Corpi danzanti: la danza espressione del sacro

Corpi danzanti: la danza espressione del sacro

di Alessandra Fumai

Descrivere una cultura a partire dal corpo, a partire dal modo in cui i corpi cadenzano lo spazio rituale e quotidiano, può fornire una lettura non ingenua di organizzazioni sociali diverse dalla nostra.

Quando si parla di matriarcato e cultura matriarcale dobbiamo, a mio avviso, conservare una certa cautela e concederci di pensare a qualcosa di piuttosto diverso da quello a cui siamo abituate: una configurazione sociale in cui sentimenti, aspettative e relazioni avevano un altro sapore. Partendo dal contributo di Anna Llieva e Anna Sturbanova contenuto nell’antologia dedicata a Marija Gimbutas e curata da Joan Marler, From the Realm of the Ancestors. An Anthology in Honor of Marija Gimbutas, 1997, e qui di seguito reso disponibile in italiano, possiamo immaginare e costruire ragionamenti intorno ai temi della danza e del corpo, a partire dai loro studi. In questo saggio, le autrici presentano alcune danze rituali dell’antica cultura bulgara, espresse attraverso la mimesi con figure zoomorfe, che coadiuvano il dialogo con le forze extra umane. Secondo la lettura che ne dà l’antropologia, la danza come altri prodotti culturali esprime relazioni di potere, le avversa o le esalta e si colloca nella cornice del dramma sociale, come insegna Victor Turner. La necessità di governare gli elementi disturbanti della vita come i cambi di stagione, i momenti cruciali della nascita, della malattia, della crescita e della morte porta da sempre l’essere umano a affidarsi alla pratica rituale.

L’aspetto che vorrei sottolineare è come in questo saggio il corpo si faccia veicolo della gestione del sacro, testo tangibile del movimento cosmico e attuazione fattuale della mitologia, che è rivissuta e riattualizzata dalle partecipanti e dai partecipanti al rito nel momento in cui viene incorporata. La percezione e l’organizzazione stessa della realtà sono radicate nell’esperienza del corpo, che assorbe un sapere derivante dal vissuto individuale e sociale.

Danzatrici bulgare

Layne Redmond nel suo splendido libro Quando le donne suonavano i tamburi (L. Redmond, 1997/2021) parla della celebrazione della gioia del corpo unita alla sacralità del momento rituale raffigurata nell’arte romana. L’autrice cerca nella storia antica le tracce di musiciste e percussioniste che si facevano voce e veicolo del sacro, in contesti dove musica e danza estatica erano praticate da uomini e donne. L’affermarsi del patriarcato e della religione cristiana, si accompagna alla soppressione della sessualità femminile, alla soppressione della musica e della danza nei rituali e soprattutto al de-potenziamento, fino ai ben noti processi per stregoneria, della figura femminile come tramite all’esperienza del sacro.

Se ci interessiamo alla relazione tra cultura, corpo e movimento, sappiamo come la danza possa a un tempo riflettere e dare forma alle relazione sociali.

Che rapporto avevano anticamente nella cultura bulgara con il corpo? Come era esperito nei termini di quella che potremmo noi chiamare autocoscienza?

Se è possibile costruire epistemologia, sapere da e a partire dal corpo, ogni contributo a una storia della danza e del legame di questa con le donne diventa prezioso, poiché integra il sapere in quanto tale.

Le autrici dell’articolo di cui ci occupiamo affermano che “una delle funzioni principali della danza rituale nel folklore è di convogliare la conoscenza: conoscenza della struttura del mondo, della vita in comunità, conoscenza di se stessi, delle leggi e dei governi della società, e conoscenza della visione mitologica del mondo”.

In questo contesto culturale la donna, come specialista del sacro o custode della tradizione, viene sovrapposta alla terra, esaltata nei suoi poteri generativi e creativi attraverso atti simbolici che trovano la massima espressione nelle danze e nei canti: queste pratiche sono fatte di relazione diretta con il paesaggio e con le entità sovra-individuali che presiedono allo scorrere delle cose.

Come sostiene Pontremoli (A. Pontremoli, 2004) ogni forma di danza è legittimata dal fatto di rappresentare una risposta a una precisa istanza culturale, perché specchio della società che la produce: il corpo che danza dunque si presenta sia come soggetto che come corpo sociale. La coreografia è al tempo stesso scrittura materiale e simbolica che è possibile leggere, anche se questa lettura può talvolta essere difficile, non univoca, sicuramente multipla e influenzata dallo sguardo con il quale di essa ci appropriamo. La storia si narra a partire dal corpo, e questo corpo e i discorsi su di esso sono storicamente determinati.

Il saggio di Llieva e Shturbanova, a noi contemporanee, riaccende in noi l’attenzione su una Storia che non ha avuto il primo posto nelle istituzioni del sapere, e che racconta un altro modo di stare al mondo, interagendo con esso e scorrendo con esso: un lascito potente e prezioso delle culture femminili del mondo antico che hanno vissuto accanto a noi. L’uso del canto, e del corpo, rende queste esperienze dense, potenti e sensuali nella misura in cui tutto l’apparato sensoriale è coinvolto nel rito, nella pratica, nella festa. Si crea, attraverso queste raffinate tecniche del corpo, una sorta di comunità mimetica che trova nella condivisione di schemi di movimento e vocalità la sua espressione profonda di azione sul mondo e partecipazione al sacro, al numinoso.

Immagini zoomorfe nella danza rituale delle donne bulgare nell’antico simbolismo europeo.

di Anna Llieva e Anna Shturbanova
Istituto del Folclore, Accademia Bulgara delle Scienze, Sofia, Bulgaria, 1997

Danza nel bosco

Prima dello sconvolgimento storico e culturale degli Anni 40, il folclore bulgaro esisteva come un sistema culturale relativamente indipendente all’interno del tessuto della vita tradizionale della Bulgaria rurale. Gli anziani e le anziane dei villaggi sono ancora in grado di ricordare e raccontare questo stile di vita che sta scomparendo.

La nostra ricerca è guidata dallo “spirito olistico” della danza. È un compito ambizioso e imponente, considerando che la cultura della danza folkloristica bulgara si distingue per la sua grande diversità di moduli, rituali, concetti e credenze. Per questo scopo, abbiamo creato il nostro personale approccio interdisciplinare, adatto allo studio delle numerose danze eseguite durante le festività, e delle danze rituali ancora conservate in Bulgaria.

Se la transizione dal Caos al Cosmo è la materia intrinseca della mitologia, queste danze rituali esprimono il significato profondo dei miti arcaici (sia distruttivi che creativi) attraverso i movimenti del corpo umano e le sue interazioni con le forze naturali e cosmiche. Nell’antichità la danza era uno dei metodi più potenti e diffusi per raggiungere l’estasi, una condizione necessaria per il raggiungimento dello scopo del rituale. L’estasi, che conduce contemporaneamente all’eccitazione orgiastica e alla catarsi, è una parte inseparabile della danza rituale, sia che significhi cadere in trance per il proposito di curare o predire la sorte, o entrare in quello stato super-normale che caratterizza qualunque processo creativo.

Il confine tra il “qui” e “l’oltre” viene trasceso attraverso la danza rituale. Allo stadio di sviluppo delle nostre danze rituali, comunque, le antiche tecniche estatiche per ottenere “contatto” diretto si sono trasformate. Le danze rituali bulgare così come le conosciamo oggi, sono generalmente una semplice formula ripetuta continuamente. La ripetizione trasporta i danzatori al di là della realtà della vita di tutti i giorni, attraverso il movimento ed il focus mentale. Si tratta di uno stato di esistenza speciale, di un soggiorno nel mondo del sacro. La consapevolezza essenziale che normalmente non si realizza, che non può essere spiegata, si attiva e viene vissuta durante la danza. La semplicità esteriore della danza rituale nasconde un mondo complesso, un messaggio dall’antichità, che è arrivato fino a noi non in una forma materiale, ma attraverso l’esperienza viva della danza trasmessa di generazione in generazione.

Una delle funzioni principali della danza rituale nella cultura folkloristica è di “convogliare la conoscenza”: conoscenza sulle strutture del mondo, su come vivere in comunità, conoscenza di sé, conoscenza sull’ordine, sulla legge e il governo della società; e conoscenza sulla visione mitologica del mondo, in cui i rituali di uomini e donne sono differenti. Lo studio rivela la predominanza e la diversità delle danze rituali femminili le quali, nonostante le trasformazioni dovute al passare del tempo, manifestano una particolare ricchezza di vestigia culturali e significati. Questo è dovuto probabilmente sia alla caratteristica conservatrice delle donne e al loro ruolo di guardiane della tradizione che conservano l’antico senso e significato, sia al loro antico attaccamento alla danza vista come una tecnologia del rituale arcaico.

La danza rituale femminile bulgara sembra ancora possedere diversi aspetti della funzione onnicomprensiva della danza antica: la danza rituale era un’azione che ha un’influenza nella natura, nella creazione di ordine nella società e nelle relazioni tra le persone; è arrangiamento, armonizzazione, aiuta a sintonizzarsi e comunicare col mondo del sacro; è purificazione, magia, iniziazione.

Il nostro interesse alla materia è dovuto innanzitutto al fatto che un enorme numero di danze rituali sono sopravvissute in differenti versioni, e poi dalla scoperta che il calendario festivo folkloristico cristiano bulgaro è dominato dai rituali femminili, con la loro corrispondente parte musicale e le l’attività di danza rituale.

La ritualità delle donne bulgare – passata attraverso diversi stadi culturali e arrivata fino a noi attraverso la cultura patriarcale cristiana medievale – mantiene il potere che le viene dall’essere stata il dispositivo per governare la vita rurale, che diventa evidente quando tracciamo i rituali della danza delle donne secondo il calendario e il ciclo della vita.

In questo saggio abbiamo scelto di avvicinarci a questo fenomeno attraverso alcune figure zoomorfiche (che rappresentano l’animale o ne hanno l’aspetto) trovate nella danza femminile bulgara: il serpente, l’ape, la farfalla e la rana, figure che corrispondono direttamente al vecchio simbolismo europeo come espresso da Marija Gimbutas.

Questo approccio rivela solo un aspetto delle funzioni e dei significati della danza rituale femminile sopravvissuta fino al XX secolo. La danza è un organismo vivente, in via di sviluppo, e contiene influenze dalle culture che si susseguono. Ci siamo coscientemente astenute dal tracciare esaustivamente le trasformazioni e il significato dei simboli, poiché il nostro proposito qui era discutere l’immaginario più antico che si possa trovare nella ritualità femminile.

Sebbene Gimbutas parta dal Neolitico e cerchi la visione che ha generato i simboli e i significati per portare il messaggio al presente e al futuro, il nostro studio della danza rituale si concentra sul materiale vivo della danza che sopravvive ai giorni nostri, con l’obiettivo di scoprire il messaggio che ci è stato consegnato dall’antichità, nonostante tutti i livelli di trasformazione culturale.

Il serpente

L’immagine del serpente è presente in modo molto interessante in tutte le manifestazioni del folclore bulgaro. Nonostante non ci sia una danza dedicata al serpente, come per esempio la danza totemica di alcuni aborigeni australiani, il simbolismo del serpente è organicamente intrecciato nella sostanza della danza folkoristica bulgara.

L’ horo, la danza più diffusa nella tradizione culturale bulgara, è una catena chiusa o aperta creata da un gruppo di danzatori/danzatrici che si tengono per mano. Quando la catena è chiusa è a forma di cerchio, quando è aperta diventa un cerchio aperto, una serpentina, una spirale o un’altra forma ancora.

Il serpente-horo

La catena aperta della danza horo è guidata da un capo, comunemente conosciuto come la “fronte” o la “testa dell’horo”, la sua fine come la “coda”. La catena horo viene immaginata come un corpo vivo. La gente non dice “noi balliamo”, ma “l’horo balla”. Questo simbolismo non deriva semplicemente dalla somiglianza della danza col serpente, ma anche da una nozione profondamente introiettata nelle idee delle persone. Questo ha portato a espressioni verbali come “la testa e la coda dell’horo“, pensata come il corpo di un serpente, “avvolgersi come un serpente”, “l’horo si avvolge, serpeggia, cinge l’intera piazza”, “l’horo si piega in nove strati/spire” ecc. La stabilità di tali concetti è evidenziata dal fatto che questi modi di dire si riferiscono alle parti della catena e non sono legati a un proposito rituale specifico. Le danze si ballavano tutte le domeniche nelle feste horo fino al 1945. La festività horo presenta una forma di contatto più astratta con il mondo del sacro, uno stadio successivo nello sviluppo dell’ideologia della danza. Più avanti, tratteremo il simbolismo del serpente nella danza rituale propria, specialmente nelle danze di iniziazione delle fanciulle, che sono eseguite in primavera.

La quaresima

Le danze horo erano danzate durante tutte le festività del calendario e ogni domenica. In primavera, durante la Quaresima secondo il calendario cristiano ortodosso, la danza horo era proibita soprattutto se presente un accompagnamento musicale. Nonostante gli strumenti musicali siano suonati dagli uomini nella tradizione bulgara, il canto horo è un’attività femminile. Durante il periodo rituale dell’iniziazione delle fanciulle non venivano né cantati né ballati gli horo. L’iniziazione, nonostante si sia trasformata durante differenti ere, porta con sé ancora i segni dei modelli arcaici.

Le danze delle fanciulle venivano eseguite in primavera nei giorni di banchetto e le domeniche di Quaresima. I posti tradizionali dove le ragazze ballavano erano i pascoli fuori dal villaggio e soprattutto i picchi e le colline, considerati punti di contatti tra i mondi, il reame degli dei: tali luoghi, considerati sacri, erano imbevuti di significati mitologici fin dall’antichità. Questa idea è connessa con un modello tripartito nel quale il mondo sacro sta in cima. Questi luoghi sacri nella cultura folkloristica bulgara sono generalmente segnati con una pietra, una croce, una quercia, una cappella, la rovina di una antico santuario.

Durante la primavera, in un villaggio del sud est della Bulgaria, le fanciulle conducevano il loro primo bouenek, una danza speciale, da un posto sacro fuori del villaggio dove una pietra dalla forma di trono segnava il solstizio d’estate. In alcuni villaggio nel sud ovest della Bulgaria, durante la notte di Temanata nedelya (Domenica scura), la prima domenica di Quaresima conosciuta altrove come la domenica di San Teodoro o domenica nera, le fanciulle andavano nel cimitero che sorge nella collina accanto al villaggio. Lì accendevano un fuoco, cantavano canzoni per invocare e svegliare la primavera e danzavano attorno al fuoco. Se appariva un uomo, alle fanciulle era permesso ucciderlo con i tizzoni ardenti.

Nel sud est della Bulgaria, nei santi quaranta giorni dei martiri, il giorno di San Teodoro, prima domenica di Quaresima e la grande domenica (la domenica a metà della Quaresima) le fanciulle in camici bianchi e capelli sciolti corrono da un picco all’altro cantando e ballando.

Nei vari villaggi le canzoni e le danze erano dedicate a una pietra, a una collina, a una foresta, a un gattino, a un tumulo: alcuni di questi nomi mostrano i confini nei quali le regole dei poteri cosmici si palesavano attraverso il rituale.

Il Bouenek

Danza Bouenek Bulgara

Il Bouenek, che non è considerato un horo, è un particolare tipo di danza a catena praticato nella Bulgaria dell’est. Nella scienza bulgara, bouenek è il nome standard attribuito a un gruppo di danze simili che condividono una pulsazione musicale comune, spesso con un marcato passo giambico. Questo tipo di danza è più connessa con il simbolo del serpente ed è un elemento base nei rituali primaverili delle fanciulle. Ha molti nomi locali: loudata “pazzo”, tichanitsa “correndo”, byagane “correndo”, louda lazara “lazzaro pazzo”, criva lazara “lazzaro storpio”, crivo horo “danza a catena storpia” e karapilek “horo nero”.

Come suggerisce il nome, le danzatrici uniscono le mani in una lunga catena e avanzano con un’andatura ordinaria e un passo claudicante, oppure con una corsa. Questa danza conosciuta attraverso l’Europa con il generico nome di farandola, si balla normalmente durante la stagione del carnevale. Questo tipo di danza viene ricordato fin dall’antichità. La catena danzante si snoda e disegna figure sul terreno simili a serpenti che si piegano, si allungano, si avvolgono a spirale, arrotolandosi, srotolandosi e pulsando.

Questo grande organismo vivente di fanciulle che si tengono per mano, che formano la catena bouenek, ha i suoi propri movimenti plastici di respiro e impeto. La continua alternanza della danza ferma sul posto e poi l’avanzamento lento e veloce con tensione e rilassamento, in onde di movimenti serpentini alternati con l’avvolgimento e lo svolgimento della spirale, crea la sensazione di un enorme corpo che pulsa di vita e irradia energia.

L’obiettivo rituale è caricare le danzatrici di energia per permetter loro di passare in un altro mondo, in un’altra dimensione o qualità, diventare differenti, che è infatti l’obiettivo dell’iniziazione.

Durante la Quaresima, un tempo le fanciulle ballavano tutto il giorno nei pascoli e sulle colline. Questo continuo movimento accattivante è uno degli obiettivi impliciti del bouenek: risvegliare in loro le forze vitali attraverso “movimenti che affermano la vita”. La primavera è il periodo dell’impetuosa trasformazione verso la nuova vita.

Si credeva che le fanciulle all’età del loro sviluppo possedessero il potere magico di svegliare e invocare la primavera, con il fremere dei loro corpi e con le loro voci. Durante questa iniziazione verso l’essere donna, sacralizzavano lo spazio e il tempo e contribuivano al corso naturale del cambio di stagione.

I vecchi bulgari dicono che quando il serpente si morde la coda, l’horo chiude. Ciò accade a Pasqua. Dopo l’esecuzione del bouenek durante la Quaresima, la catena serpentina si chiude e le fanciulle “aprono” la Pasqua con un canto lento/lamento horo in cerchio chiuso, in memoria delle fanciulle e fanciulli morti durante l’anno. L’immagine dell’horo come serpente che si morde la coda è un simbolo locale dell’Uroboro. L’immagine del serpente che cinge il mondo corrisponde alla credenza che il paradiso circondi il collo, la terra circondi la vita e il “sotto terra” le ginocchia.

Portare la cintura era un segno di iniziazione, di maturità e di essere pronti per la vita qui sulla terra, anche nei tempi antichi. Cinture speciali con due triangoli posizionati orizzontalmente che segnano la metà della figura, sono state trovate in un dipinto in una grotta preistorica in Bulgaria.

Pitture rupestri nella Grotta Magurata in Bulgaria

La cintura è un elemento basico e obbligatorio nel costume tradizionale bulgaro sia femminile che maschile ed è molto diffusa nell’horo bulgaro come punto di presa. Un bambino non indossa mai una cintura. A una fanciulla viene messa la cintura per la prima volta, nella versione ideale della tradizione, per lazarouvane (il giorno di San Lazzaro), e a un fanciullo per coledouvane (rito di Natale). In questo senso la cintura può essere definita come propria dell’iniziazione. Pertanto, come i principi della struttura del mondo si ripetono in ogni persona come in un microcosmo, il serpente che circonda il mondo metaforicamente circonda anche l’essere umano quando raggiunge la maturità.

Danzatrici bulgare

Esiste una credenza secondo cui il serpente sostiene la terra e le impedisce di distruggersi, così come per gli antichi Bulgari la cintura sostiene il corpo umano. Quando si uniscono in un horo la gente dice: “Ci prendiamo alla cintura per sostenere il corpo”. È comune credenza che la muta dei serpenti abbia poteri curativi e viene indossata sulla cintura. Uno dei motivi ricorrenti nelle canzoni popolari è quello di un drago che si innamora di una fanciulla e comincia a vivere con lei in una caverna. Dopo nove anni, quando lei chiede di partecipare al matrimonio del fratello, lui si trasforma in una cintura per poter andare al matrimonio con lei, ma lei lo sconfigge con l’astuzia gettando la cintura nel fuoco e bruciando così il drago.

Marija Gimbutas, in Il Linguaggio della Dea (1989:121), descrive il simbolo del serpente come “forza vitale, simbolo seminale, quintessenza del culto della vita su questa terra”. In bulgaro, le parole per serpente (zmiya) e terra (zemya) hanno una radice in comune (zumya). In questa luce possiamo probabilmente interpretare la credenza che quando il giorno di San Lazzaro ballano il bouenek, devono stringersi l’una all’altra con forza, poiché se la catena dovesse spezzarsi le fanciulle che mollano la presa morirebbero.

Un’altra credenza sostiene che solo la Podnitsa (un recipiente di argilla per preparare il pane rituale) fatta dalla nuova terra nel giorno di San Geremia (1 maggio) può ferire un drago. Quel giorno era celebrato in onore dei serpenti.

Nella preparazione rituale della Podnitsa, le donne impastano la terra danzando un horo speciale a piedi nudi in cerchio mentre cantano. Le donne che camminano sulla nuova terra della podnitza non saranno morse dai serpenti e nessun serpente entrerà nelle case con la podnitsa. Si credeva che ogni casa avesse i suoi serpenti chiamati stopanka, che è anche il nome usato per la padrona, la Signora della casa. Parlando metaforicamente, ogni stopanka è una dea nel microcosmo della sua casa. È colei che mantiene il fuoco acceso, colei attorno alla quale le fanciulle del Lazarki danzano “all’ape”. Lei è colei che, quando decide di sposare un figlio, accoglie e guida la sposa nella sua casa con pane e miele, acqua e fuoco.

La suocera aveva un ruolo determinante nei riti matrimoniali bulgari. Accoglie la sposa nella sua nuova casa, ballando dinanzi a lei con delle candele accese. Le porge una scodella di miele che la sposa distribuisce sui quattro angoli della porta prima di entrare. La suocera riattizza il fuoco entrando nella stanza e dà le benedizioni: ” Che possano esserci tante scintille quanta vita, salute e fertilità in questa casa”. Quindi la suocera porgeva alla sposa il capo basso della catena del focolare, mentre lei stessa guidava l’horo attorno al focolare. Nella sua mano destra alzata teneva la ciotola contenente il pane con il miele, e con la mano sinistra afferrava la cintura della sposa. La sposa a sua volta teneva la catena con la mano destra afferrando lo sposo alla cintura con la sinistra. Dallo sposo in poi tutti i partecipanti si tenevano l’uno all’altra dalla cintura.

Il simbolo del serpente, esso stesso polivalente, diventa comprensibile nella danza quando vengono riconosciute le sue diverse manifestazioni nel folclore. I serpenti sono presenti nelle favole, nelle canzoni, nei rituali, nei concetti e nelle credenze, negli ornamenti dei bastoni dei pastori, nei bauli da matrimonio. La danza rituale, che esprime la pulsazione ritmica primordiale, è ugualmente polivalente dal momento che ha sviluppato la potenza simbolica contenuta nei miti arcaici. Questo sviluppo ha portato a forme differenti ma mutualmente complementari. Questo perché la fusione e lo sviluppo dei simboli e dei significati nella cultura popolare è un fenomeno naturale.

Nella danza bouenek aggiunto al simbolismo del serpente troviamo l’evocazione dell’ape. Il buenek si avvita in una spirale, ma prima che la fanciulla che lo guida, chiamata bounek lei stessa, inizi a srotolare la spirale, le danzatrici si muovono come se fossero uno sciame di api.

I rituali delle fanciulle coincidevano con la Quaresima, durante la quale era vietato di ballare l’horo e dedicarsi alle api. Durante questi incontri veniva filata la lana. La forte funzione di risvegliare la natura era trattenuta. Lo stadio esoterico, il periodo prima del Lazarouvane (il sabato prima della domenica delle Palme) era dominato dalla preparazione e dalla raccolta della forza attraverso canzoni e balli che si tenevano nelle case, come una presentazione al Lazarouvane. Questo tuttavia era un rituale inseritosi molto più di recente e molto distante dal risveglio della natura, dal risuonare con la natura. Il focus dominante delle canzoni e del ballo delle fanciulle era trasferito alla consacrazione della casa e dei suoi signori. In altre parole, l’armonia tra uomo e natura si spostava in una armonizzazione all’interno della società umana – attraverso un’affermazione della gerarchia come suo ordine intrinseco. Attraverso lo scambio di regali, le fanciulle elargivano la loro benedizione ai signori della casa, e le Stopanka regalavano alle fanciulle un uovo (altro simbolo complesso ed interessante).

Lazarouvane

Lazarouvane era la più grande festa delle fanciulle, che coronava il ciclo quaresimale dei giochi delle fanciulle. Se i loro giochi, le corse sui campi e sulle colline della Quaresima suggerivano il mantenimento delle memorie dei misteri femminili, Lazarouvane era dominato dall’aspetto sociale, dall’iniziazione premaritale. Era una legge universale che nessuna ragazza avrebbe potuto sposarsi senza essere stata una Lazarka, altrimenti sarebbe stata rapita da un drago.

Durante il Lazarouvane, le Lazarki ballavano nei cortili delle case. La casa col cortile aveva un ruolo predominante nella tradizione: era un modello dell’universo. Le corse e le danze all’aperto venivano ricollocate all’interno dei cortili e delle coorti, permettendo cosi alle Lazarki di ballare e cantare personalmente per le fanciulle e i giovani maschi non maritati e per tutti i membri della famiglia, e quindi di sviluppare canzoni per le differenti occupazioni: il prete, il pastore, il sindaco, lo scriba.

Due gruppi di tre Lazarki ognuno cantavano mentre una coppia di Lazarki ballava in mezzo a loro da posizioni opposte. In alcune versioni descrivevano dei motivi circolari sul suolo. In altre si muovevano avanti e indietro, si incontravano e si separavano. La danza si focalizzava sui movimenti delle mani, e nell’agitare i fazzoletti del Lazarus in modi e direzioni differenti. Questo sventolamento di fazzoletti che descriveva circoli, otto e altre figure era il linguaggio segreto delle Lazarki.

Nonostante le congruenze della drammaturgia e dell’andare di porta in porta, questa danza era molto differente nella Bulgaria dell’ovest. E se la drammaturgia del rituale è più o meno unificata a livello nazionale, le differenze regionali suggeriscono il mantenimento di tracce provenienti da rituali locali più antichi e preistorici.

L’ape

Durante il Lazarouvane nella Bulgaria dell’ovest, il gruppo di fanciulle eseguiva in ogni cortile una danza speciale dedicata alle api. Questa danza veniva fatta da un cerchio di ragazze che si tenevano per mano girando intorno alla Stopanka.

Le teste delle Lazarki erano adorne di corone di fiori, una scatola veniva fissata sul dietro della sommità della testa tra i capelli raccolti a grappolo e su di essa venivano inserite penne d’oca che puntavano verso il basso. Erba piuma (una speciale erba secca con foglie lunghe e sottili come la tela di ragno, che sembra una nuvola soffice) veniva appuntata subito sotto lo chignon posticcio insieme a una piuma di pavone. Sul davanti una cuffia, una corona di fiori cuciti sulla stoffa. Da questa pendevano altri fiori, monetine, ghirlande, nastri, perline e monete d’argento attaccate a 22 sottili treccioline. E da ultimo, sulla fronte la Lazarka poneva una coroncina di perline colorate.

Durante la danza, la Stopanka strappava pezzetti dall’acconciatura e li metteva in una ciotola di terracotta piena d’acqua, dicendo: “Come dalla scatola cadono le foglie, così sciameranno le api”.

E le ragazze rispondevano:

Millenaria Ape mellifica
che raccogli le fioriture dei campi,
e il miele nei boschi,
che voli a casa a lasciarlo,
che voli dalle fanciulle,
dalle fanciulle, dalla loro erba piuma.

Questa forma intrigante di rivolgersi alle api, accompagnata da epiteti, è comune nella letteratura tradizionale. L’ape viene descritta come colei che fa il miele, ma anche come l’ “Antica” dell’Età Mitica, l’ape millenaria.

La danza era eseguita con una rotazione magica, sia del cerchio che di ogni ragazza. Ossia un passo avanti con simultanea rotazione della spalla destra cosi da torcere tutto il corpo verso sinistra. Spiegavano che ballare in circolo permetteva alle api di volare intorno agli alveari mentre il cerchio girava. In questo caso la forma del cerchio è parte di una specifica configurazione di significati: la danza in tondo attorno ad un albero sacro, una tomba, un masso o un oggetto sacro è un’attività femminile antica.

Con questo non vogliamo sostenere che questa danza si riferisca a un’iniziazione alla Grande Dea nella sua ipostasi di ape, ciò che abbiamo qui è una danza e un rituale che fanno parte di quello che viene definito il classico “folclore” cristiano nella sua ideologia ufficiale e nei suoi motivi medievali. Ciononostante, si possono tracciare comunque alcune analogie, visto che nello sviluppo della cultura nulla scompare ma viene semplicemente trasformato e saturato da nuovi significati, o trattiene i significati antichi ma li veste di nuove forme.

Le ragazze prendevano parte per la prima volta alle cerimonie del giorno di san Lazzaro. In una leggenda eziologica, il diavolo spacca l’ape lungo il girovita perché l’ape ha avvertito Dio di non permettere al sole di sposarsi: se nascessero molti soli tutto brucerebbe e sarebbe carestia. Il diavolo è l’interpretazione cristiana negativa del mondano. Come abbiamo già visto, indossare una cintura indica l’appartenenza alla terra come parte che sta nel mezzo. L’ape vive tradizionalmente nella fessura di una quercia, modello dell’albero del mondo. La sua vita sottile, nell’essere l’ape ipostasi della Grande Dea, è intesa probabilmente come una cintura che segnala la sua appartenenza al mondano, al reame di mezzo, e come voto per servire qui sulla terra.

Era credenza comune che in questo momento di transizione la Lazarka, nel suo ruolo temporaneo di una sacerdotessa, possedesse poteri soprannaturali e potesse consacrare e benedire una casa, i signori ed i pargoli, i campi e i pascoli, con il canto e con le danze. In cambio le veniva riconosciuto di essere divenuta una donna adatta al matrimonio.

Durante la danza delle fanciulle, la Stopanka stava dentro il cerchio e raccoglieva piume ed erbe. La canzone dice che dopo aver lasciato il miele raccolto, l’ape si librava per raccoglierne ancora dai fiori delle ragazze.

Come già detto, le Lazarouvane sono un insieme di danze rituali della primavera, si danzano durante la Quaresima e finiscono a Pasqua; sono basate su un antico rituale di iniziazione femminile, includono riti di “pre-visione” e lamenti, come ad esempio nel seppellimento rituale del fantoccio di Lazzaro: “l’uccisione di Lazzaro”. Tutte queste danze dunque echeggiano il mito della divinità che muore e rinasce. Una rana viene messa sul bacino della Peperouda, e una tartaruga su Drelyovitsa (un personaggio della evocazione della Pasqua).

Farfalla-rana

Peperouda (farfalla) era un rituale molto diffuso per la pioggia, fatto in un momento in cui le acque dovevano manifestarsi con abbondanza e le piante col massimo del rigloglio, quando i frutti ed i cereali devono svilupparsi e maturare. La ragazza che canta viene anche chiamata Peperouda. La canzone fa:

Peperouda nuda e a piedi nudi
vola e sfreccia sull’acqua.

Nella versione più antica del rituale, la Peperouda è nuda e a piedi nudi (nel folclore un corpo nudo è associato alla natura, uno vestito alla cultura). I suoi capelli sono sciolti ed il suo corpo è coperto di vegetali per enfatizzare che appartiene al mondo della natura. Tiene in mano dei ramoscelli e alla testa e alla cintura le vengono legate delle rane.

Danza scuotendo ed agitando il corpo. Corre in avanti, indietro, in tondo. L’avvitamento del suo corpo, i capelli fluttuanti, i rametti verdi che sbatte come ali ai lati mettevano in scena credenze mitiche. Era un’attività fisica rivolta a portare l’equilibrio nella relazione tra l’umano ed il cosmo. I movimenti cercavano di entrare in risonanza coi ritmi naturali per contribuire al rinnovamento ciclico della natura e liberare le forze di nuova vita nella natura e tra gli umani.

Le varie personificazioni di Madre Terra, come creatrice di foreste e acque in un tempo in cui il mondo era stato creato dalla danza, sono espressioni della sovranità femminile nella natura durante i diversi stadi della società agraria. Una fiaba racconta della Regina Rana che ballava e ballava, girando e rigirando. Quando levò la mano destra creò foreste e corsi d’acqua. Quando levò la mano sinistra gli uccelli cominciarono a volare.

Lo stesso rituale veniva ripetuto in ogni cortile. Le Peperoudarki (il gruppo di ragazze che accompagnavano la Peperouda) entravano cantando e formavano un cerchio. Al loro canto la Peperouda cominciava a ballare. Simultaneamente, la Stopanka portava un calderone pieno d’acqua e lo versava prima sulla Peperouda e poi sulle altre ragazze scalze. Subito dopo, le Peperoudarki iniziavano a ballare un bouenek, calpestando l’acqua versata, agitandosi e gridando con euforia. Sia l’euforia rituale che il versamento dell’acqua erano modi per esprimere abbondanza e fertilità nel linguaggio dell’arte popolare. La stessa idea si trova nel mito di Zeus, che si trasforma in pioggia dorata per lavare Danae. Allo stesso modo, in alcuni villaggi bulgari, i giovani si nascondevano dietro delle staccionate ad aspettare la processione delle ragazze e della Peperouda, pronti a lanciare loro addosso gavettoni d’acqua per infradiciarle in una pozzanghera.

Nel rito della pioggia, la Peperouda recita il mito della divinità che muore e risorge dal mondo dei morti, o della siccità causata dalla scomparsa della divinità e che solo lei può influenzare, come mediatrice.

L’ape e la farfalla

Le figure dell’ape e della farfalla sono intercambiabili a quelle del Tonante e del portatore di pioggia: perciò il rito della pioggia della Peperouda non era rigidamente distinto dal Lazarouvane. Questa non-differenziazione può essere rintracciata su diversi livelli. Primo, il livello dell’attività della danza, in cui la Peperouda e la Lazarka non erano molto differenti. Secondo, il livello degli accessori, l’una agita ramoscelli, l’altra fazzoletti. Terzo, la provenienza della danza: nella Bulgaria orientale il bouenek era la danza principale del Lazarki, ma in alcuni luoghi anche i Peperoudarki ballavano il bouenek. Come già detto, in una delle versioni il San Lazzaro/bouenek si avvolge in una spirale e si muove come uno sciame di api. In contrasto, alla fine della danza, le Peperoudarki si arrotolano in una spirale mentre le Stopanka versa loro l’acqua addosso.

Alla conclusione del rito, i vegetali di cui è ricoperta la Peperouda sono fradici, “affogati” nell’acqua. Dopo il Lazarouvane, la Lazarki sceglie una Koumitsa (madrina), la cui madre preparerà un tavolo rievocativo la domenica di Pasqua. La scelta veniva fatta gettando piccole ghirlande nell’acqua di un fiume e aspettando quello che riemergeva per primo. Nelle favole questo viene trasformato nel topos del drago che pretende una fanciulla ogni anno. Dopo la scelta di una Koumitsa, appare qualcuno a dirigere l’horo fuori dal fiume, proprio come appare nelle favole il principe che sconfigge il drago. Da quel giorno in avanti le ragazze potranno fidanzarsi senza temere di essere rapite da un drago.

La nostra ricerca si basa su materiali che fino alla metà del ventesimo secolo esistevano ancora come sistema rituale associato alle festività. ed era ben vivo nella memoria di chi abbiamo intervistato. Possiamo quindi tracciare la stabilità dell’antico simbolismo europeo persino in questo sistema culturale “vivente” della danza popolare, che si è formato nell’Antica Europa ed è sopravvissuto nella società agricola patriarcale. Le figure archetipiche sono state trasformate, rimodellate e convertite al cambio di paradigma ideologico, ma hanno invariabilmente conservato elementi della loro sorgente originaria.

Solo lo studio delle danze determina se, per esempio, interpreteremo la coppia Bouenek e Boulka come un gioco matrimoniale, che prepara le/i giovani al matrimonio, oppure se interpreteremo i riti di iniziazione come usanze di socializzazione premaritale o come sopravvivenza e riattualizzazione dello hieros gamos. D’altro canto, ogni matrimonio nel folclore recita la ierogamia e ogni sposa è una regina.

Questo studio olistico, dalle diverse angolature e aspetti della ricerca, rivela un sistema gerarchico di significati, che vibrano a differenti livelli e riconciliano ideologie contrastanti. Oggi siamo in grado di decodificare queste danze rituali e vedere come il sacro può manifestarsi a livello sociale, e come il mito può far parte della vita di ogni giorno.

Tratto da From the Realms of the Ancestors. An Anthology in honor of Marija Gimbutas
Traduzione dall’inglese di Alessandra Fumai

L’autrice: Alessandra Fumai
fin da molto giovane studia e pratica canti e danze del mondo. Diventa formatrice e interprete specializzata in danza africana contemporanea, danza teatro e canto polifonico. Parallelamente porta avanti gli studi di Antropologia culturale presso le Università di Bologna e Torino. Si laurea in Antropologia di genere e in Antropologia del corpo e politica, dopo una tesi di ricerca in Colombia nel 2020.
Da quel momento si occupa di regia e opera una fusione tra antropologia e danza portando in scena la sua tesi triennale nello spettacolo “Pelle. Il pube Nudo”, che tratta temi quali il consumismo estetico e la violenza di genere. Da circa sei anni lavora con donne di tutte le età attraverso il laboratorio “Il Corpo Abitato”, creato a quattro mani con Irene Mastrocicco, mentre prosegue la sua ricerca sul femminile, nelle sue espressioni storiche, sacre e contemporanee.

Immangine di copertina dell’articolo:

Le danzatrici di Ruvo, lastra tombale realizzata agli inizi del IV secolo a. C., ripropone una geranos, l’antica danza circolare che imitava il volo delle gru; ritrovata a Ruvo di Puglia il 15 novembre del 1833 oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

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