di Luciana Percovich
Il New Yorker del 14 dicembre 2020, nella rubrica Annals of Science, pubblica un articolo che tenta una sintesi dei risultati degli studi genetici delle popolazioni all’interno di un progetto di mappatura della specie umana, dei suoi spostamenti e incroci nel corso dei millenni. L’articolo di Douglas Preston è intitolato “Gli scheletri del Lago. L’analisi genetica dei resti umani ritrovati sull’Himalaya pone sconcertanti interrogativi su chi fossero e perché si trovassero là” (Fonte: The New Yorker)
Gli “sconcertanti interrogativi” partono dal libro Mountain Goddess (1991) dell’antropologo americano William Sax, affascinato dalle leggende locali su un ritrovamento avvenuto nel 1942, nei pressi del lago glaciale di Roopkind nell’Himalaya, di qualche centinaio di scheletri umani, tra cui un corpo di donna quasi intatto. Sax ha continuato negli anni la sua ricerca su quello che è stato uno dei percorsi di antichi pellegrinaggi (in questo caso, in onore di Nanda Devi, una manifestazione di Parvati) che, superando un aspro valico e costeggiando il lago in questione, attraversa le montagne collegando il centro dell’Asia con l’India. Il primo sconcerto che Preston rileva è che le analisi del DNA effettuate su questi resti umani di donne uomini bambini, privi di armi e di cavalli, sono databili all’800 d.C. e individuano come zona di provenienza nientedimeno che la zona medio-orientale del Mediterraneo, Creta o paraggi.
Gli studi molto dettagliati che si sono sviluppati intorno alle ossa di Roopkund portano in scena un altro personaggio, il genetista di Harvard David Reich col suo laboratorio indiano a Hyderabad, il quale finisce per coinvolgere nella ricerca la Pennsylvania State University, il Broad Institute del M.I.T. di Harvard, l’Istituto Max Planck for the Science of Human History e l’Anthropological Survey of India. Una ricerca, dunque, con il crisma della Scienza più prestigiosa e il tutto confluisce in un ambizioso progetto di creare un atlante delle migrazioni umane e delle loro diversità, che permetta di scrutare a fondo nelle radici del più lontano passato. Per definire, dati alla mano, chi siamo in quanto specie, da dove veniamo e che cosa ci siamo reciprocamente fatti durante i millenni. Nascoste e registrate nel genoma umano è possibile infatti trovare le prove del dislocamento dei diversi gruppi umani, e quindi anche delle invasioni, degli stupri di massa e delle stragi di interi popoli. I morti parlano.
Che al movimento dei popoli kurgan dalle steppe euroasiatiche fosse corrisposto un controesodo di popoli antico-europei e mediterranei già lo avevano mostrato le ricerche di Jeannine Davis-Kimball raccontate nel suo libro Donne Guerriere. Le sciamane delle vie della seta (2002) e proprio grazie al ritrovamento di corpi di donne ben conservati come quello di Roopkind. Ma quel che nell’articolo un po’ alla volta viene messo in evidenza è la validità della teoria formulata da Marija Gimbutas nel 1956 con la sua Ipotesi Kurgan (ossia le ondate di popoli denominati Yamnaya che misero fine alla pacifica ed evoluta “Civiltà della Dea” dell’Europa Antica del Neolitico).
Le conclusioni “sconcertanti” di David Reich vengono pubblicate su Science nel 2019 e sono il risultato della collaborazione con oltre cento ricercatori sul genoma di circa 270 antichi scheletri provenienti dalla Penisola Iberica e datati intorno al 2500-2000 a.C.
Il DNA degli scheletri iberici racconta infatti una storia un po’ diversa dalla narrazione archeologica tradizionale, rivelando di questo periodo di trasformazione che riguarda l’Europa sud-occidentale che essa fu provocata da una invasione drammatica che ha lasciato testimonianza in una evidente “cicatrice genetica”. Nel 2018, Reich ha raccontato in un libro, Chi siamo e come siamo arrivati fin qui come la genetica stia rivoluzionando la comprensione sulla nostra specie, in particolare sui “bianchi” – ossia la popolazione con la pelle chiara in Europa e in parti dell’Asia occidentale. Si era sempre supposto che “i bianchi” fossero gli “indigeni” dell’Europa, una popolazione relativamente omogenea che costituiva un lignaggio stabile sparpagliato fino alle parti più occidentali dell’Europa da decine di migliaia di anni fa. Ma nel libro viene dimostrato come fino a 8.000 anni fa esistessero almeno 4 gruppi distinti di “nativi” europei, differenti tra loro geneticamente come lo è oggi un inglese rispetto a un cinese, e che alcuni avevano la pelle scura. Nelle sue parole “i bianchi semplicemente non esistevano 8.000 anni fa” in Europa occidentale.
Ultima tappa europea della “cultura” Yamna, tra il 2500 e il 2000 nella Penisola Iberica il tipo di cromosoma locale Y fu sostituito da uno completamente diverso. Dato che il cromosoma Y si trova solo nei maschi passando da padre in figlio, questo significa che la linea genetica maschile locale fu pressoché estinta: come se una popolazione di nuovi arrivati avesse perpetrato un massacro su vasta scala dei maschi del luogo, uomini, ragazzi e persino neonati. Anche ipotizzando che non tutti i maschi locali fossero stati eliminati, di sicuro i maschi sopravvissuti furono messi nella condizione di non poter più riprodursi oppure collocati in una posizione così sfavorevole nella selezione di una partner da eliminare del tutto il loro patrimonio genetico. La sequenza genetica completa, ossia di maschi e femmine, rivela tuttavia che circa il 60% del lignaggio locale continuò a esistere, il che significa che le donne non furono uccise ma sottoposte a una totale coercizione sessuale e forse persino a stupri di massa.
Possiamo farci un’idea di questo regime di terrore pensando a ciò che successe quando i discendenti di quegli antichi Iberi approdarono nel Nuovo Mondo, evento questo che dispone di un’ampia documentazione storica. La conquista spagnola delle Americhe generò una sofferenza umana su una scala addirittura grottesca – guerra, assassinii di massa, stupri, schiavitù, genocidio, morte per fame e pandemie. Geneticamente, come osserva Reich, il risultato fu molto simile: nell’America Centrale e del Sud, una grande quantità di DNA europeo si mescolò con la popolazione locale, quasi tutto proveniente da maschi europei.
La stessa svolta nel cromosoma Y si riscontra anche negli americani di discendenza africana.
In media, una persona di colore in America ha un’ascendenza che è all’80% africana e al 20% europea. Ma circa l’80% dell’ascendenza europea è ereditata da maschi bianchi. Una conferma genetica delle violenze e della coercizione sessuale subita dalle femmine schiave da parte degli schiavisti maschi.
Nello studio condotto in Iberia, il cromosoma Y predominante sembra derivare proprio dal gruppo di popolazioni chiamato Yamna, che comparve sulla scena circa 5.000 anni fa, nelle steppe a nord del Mar Nero e del Mar Caspio. Muniti di ruota e cavalli, a ondate successive dilagarono travolgendo ogni resistenza puntando a ovest (Europa) e a sud-est (India). Parlavano lingue proto-indoeuropee, da cui discendono la maggior parte delle lingue europee attuali e anche alcune lingue parlate nel sud asiatico. E se il DNA degli scheletri iberici non può dirci molto su come fosse la cultura originaria e nativa europea – ben documentata invece dalle scoperte archeologiche a partire dalla seconda metà del secolo scorso – può invece confermare una volta in più la lungimiranza della visione di Gimbutas, che mette in luce un vero e proprio arresto e arretramento di civiltà ben evidente nei reperti di scavo dopo l’arrivo dei proto-indoruropei: gli Yamnaya arrecarono danni molto maggiori di quanto continuano a credere gli archeologi accademici.
E ancora oggi, i cromosomi Y di quasi tutti i maschi di ascendenza europea hanno un’alta percentuale di geni derivati dai Yamnaya, mostrando quanto sia stata diffusa la conquista violenta.
Luciana Percovich, febbraio 2021