichi da popolazioni autoctone e dotate di caratteristiche comuni, troviamo immagini di Fortuna ritratta in figure scolpite o lignee che reggono un bambino/a o in forme animali, arboree o colonne poste all’interno di uno spazio sacro, detto saccellum, ricavato con foglie o legna, spesso all’interno di una radura sacra, luogo tipicamente italico.


Bona Dea

Bona Dea, statuina del primo periodo romano

Bona Dea è Signora delle erbe e degli animali e protettrice della salute delle madri e della prole.
La zona cultuale era tipicamente italica in quanto costruita con un piccolo muro di cinta che delimitava un boschetto, con al suo interno una fonte, un’edicola per l’immagine della Dea e una capanna. Le caratteristiche principali del culto di Bona Dea sono: la presenza dei serpenti nel suo tempio; la presenza del paredro Faunus che spesso si può trasformare in serpente, sottolineando l’unione fra la divinità femminile e l’animale per eccellenza ctonio e fallico; l’uso del vino come bevanda rituale, caratteristica tipica dei popoli italici e laziali; la presenza nel luogo sacro di un herbarium, giardino delle erbe di guarigione, coltivato dalle sacerdotesse della Dea e da lei protetto.


Mater Matuta

Mater Matuta, V sec. P.E.C., Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Mater Matuta accanto a Bona Dea è “la Madre Buona” la Madre Divina che vigila sulla vita delle donne, promuove la fecondità, guida i parti, veglia le creature, garantisce la vita degli animali, della vegetazione e della comunità agricola. Mater Matuta è “la Madre dell’Ora Mattutina”, la prima luce che le creature vedono uscendo dal grembo materno.
Il culto di questa Dea sbocciò contemporaneamente ed indipendentemente in Umbria, Etruria, Lazio e Campania, come conseguenza dell’unitarietà etnica e culturale delle popolazioni mediterranee della zona accanto anche ad altre divinità quali Diana, Feronia, Juno, Marica. Nei luoghi sacri sono state ritrovate offerte votive in terracotta rappresentanti frutta, fiori, animali e parti del corpo ad indicare le funzioni di protezione e guarigione della Mater Matuta.
Animali domestici o addomesticati appaiono maggiormente in questa fase ed indicano come le caratteristiche e le funzioni dell’originaria selvatica Dea mediterranea si vadano adattando alla realtà delle comunità agricole. Vediamo comparire cani, cavalli, buoi, ovini, galli, colombe, maiali, cinghiali, pesci. Troviamo tra le offerte anche pani e focacce.
Tra le parti del corpo votive in terracotta compaiono: seni, braccia, gambe, piedi, occhi, maschere, statuine di bambini e anche zampe di animali.


Feronia

Feronia in un’antefissa etrusca

È la Signora delle Fiere, della vita animale selvatica, delle piante e delle erbe medicinali, conserva intatte tutte le caratteristiche dell’antica Potnia mediterranea. La radice fero indica anche “la gestante” ha dunque le consuete funzioni protettive del materno.
Feronia è una Virgo Sacra, una Dea Vergine non soggetta a vincoli matrimoniali, ma accompagnata dal suo paredro Picus, il sacro picchio, portatore del fuoco celeste connesso all’energia fecondante, ma anche conoscitore sapiente dei luoghi dove crescono alcune piante di guarigione; lo ritroveremo anche accanto alla Dea Diana.


Diana

Come ultima ma più importante Dea italica la Marconi descrive Diana, molto diffusa e con caratteristiche specifiche, un culto articolato, dotata di assistenti cultuali come sacerdotesse, ninfe e paredri.
Il culto di Diana è essenzialmente silvestre; è definita Regina del Bosco Sacro, Diana Lucina – Dea del luogo chiaro nel bosco, la radura sacra dimora primordiale della divinità; Dea Lucifera della fiamma delle torce che illuminano nella notte il bosco sacro e le creature animali e vegetali che lei protegge; Dea del fuoco apotropaico e purificatore; Signora del Lago; Signora degli alberi sacri, delle pietre erette, delle colonne e dei recinti sacri; Dea delle selve, delle foreste, dei monti, dei laghi, dei fiumi, delle piante medicinali; in seguito viene associata, come Bona Dea, anche alla dea Dia, protettrice del grano, dei campi coltivati e degli animali d’allevamento.
Diana protettrice di fecondità, maternità e coppie, dei parti umani e animali e dei parti in acqua; le sue ninfe, come la Ninfa Egeria, e le sue sacerdotesse guidavano le donne nelle fasi del parto. Essa porta inoltre la guarigione tramite le erbe sacre.
Diana viene tardivamente associata con la dea Luna che però è una divinità a parte, come Artemide viene associata a Selene, ma sono entrambe originariamente divinità terrestri e non celesti.
Suoi animali sacri sono: il cervo, la cerva bianca, capre selvatiche, cavallo, cane, colomba, uccelli acquatici, picchio, cinghiali, maiali, pesci e fiere.
Piante sacre: peonia e artemisia (erbe di guarigione che favoriscono il parto), giglio, alloro, erbe medicinali, palma, quercia, melo, grappoli d’uva.
Simboli ad essa connessi: stele, pilastri, colonne, pali, alberi, fiaccole, festoni di fiori e frutta e nastri, rami, scettri fioriti, corna di vacca e di cervo.
I suoi paredri sono Virbio il “giovane uomo verde” (dalla radice uerbos derivano verga e verbena, il ramo e l’erba sacra) e Silvano “l’uomo silvestre”, adulto o anziano, entrambi custodi dei cavalli della Dea; appare anche Picus “l’uomo picchio”, conoscitore di erbe salutari e del luogo segreto delle peonie.
La Dea ha in mano la vita, la morte e la resurrezione del suo compagno, quand’egli muore lo resuscita con l’acqua di vita e le erbe salutari del suo giardino segreto (così come accade per tutte le altre grandi dee mediterranee, Isthar, Astarte, Kybele, Iside).
Diana veste con abito corto, gonnellino a balze ed è rappresentata mentre corre, cavalca, tira con l’arco, a volte nuda o velata con la torcia in mano, giovane, agile e potente fanciulla, quasi mai ingioiellata a volte coronata.
Appare armata di arco, frecce, faretra, lance, campanelli, così come la Potnia mediterranea, più per difendere le creature del bosco che per cacciarle.

Sarah Perini

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

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