Dalla Terra ti sento narrare. Racconti di donne nelle sepolture neolitiche femminili

Dalla Terra ti sento narrare.  Racconti di donne nelle sepolture neolitiche femminili
Dettaglio della sepoltura e della statuina di Vicofertile (Parma)

di Filomena Tufaro

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino

La breve ricerca sulle sepolture neolitiche mi ha inizialmente condotta in un universo popolato, quasi inesorabilmente, di capitribù, capifamiglia, stregoni, straordinari cacciatori, silente di voci femminili, nonostante i dati archeologici fossero abbastanza confortanti. Allora ho iniziato a pormi delle domande e soprattutto a predispormi all’ascolto di racconti nuovi.
Mi sono chiesta se la giovane donna di 20-25 anni, rinvenuta in via Guidorossi, alla periferia di Parma (insieme a numerose altre significative sepolture), non avesse nulla da dire nella vita, se non mi dovessi invece interrogare su quale ruolo abbia ricoperto, visto il genere di rituale che le venne riservato.
Era collocata in ampia fossa, ricoperta da uno strato di resti di nocciole e reperti faunistici vari (caprovini, bue, maiale e luccio). Nei pressi del capo vi era traccia di un piccolo focolare, al cui centro era posto un frammento volontariamente spezzato attorno ad un motivo a doppia spirale. In prossimità dei piedi presentava una grossa macina, strumento per la frantumazione dei cereali,  rovesciata, con il piano di lavoro rivolto verso terra. Sulla mano della defunta, che pare fosse affetta da gravi patologie, è stato rinvenuto un vasetto, un contenitore ad imboccatura ovale con beccuccio, decorato da una banda suddivisa in sei riquadri, contenenti due doppie spirali, chiuso da un ciottolo piatto.
La sepoltura è carica di significati simbolici. La presenza della macina è abbastanza diffusa durante il Neolitico nelle sepolture sia femminili che maschili. Spesso si rinvengono macine spezzate intenzionalmente, talvolta deposte ai piedi o sotto il capo, quasi si trattasse di una sorta di cuscino. Nel nostro caso la macina, disposta ai piedi della defunta, era capovolta, così come capovolte le ritroviamo spesso nei rituali agrari. Dunque un oggetto che fa parte del quotidiano ma che, al contempo, se ne discosta, assurgendo a ruolo di strumento simbolico, del seme che nella terra diventa frumento, che a sua volta diviene pane e che racchiude in sé il grande mistero della trasformazione. La spirale, evocazione del potere rigenerativo, celato in un simbolo.
O ancora i resti faunistici che accompagnano la donna. Penso in particolare alla presenza del luccio, associato alla dea della rigenerazione, particolarmente presente nelle sepolture del sito di Lepenski Vir, dove la dea pesce è la divinità più importante. Dunque uno straordinario condensato di elementi che ci parlano di morte e rigenerazione.

Il territorio intorno a Parma e in generale dell’Emilia occidentale ha offerto in questi ultimi anni, testimonianze davvero significative nell’ambito della cosiddetta Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, caratteristica del Neolitico Medio dell’Italia Settentrionale. Molte delle sepolture rinvenute si distinguono per la presenza di vasi in ceramica, macine, oggetti in osso, quali punteruoli e spatole, conchiglie impiegate a formare ornamenti o semplicemente distribuite nella sepoltura, e ancora monili realizzati in steatite. Di taluni oggetti, superata la mera valenza ornamentale, è possibile cogliere il significato simbolico in essi celato.
Un esempio è fornito dalla steatite, una pietra abbondante in alcune zone d’Italia quali l’Appennino parmense o la Sardegna e che si caratterizza, per sua stessa natura, come facilmente lavorabile. Tale caratteristica, unita alla reperibilità, potrebbe indurci a ritenerla poco pregiata e a non attribuire il dovuto valore agli oggetti con essa realizzati. Ma, a tal proposito, è lecito domandarsi se dovesse essere davvero cosi semplice realizzare le centinaia di minuscole perle, talvolta di appena 2 mm di diametro, utilizzate per realizzare le collane, che spesso accompagnano le nostre defunte. Una considerazione simile si può estendere anche ad altre materie prime, quali le conchiglie, simboli parlanti dell’infinito dinamismo della natura, della trasformazione, delle forze sacre concentrate nelle Acque e nelle Donne.
Una sepoltura eccezionale, tra le circa 200 attribuite alla cultura dei Vasi a Bocca Quadrata, è quella di Vicofertile, sempre nei pressi di Parma. Si trovava, quale unica sepoltura femminile, quasi al centro rispetto a cinque sepolture maschili, alcune delle quali completamente prive di corredo.
Elemento fortemente distintivo è dato dalla presenza all’interno della tomba di una statuina, posta quasi di fronte al volto della donna.
Raffigura una donna seduta, con volto ovale e piatto, occhi a fessura, naso molto prominente, acconciatura elaborata che arriva alle spalle. Il busto triangolare è esile, le braccia sottili, staccate dal busto e piegate sopra la vita, le mani congiunte con dita evidenti. I seni sono piatti, separati da un incavo triangolare. Una piccola cuppella sotto la gola e una linea sottile sul polso destro potrebbero rappresentare forse dei monili. La parte inferiore è massiccia, con fianchi larghi, le natiche  piatte e sagomate, come plasmate su un sedile con bassa spalliera, che era probabilmente di legno. Le gambe, piegate nella posizione seduta e unite, sono molto mal conservate, perché sono state compresse e spostate lateralmente dalla pressione del terreno.
È in argilla scura, nera del grembo della Terra, ma in molte zone della figura si notano tracce di colore bianco.
L’appiattimento posteriore, certamente adattato a un sedile, la cui impronta si riconosce fino a metà schiena, fa della statuina di Vicofertile un’immagine che mostra la Dea seduta in trono, a cui non sembrano pertinenti le connotazioni di dea della fertilità. Sembra invece mostrarsi in tutto il suo aspetto ctonio (il naso molto prominente, da “dea uccello/avvoltoio, l’assenza della bocca), la bianca Signora della morte, bianca come le ossa, Signora della morte e della rinascita, della morte che contiene la promessa della rigenerazione.

All’interno della sepoltura era presenti anche un vaso a bocca quadrata e un’olla, la cosiddetta olla tipo San Martino, un vaso caratteristico di una cultura del Neolitico medio dell’Italia Meridionale, Serra d’Alto.
Tale cultura si caratterizza per una produzione vascolare con forme elaborate e decorazioni, per lo più dipinte, costituite da motivi a meandro, scacchiere, spirali, triangoli, motivi a clessidre, linee a tremolo.
Non semplici motivi geometrici, come Marija Gimbutas mi insegna, ma elementi pregni di significato simbolico. Molto caratteristiche anche le anse dei vasi, spesso sormontate da protomi animali più o meno stilizzate, con una certa predominanza dell’ariete.
Nell’ambito di un momento inoltrato di questa cultura, si colloca la cosiddetta olletta tipo San Martino, un tipo vascolare che pare essere destinato soprattutto alla sfera funeraria, e, ancor più in particolare, nell’Italia settentrionale, alle sepolture femminili. Le dimensioni sono generalmente abbastanza ridotte; le superfici sono per lo più inornate, e, qualora sia presente una decorazione, essa è rappresentata da spirali (del resto anche le anse appaiono spesso ripiegate in una doppia spirale con tracce di colorazione rossa).
Questo tipo di vaso ricorre con una frequenza davvero singolare in Trentino, ma soprattutto in Emilia Romagna.
Spesso è associata al vaso la presenza di un cucchiaio, realizzato, in un caso, su osso di cervo. La predilezione per un animale selvatico, in un contesto neolitico, nel quale al contrario prevalgono di norma i domestici, dimostra l’attribuzione di un valore particolare all’oggetto, confermandone la valenza cultuale.
Alcuni elementi, quali la scanalatura interna all’orlo, la presenza di fori per fissare un coperchio, l’associazione con tappi in terracotta e cucchiai in osso, lascia pensare che siano entrati nei corredi quali vasi rituali, probabili contenitori di sostanze, di unguenti.
Questo dato mi avvicina a quello che Momolina Marconi, storica delle religioni e profonda conoscitrice della religione mediterranea, definisce il dominio della Grande Dea mediterranea.

Filomena Tufaro

Tratto da Marija Gimbutas Vent’anni di studio sulla DeaAtti del Convegno omonimo – Roma 9-10 maggio 2014 – Progetto Editoriale Laima – Torino


Bibliografia

  1. Maria Bernabò Brea – “Una statuina femminile da un contesto funerario neolitico nel parmense” – in Rivista di Scienze Preistoriche – LVI 2006 – pp. 197-202;
  2. Maria Bernabò Brea – “Riflessione sulla circolazione di elementi immateriali nell’Europa Neolitica” – Congrés Internacional  Xarses al Neolìtic – Neolithic Networks Rubricatum. Rivista del Museu de Gava – 5 – 2012 – pp. 487-497;
  3. Maria Bernabò Brea, Maria Maffi, Paola Mazzieri e Loretana Salvadei – “Testimonianze funerarie della gente dei Vasi a Bocca Quadrata in Emilia occidentale” – Archeologia e antropologia – Rivista di Scienze Preistoriche – LX – 2010 – 63-126;
  4. Selene Maria Cassano e Alessandra Manfredini – Masseria Candelaro. Vita quotidiana e mondo ideologico in un villaggio neolitico sul Tavoliere – Foggia 2005;
  5. Anna De Nardis (a cura di) – Da Circe a Morgana. Scritti di Momolina Marconi – Venexia 2009;
  6. Marija Gimbutas – La Civiltà della Dea – Vol. 1-2 – Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri 2012;
  7. Paola Mazzieri, Renata Grifoni Cremonesi, Marta Colombo e Maria Bernabò Brea – “Contatti e scambi tra la cultura Serra d’Alto e i Vasi a Bocca Quadrata: il caso delle ollette tipo San Martino” – Congrés Internacional  Xarses al Neolìtic – Neolithic Networks Rubricatum. Rivista del Museu de Gava – 5 – 2012 – p. 351-361;
  8. Momolina Marconi – Riflessi mediterranei nella più antica religione laziale – G. Principato – Milano 1939.
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