Il mito della creazione nelle grotte paleolitiche

Il mito della creazione nelle grotte paleolitiche
Grotta di Altamira (ph. E. Visciola, 2022)

di Alessandra De Nardis

Su National Geographic del 3 gennaio 2023 è apparso un articolo della giornalista francese Manon Meyer dal titolo: “Perché uomini e donne preistorici dipingevano nelle caverne?”; il testo è un’intervista a Jean-Loïc Le Quellec, archeologo preistorico, antropologo e direttore emerito della ricerca al CNRS che di recente ha pubblicato un imponente studio di 888 pagine sull’argomento: The original cave, Art, Myths and First Humanities, ed. La Découverte.

Cosa ha spinto uomini e donne a percorrere centinaia di metri, in alcuni casi addirittura chilometri in un ambiente potenzialmente buio e pericoloso e nel quale spesso erano costretti a dipingere sdraiati per l’esiguo spazio a disposizione? Con uno studio su quasi 20.000 immagini, metà delle quali rappresentanti punti e trattini, l’altra metà animali, Le Quellec crede di aver trovato la risposta.

Il pannello dei leoni nella Grotta di Chauvet, Alvernia-Rodano-Alpi, Francia è uno dei più noti e importanti siti preistorici europei: la conformazione della parete sembra rappresentare una grande vulva sulla quale sono stati dipinti animali che vi fuoriescono o vi entrano (ph. archeologie.culture.fr)

Il pannello dei leoni nella Grotta di Chauvet, Alvernia-Rodano-Alpi, Francia è uno dei più noti e importanti siti preistorici europei: la conformazione della parete sembra rappresentare una grande vulva sulla quale sono stati dipinti animali che vi fuoriescono o vi entrano.

La maggior parte degli specialisti concorda già da tempo sul possibile legame tra mitologia e racconto presente nei dipinti paleolitici ma lo studioso afferma ora di aver trovato un mito in particolare tra i mille possibili che potrebbe sostenere questa tesi e giustificare le spedizioni artistiche nelle profondità delle grotte.

Noi di Preistoria in Italia avevamo già riportato sullo stesso tema la ricerca del dott. Julien D’Huy, specializzato in filogenetica dei miti il quale per scovare il “racconto primo” che potesse fornire la matrice originale del mito ha raccolto e analizzato decine e decine di leggende provenienti da tutto il mondo. Utilizzando il metodo degli alberi filogenetici dei biologi evoluzionisti (metodi statistici di classificazione delle specie viventi) ha scoperto un nucleo in cui pare celarsi uno stesso mito che racconta di una donna-animale. Nella sua ricerca Jean-Loïc Le Quellec utilizza strumenti analoghi a quelli di Julien D’Huy ma il racconto primigenio che egli individua narra di un periodo mitico in cui esseri umani e animali vivevano sottoterra. La storia, qui assai semplificata, racconta che alcuni di loro uscirono allo scoperto passando attraverso una grotta per colonizzare così il pianeta. Gli esseri umani, animalizzati durante la loro vita nel sottosuolo, si sono trasformati durante la loro emersione dal suolo. Altri esseri viventi rimangono invece sotto terra per ragioni che differiscono a seconda delle storie. È su questo racconto che egli chiama il “mito dell’emergere primordiale” sul quale stabilisce l’ipotesi per spiegare le pitture rupestri.

La raffigurazione delle “donne-bisonte” della grotta di Pech-Merle, Francia: donne che si trasformano in bisonti o animali-bisonti che emergono come donne? (ph. Cabrol, 2011)

La raffigurazione delle “donne-bisonte” della grotta di Pech-Merle, Francia: donne che si trasformano in bisonti o animali-bisonti che emergono come donne?

All’epoca, la creazione era probabilmente pensata come un avvenimento perpetuo, cioè avveniva ogni giorno. Forse ciclica diremo noi come ciclico doveva essere il ritorno alla Terra dato che il tempo per i nostri progenitori era percepito come una spirale da cui tutto nasce e tutto torna, ben lontano dal tempo lineare a cui siamo abituati oggi. Quindi, continua Le Quellec, i rituali erano necessari e necessaria la loro rappresentazione per garantire che gli animali, da cui dipendeva la loro sopravvivenza continuassero ad uscire dalla Terra.

Questo racconto ricorda il mito antichissimo dell’uovo cosmico che nella sua valenza cosmogonica simboleggia l’unità primordiale dell’essere, la totalità perfetta, indivisa, che precede la separazione degli elementi e la nascita dell’universo visibile.

Se così fosse queste espressioni artistiche preistoriche rappresenterebbero la prima percezione consapevole di sé da parte dei gruppi umani come esseri differenziati e divisi dal tutto anche se in continua bisognosa connessione; l’arte parietale come primo tentativo di narrare e giustificare la propria diversità e nel contempo partecipare al gesto della creazione; un desiderio insomma di controllare quegli eventi che al di sopra della propria comprensione sono da sempre il motore più potente che ha animato ogni religione. Queste ultime sono considerazioni necessarie da fare per sottolineare quanto gli uomini e le donne di allora sentissero la Terra come Madre di tutte le cose e come ad essa ogni essere vivente sarebbe tornato per continuare attraverso la morte ad alimentare la vita.

Tornando a Le Quellec egli sostiene che nel mondo occidentale, questo principio dell’emergere primordiale è stato soppiantato dalla narrazione biblica nella quale l’inizio è unico e assoluto: Dio creo la Terra e tutto ciò che ne consegue dal “e la luce fu”.

Per dimostrare la veridicità della sua scoperta Le Quellec ha usato due metodi.

Il primo si basa sulla distribuzione geografica dei miti. Immergendosi nei tanti dati disponibili infatti si possono datare i miti. Per fare un esempio se una storia complessa è presente nell’Eurasia nord-orientale e nell’America nord-occidentale, si può dedurre che sia stata trasportata dalle migrazioni umane, quando il passaggio tra questi due continenti era ancora possibile a piedi; dato che lo Stretto di Bering è stato coperto dal mare 16.000 anni fa si deduce che il mito ha quindi almeno 16.000 anni.

Le Quellec ha catalogato 749 modelli del “mito dell’emergere primordiale” che si trovano in aree geografiche molto diverse; alle volte risultano ricchi di dettagli bizzarri che non rientrano nel racconto “primario” e quando troviamo questi dettagli strani che non sono necessari per la storia base, in popolazioni che non sono mai state in contatto, è uno degli indizi che dimostra che questo mito si è diffuso nel corso delle migrazioni umane dopo aver lasciato l’Africa 100.000 anni fa.

Il secondo metodo utilizzato è un software filogenetico di cui accennavamo sopra che permette di creare una sorta di albero genealogico dei miti. Consiste semplificando di trasformare ognuno delle migliaia di miti in una sequenza di 0 o 1 a seconda dell’assenza o della presenza del loro elemento di base. Più i miti sono simili, più i loro codici sono simili, più vicino è il loro antenato comune. Con questa tecnica si può constatare che le storie cambiano nel tempo e più ci si allontana dall’Africa, più le storie diventano diverse.

In alcune culture odierne questo mito è ancora raccontato, per esempio tra i nativi americani. I miti di emersione, particolarmente diffusi tra le popolazioni native americane, ci forniscono i migliori esempi di tali regni sotterranei. Essi narrano di come i primi esseri umani vennero portati in superficie per vivere alla luce del sole solo dopo essere rimasti a lungo sotto la superficie terrestre, allo stato—per così dire — «larvale», e dopo aver sviluppato una forma fisica rudimentale e una coscienza umana. Secondo le popolazioni native, questa emersione dal mondo sotterraneo segna la nascita dell’uomo dell’era attuale—o, per usare una locuzione tipica delle popolazioni americane, del «Quinto Sole» — e rappresenta anche la transizione dall’infanzia e dalla dipendenza dal grembo della Madre Terra alla maturità e all’indipendenza.

Nella maggioranza dei casi, si narra che i primi esseri umani che vissero nell’utero della Madre Terra avessero una forma semi-animale o semi-umana. Ciò ci porta alla mente le credenze mitiche degli aborigeni australiani, secondo i quali all’inizio, nel «Tempo del Sogno», il mondo esisteva già ma le sue forme erano indifferenziate, ragion per cui non vi era una distinzione precisa tra dèi, esseri umani ed animali; gli esseri si differenziarono solo in seguito, con la fine del «Tempo del Sogno». Anche per i nativi americani, gli esseri umani si svilupparono pienamente come tali solo dopo essere saliti alla superficie terrestre.

Tuttavia, in aree molto vaste del globo, questo mito antichissimo è oggi assente; in Europa e in Medio Oriente, il cristianesimo e l’islam raccontano una storia di origini direttamente dal Corano o dalla Bibbia, testi che hanno cancellato ogni traccia del mito primordiale.

Alessandra de Nardis, 8 gennaio 2023


Fonte: National Geographic

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